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venerdì 27 ottobre 2017

Un film di una donna a settimana per un anno?#52





#52 Angeli d'Acciaio



Si conclude con il cinquantaduesimo film la rubrica di OG “un film di una donna a settimana per un anno”, ispirata alla campagna #52FilmsbyWomen della Women Film Festival, WIF.

Un anno fa l'inizio, e non sembra proprio passato così tanto, e concludiamo riprendendo il filo iniziale con questo film, capostipite un po' del genere, sulle rivendicazioni dei diritti delle donne.
Nato per la tv americana, per la regia di Katja Von Garner e sceneggiato da Sally Robinson, è uscito nel 2004 e ha fatto incetta di premi tra cui miglior attrice non protagonista e nomination come miglior film tv.

Nel cast attrici del calibro di Hilary Swank che sfiora il Golden Globe Award come miglior attrice protagonista, che poi vinse l'Oscar per Million Dollar Baby, Anjelica Huston, miglior attrice non protagonista, Frances O' Connor e Patrick Dempsey.


Trama: Siamo negli Stati Uniti nei primi del'900 e le donne stanno ancora cercando di farsi prendere sul serio dalla politica che, rimasta indifferente alle rivendicazioni ottocentesche delle donne per il suffragio femminile, ha da tempo invece riconosciuto diritti alle persone di colore.
Una nuova generazione di suffragette si fa avanti cercando inizialmente di coordinare un'azione con la “vecchia guardia” di femministe come Carrie Chapman Catt. Presto però le differenze di approccio alla rivendicazione per il diritto di voto delle donne saranno tali per cui le “nuove leve”, capeggiate da Alice Paul, Hilary Swank, creeranno una loro base e movimento: il Partito Nazionale delle Donne- National Women's Party, nel 1916.


Alice Paul infatti usa mezzi ritenuti troppo aggressivi da Carrie Chapman, fondatrice della Associazione Nazionale per il Suffragio delle Donne Americane- NAWSA : cortei, manifestazioni, dimostrazioni con volontarie da ogni parte del paese e perfino amazzoni a cavallo che sconcertano l'ala più tradizionalista del movimento convinta ancora dei mezzi “classici” delle petizioni e raccolte firme. 

Alice Paul e Lucy Burns iniziano invece un picchetto costante e organizzato davanti alla Casa Bianca finché il presidente Wilson non decide di porre fine con la forza della polizia a queste manifestazioni che scatenano risse e sommosse. Le suffragette infatti vengono derise, insultate, malmenate mentre la polizia fa finta di non vedere le violenze.


Le attiviste vengono arrestate per occupazione di suolo pubblico ma una volta in prigione subiscono vessazioni e soprusi e quando la stessa Alice Paul finisce dentro, la situazione degenera ulteriormente.
Alice inizia lo sciopero della fame, seguita dalle sue compagne, a questo punto la direzione penitenziaria, dopo metterla in isolamento nel reparto di malattie mentali, la alimenta a forza con sondini che dal naso raggiungono lo stomaco, provocando lacerazioni evidenti sul corpo di Alice e delle sue compagne.
Aiutata da una secondina però le violenze del carcere arrivano sui giornali nazionali, che le rinominano sì angeli ma dalle mascelle d'acciaio (titolo originale) e lo scandalo è inevitabile, anche lo scoppio della Guerra non riuscirà a metterlo in secondo piano, anzi la condizione femminile è ormai mutata proprio in base alla guerra e questa è una realtà ormai evidente per tutta la società...finalmente, seppur fino all'ultimo voto, nel 1920 le statunitensi ottengono il diritto di voto, con grande soddisfazione anche delle suffragette più tradizionaliste.

Scelto perché: questo film come detto è stato il capostipite anche del più recente “Suffragette”, ambientato durante le rivendicazioni politiche inglesi, che tanto ha colpito l'opinione pubblica e rilanciato anche in questi ultimi tempi il tema sui diritti delle donne.

Credits: screenshot by opportunitàdiGenereOg
in base all'art. 70 Legge sulla protezione diritto d'autore 633/41
e successive modifiche

OG ci teneva quindi, dopo aver iniziato proprio con Suffragette questo percorso cinematografico dedicato alle donne, a concludere con una sorta di fil rouge ideale anche perché “Angeli d'acciaio” ha ispirato proprio l'esperienza e la nascita di Opportunità di Genere fin dai tempi universitari. Notate affinità cromatiche? Non sono affatto casuali, i colori di OG furono proprio ispirati da quelli delle suffragette di Alice Paul.



Titolo: Angeli d'Acciaio
Titolo originale: Iron Jawed Angels
Anno: 2004
Durata: 123 min.
Nazionalità: USA
Regia: Katja Von Garnier
Sceneggiatura: Sally Robinson
Cast: Hillary Swank, Angelica Hudston, Francis O' Connor, Patrick Dempsey.




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mercoledì 19 aprile 2017

Un film di una donna a settimana per un anno? #25




Vanessa Redgrave è Olive, suffragetta bostoniana.
credits: screenshot by Opportunità di GenereOG
in base all'art.70  Legge sulla protezione del diritto d'autore 633/41
 e successive modifiche.



#25  Le Bostoniane 



Il film di questa settimana ci porta a Boston alla fine del 1800 ispirato al romanzo di Henry James da prima pubblicato a puntate su un giornale del 1885 e l'anno seguente edito in un unico libro ma in tre volumi con il titolo “Le Bostoniane” che narra le vicende del movimento suffragista di Boston.

La trasposizione cinematografica è del 1984, la regia è di James Ivory e la co-protagonista, Vanessa Redgrave, fu nominata agli Oscar e ai Golden Globe del 1985 come miglior attrice protagonista.



Trama:

Nella Boston di fine 1800 la rivalsa del movimento femminista sui diritti delle donne è ormai una realtà che interessa tutti gli Stati membri dell'unione e a Boston è ben radicato grazie a donne facoltose che non solo sostengono la "causa" ma che partecipano anche attivamente a far conoscere e radicare il movimento con sempre più sostenitori.
Tra le nuove leve si distingue una giovane ragazza, Verina,  figlia di un guaritore, che viene subito presa nelle grazie della guida del movimento bostoniano, Olive il cui cugino in visita da New York ma proveniente dal sud tradizionalista, l'avvocato Ranson, si intromette nel rapporto tra la giovane Verina e Olive che cerca di istruirla alla causa per il voto alle donne.
Olive decide quindi di prendere le distanze dal suo aitante ma retrogrado cugino che manifesta disapprovazione per le rivendicazioni femministe, così come per la abolizione della schiavitù nel sud del paese, e i due cominciano a contendersi la giovane promessa femminista. 
Verina va a stare a casa di Olivia dove viene istruita secondo le sue raccomandazioni per fare di lei una nuova figura carismatica per il movimento in grado di scuotere l'interesse e l'azione di molti altri cittadini americani, Verina infatti è eloquente e molto graziosa e aggraziata ma per gli stessi motivi il cugino di Olive cerca invece di corteggiarla e allontanarla dalla causa femminista per sposarla.
Olive porta Verina con se' ai raduni di altre suffragiste e con lei spera di creare un movimento sempre più forte e ampio grazie all'appoggio e al confronto con altre veterane come Miss Birdseye, compagna niente meno di Susan B. Anthony, Elisabeth Cady Stanton e Lucretia Mott.
Ma Verina comincia a vacillare quando rivede il cugino di Olive che non ha smesso di cercarla e quando essa stessa confesserà ad Olivia il suo turbamento e difficoltà nell'andare avanti come se lo facesse solo perché incoraggiata dalla stessa Olivia, Verina le chiede di aiutarla a scappare dai suoi stessi sentimenti. Così la giovane femminista in erba sparisce anche perché il grande giorno è arrivato: la Conferenza al Music Hall di New York dove ha già molti proseliti e che la consacrerà una guida non solo per il movimento bostoniano ma per tutta la causa nazionale.

La sera del comizio però tra il pubblico c'è anche Mister Ranson che dopo non poche difficoltà riesce a parlare con Verina che si rende conto che probabilmente il suo amato ha ragione lei fa tutto questo solo per compiacere Olive, suo padre e tutte le altre a cui vuole bene ma lei non è così coinvolta e che quello che le diceva invece Olive che i suoi tentennamenti erano solo l'effetto della sua troppa esposizione alle critiche e ai giudizi maschili non era vero.
I due amanti allora si allontanano dal teatro nascondendosi tra la folla che stanca di aspettare l'orazione di Verina ha intanto iniziato ad abbandonare la Hall.
A questo punto quando tutto sembra perduto però prende la parola la stessa Olive che ormai si sente pronta a prendere lei le redini della rivendicazione  femminile dimostrando doti d'eloquenza perfino maggiori di quelle di Verina che infatti entusiasmano l'intero uditorio.


Scelto perché: Questo film è stato scelto per la trama ma anche perché già dal suo titolo tradisce il maschile-neutrale ancora saldamente intatto negli anni' 80 dello scorso secolo in cui a quei tempi gli Women's Studies erano appena arrivati in Italia, fu tradotto infatti in italiano come “I Bostoniani” ma è chiaro dalla trama che sarebbe stato meglio e più pertinente la traduzione di “Le Bostoniane”.
Il gruppo bostoniano di suffragette:
Olive, Verina e Miss Birdseye

credits: screenshot by Opportunità di GenereOG
in base all'art.70  Legge sulla protezione del diritto d'autore 633/41
 e successive modifiche.
La trama attraverso le vicende di Verina e Olivia rimanda alle vicende e ai personaggi reali del movimento suffragista statunitense e alla situazione storica del periodo in cui lo stesso romanzo, da cui è stato tratto, è stato scritto regalandoci una prospettiva realistica di come vivevano e agivano le appartenenti al movimento femminista del calare del XX secolo.
Olive dapprima fervida sostenitrice della rivendicazione femminile non è pronta però a scendere in prima fila ma grazie all'esperienza che fa attraverso Verina, è capace di superare i suoi stessi limiti e timori così mentre Verina invece non riesce e crolla accettando la proposta di matrimonio di Ranson, Olive invece cresce fino a sentirsi sicura di esporsi e lottare in prima fila.
A differenza del romanzo in cui l'autore esplicitamente condanna la scelta che Verina fa di lasciare il movimento per sposarsi con l'avvocato perché se ne pentirà presto, il film sembra concludersi con la sconfitta del movimento per l'abbandono di Verina il cui prossimo pentimento non è prospettato ma in realtà rilancia un messaggio più grande e cioè che il movimento femminista non ha bisogno di una voce unica ma è un' unica voce che farà sentire “il grido delle donne presenti, passate e future”.

Titolo: Le Bostoniane
Titolo Originale: The Bostonians
Nazionalità: USA\UK
Durata: 122 min.
Anno: 1984
Regia: James Ivory
Sceneggiatura: Ruth Prawer Jhabvala
Cast: Vanessa Redgrave, Madeleine Potter, Christopher Reeve




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martedì 14 febbraio 2017

Le donne nella Grande Guerra


Operaia britannica a lavoro in una fabbrica
 durante la Grande Guerra.
fonte: Wikipedia


La scorsa settimana si è svolta alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma la presentazione di due volumi che riguardano la presenza delle donne nella Guerra: “La Grande Guerra delle italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni” a cura di Stefania Bartoloni* e il numero monografico di ‘Genesis’  XV/1, 2016, la rivista della Società Italiana delle Storiche, SIS, curata da Roberto Bianchi* e Monica Pacini*: “Donne ‘comuni’ nell’Europa della Grande Guerra”. 

All’incontro sono intervenute le storiche Marina d’Amelia**, Alessandra Staderini** ed Emilio Franzina**, coordinati da Rosanna De Longis**.

Entrambi i libri ci ridanno la differente natura dell’impegno bellico femminile rispetto a quello internazionale, soprattutto inglese; una differenza che rispecchia la diversa organizzazione sociale che in Italia vedeva le donne  nettamente subordinate agli uomini a differenza invece della situazione degli altri paesi europei come ad esempio l’Inghilterra. A queste differenze si devono le diverse conseguenze che ebbe il dopoguerra sulla condizione femminile che se fu propulsivo per le società già più inclusive, fu nullo o quasi in quella italiana in cui ad esempio le donne ‘comuni’: “In Italia a differenza che in altri paesi, le donne  comuni non sono in condizioni di fare di più che estendere alla sfera pubblica mansioni di cura[1]. E proprio l’aspetto di assistenza nel cause- study italiano è quello che più emerge nei saggi.

Spesso la maggior parte delle italiane, il ceto umile contadino e urbano, non si schiera a favore della Guerra con quelle èlite interventiste che invece rappresentano nel nostro paese l’associazionismo femminile, da Teresa Labriola, nazionalista, Beatrice Sacchi, maziniana, Margherita Sarfatti, socialista…, che arriveranno a propagandare, almeno in un primo momento, l’intervento armato suscitando il disprezzo delle suffragette inglesi, come chiaramente si ritrova in “La Grande Guerra delle italiane” in cui le attiviste inglesi usano parole mortificanti verso le femministe italiane, lasciate sole alla manifestazione davanti al Milite Ignoto a cui erano state invitate. Insomma una “sorellanza” difficile e controversa le cui difficoltà si evidenzieranno anche oltre il periodo bellico come sottolineato da D’Amelia nel suo intervento[2].

Margherita Sarfatti
fonte: Wikipedia
La Guerra quindi, si chiede Staderini, è stata un’opportunità di emancipazione per le donne? Come visto l’esperienza femminile nella Guerra si concretizza, in questi volumi, in un atto per lo più di cura ed assistenza che perderà d’importanza nel dopoguerra ma, secondo la storica, è proprio in questo momento che cambia comunque la società mentre a livello storiografico il salto di qualità è stato fatto con l’interessamento degli storici a queste tematiche. Come ricordano gli stessi curatori dell’opera  a questa domanda che per lungo tempo è stata affrontata in Italia e anche all’estero, si è risposto con la consapevolezza che è “caduta ogni illusione di giungere a una conclusione univoca”, l’unica realtà nel rapporto guerra-emancipazione è la ricchezza di nuovi punti di vista che l’elemento di genere introduce nella ricerca storica (visione sociale, culturale,…), (classi di età, classe sociale,…)[3]. Questo viene altrettanto sottolineato anche nell’introduzione de “La Grande Guerra delle italiane” dalla curatrice Stefania Bartoloni “Negli ultimi anni il rapporto tra le donne e il conflitto mondiale sembra divenuto più articolato. La prospettiva offerta dalla storia delle donne e di genere ha accresciuto la storia della Grande Guerra”.[4] In effetti il volume da lei curato affronta in modo comparativo da una parte la posizione delle pacifiste, soprattutto straniere, dall’altra delle interventiste italiane che in nome di un’unità nazionale, di un sentire comune spinsero per la resistenza belligerante con la speranza anche di una ricompensa sociale che tardò ad arrivare ed infine l’ultima parte del volume che affronta proprio gli effetti postumi della partecipazione femminile alla guerra nella società post-bellica.

Secondo Franzina ci sono ancora poche testimonianze di donne dopo la guerra un po’ per ragioni editoriali, sostanzialmente per la mancanza di un pubblico interessato, ma soprattutto perché per la maggior parte delle donne dell’epoca l’istruzione e quindi la capacità di trasporre in diari la propria esperienza era una abilità ancora per poche. Rimane così in ombra quindi proprio quella storia comune del femminile che andrebbe recuperata ma che per la mancanza di fonti è di difficile investigazione. In questa chiave di straordinarietà si inserisce il saggio in francese di Christine Daringe sul rapporto epistolare intercorso in una famiglia di contadini francesi durante la guerra tra moglie e marito, divenuto un prigioniero. Un’esperienza fattuale ritenuta, da tutti gli storici intervenuti, di difficile riproduzione nella storiografia italiana per le serie difficoltà di reperimento di fonti simili; difficoltà dovuta alle condizioni in cui da una parte erano i detenuti di guerra italiani e dall’altra quelle in cui versavano le famiglie contadine che non favorivano di certo scambi epistolari in una situazione complessiva già molto difficile.

Sita Meyer Campiero,
una delle fondatrici delle infermiere volontarie
 della CRI.
Fonte: Bibliografia
Possiamo concludere con l’auspicio e l’invito che i curatori delle due opere, Roberto Bianchi e Monica Pacini per “Donne ‘comuni’ nell’Europa della Grande Guerra”e Stefania Bartoloni per “La Grande Guerra delle italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni”, fanno a conclusione delle rispettive introduzioni. Un’esortazione non solo a studiare ad un livello verticale le relazioni sociali tra i vertici e il popolo (le élite e masse femminili) ma anche ad approfondire le relazioni interne ai gruppi (sociali, generazionali, …), così quelle tra i gruppi femminili/ femministi e la politica, l’esercito, le istituzioni dell’epoca per recuperare la più ampia prospettiva dei fatti nella Guerra e nelle sue conseguenze.  





[1] A. Molinari, “Donne sospese tra pace e guerra”, in “Donne comuni dell’Europa della Grande Guerra”, Roma, Ed. Viella, 2016, pag. 64.
[2] Si veda nello specifico il saggio di Ingrid Sharp “Una difficile ‘sorellanza’ L’internazionalismo come sfida e impegno (1914-1924), contenuto in “La Grande Guerra delle Italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni”, a cura di Stefania Bartoloni, Roma,  Ed. Viella Libreria Editrice, 2016.
[3] R. Bianchi “Donne ‘comuni’ nell’Europa della Grande Guerra. Saggio Introduttivo”, in “Donne ‘comuni’, Op. Cit., pag. 12.
[4] S. Bartoloni, “Introduzione” in “La Grande Guerra delle Italiane”, Op. Cit.


Testi:

- "Donne 'comuni' nell'Europa della Grande Guerra", a cura di Roberto Bianchi e Monica Pacini, Roma, Viella, 2016.
- "La Grande Guerra delle Italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni", a cura di Stefania Bartoloni, Roma, Viella, 2016.

*I Curatori:

Stefania Bartoloni insegna Storia Contemporanea all'Università di Roma Tre.
Roberto Bianchi insegna Storia Contemporanea all'Università di Firenze.
Monica Pacini insegna Storia Contemporanea all'Università di Firenze.


**I Presentatori:

Marina D'Amelia ha insegnato Storia Moderna all'Università Sapienza di Roma.
Alessandra Staderini ha insegnato Storia Contemporanea all'Università di Firenze
Emilio Franzina insegna Storia Contemporanea all'Università di Verona

Rosanna De Logis ha diretto la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma



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martedì 29 novembre 2016

Noi, piccole donne

Jo in Piccole Donne del 1933
 interpretata da Katherine Hepburn.
Da Wikipedia

Oggi ricorre il 184° anniversario della nascita di una delle scrittrici americane più note ed amate che ha saputo farsi apprezzare da intere generazioni da varie parti del mondo, ispirando molte bambine a diventare quello che volevano essere, ad esprimere loro stesse e non solo grazie alle eroine dei suoi romanzi ma anche con il suo esempio; la sua vita fu coerente con i messaggi che lanciava nei suoi scritti, essa stessa fu colei che voleva diventare e lottò per poterlo essere. Louisa May Alcott  fu infatti una femminista convinta, suffragetta attiva che con convinzione appoggiò la lotta per il voto alle donne e fu la prima donna ad essere iscritta nelle liste della sua città per votare, aiutò la lotta alla schiavitù facendo della propria casa una tappa della così detta “Underground Railroad”, la via di fuga degli schiavi neri durante la guerra civile. In questo periodo sarà infermiera volontaria sul fronte causando il motivo che la porterà alla morte nel 1888 per avvelenamento per mercurio con cui era stata curata.
La vita di Louisa non sarà convenzionale, avrà un’istruzione privata ma con personalità che le forniranno tutte quelle qualità che lei stessa cercherà di trasmettere al suo pubblico di lettrici e lettori attraverso le sue opere; lei come la madre e le sorelle cercarono sempre di contribuire al sostegno della famiglia  facendo molti lavori e lavoretti, come insegnante, sarta, governante finchè non pubblicò il suo primo libro che fu una raccolta di fiabe del 1849 “Flower Fables” , pubblicato nel 1855, che le diede subito una certa notorietà ma nonostante ormai fosse avviata alla carriera letteraria le condizioni economiche continuavano ad essere difficili tant’è che nel 1857 arrivò a pensare al suicidio ma la conoscenza con Charlotte Bronte, per mano della biografia di Elizabeth Gaskell, probabilmente le infuse nuovo coraggio, chissà se questa vicenda ispirerà Jo  a dire: ‘Ho scritto due novelle e le ho lasciate ad un giornalista. Il suo giornale è “L’aquila dalle ali spiegate”…Forse non ne sarà nulla; ma non avrei avuto pace finchè non avessi tentato”*1.  Pochi anni più tardi infatti inizia una collaborazione con il periodico Atlantic Mounthly nel 1860 e scrive il suo primo romanzo ‘Mood’ del 1864 tuttavia la sua consacrazione avvenne con “Piccole Donne” pubblicato per la prima volta nel 1868 mentre la sua ultima ristampa risale alla primavera scorsa per le edizioni LeggereGiovane o anche per Edibimbi, Nord-Sud edizioni, Fanucci edizioni o la ancora più attuale edizione realizzata proprio questo inverno per Newton Compton e curata da Chiara Gamberale. 
Doodle di Google dedicato a Louisa Mary Alcott
per il 184° anniversario di nascita.
Dal web
Nota soprattutto per il romanzo “Piccole Donne” in realtà scrisse molti altri racconti altrettanto magistrali come il noir “Dietro la Maschera o la forza di una donna” in cui descrive una natura umana tutt’altro che positiva e propositiva anzi seducente e malvagia, un’altra faccia dell’ universo umano. Uno stratagemma fantasioso per andare oltre la morale della sua epoca con lo pseudonimo di  A. M. Barnard.  Alcott riusciva a lavorare infatti a ritmi frenetici fino a 14 ore al giorno.
Ma la sua opera più conosciuta e amata è “Piccole Donne” con cui già all’epoca trova una sua affermazione lanciandola nell’ambiente letterario da qui “Piccole Donne crescono” , “Piccoli uomini” e “I ragazzi di Jo” e tanti altri racconti che la consacrano definitivamente come scrittrice e non solo per ragazze o ragazzi, tenterà anche scritti per adulti ma abbandonerà l’idea dedicandosi a racconti educativi che però, come il tempo ci ha insegnato, in realtà sono apprezzati anche dagli adulti, chi non è cresciuta con Piccole Donne e non l'ha riletto almeno una volta anche da adulta?.
Inevitabilmente il personaggio di Jo è quello che più ha colpito l’immaginazione di giovani generazioni  e nel quale la stessa May Alcott si identificava, una giovane ribelle, caparbia che voleva fare qualcosa di grande per se stessa: Scriverò libri e diventerò ricca e famosa: questo è il mio sogno preferito. Io ho la chiave del mio castello ma non so se riuscirò ad aprire la porta"*2 ma anche tutte le altre sorelle March e i protagonisti del più noto lavoro di Alcott sono ben delineati e strutturati, in effetti sono la trasposizione della sua infanzia con le sue tre sorelle, la maggiore Anna, ovvero Mag, Elisabeth, Beth, e Abigail, Amy che come la protagonista del romanzo è l’artista di casa che diventerà una pittrice.
Molti si sono ispirati a questa opera per pièce teatrali e per film che vantano interpretazioni di attrici brave come Elisabeth Taylor nel 1945 o ancor prima Katherine Hepburn che nel 1934 vinse la Coppa Volpi come miglior attrice al Festival di Venezia e  l’ultimo con Susan Sarandon e Winona Ryder nel 1994 ma anche per cartoni animati e  serie tv. 




Note e bibliografia utile :


*1-2   L.M. Alcott, "Piccole Donne", Milano, Ed. Fratelli Fabbri Editori, 1957, pagg. 104, 98.

Louisa M. Alcott, George Eliot, Edith Warthon,Charlotte Perkins Gilman, "Il velo strappato e altre storie. I migliori racconti del Mistero", Milano, La Tartaruga, 2007.

Lurabel Harlow, "Louisa May Alcott. Un ricordo", Roma, Flower-ed, 2016.



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martedì 8 marzo 2016

Suffragette il Film





Suffragette” è davvero un bel film che vale la pena consigliare di vedere innanzitutto per la bravura delle attrici ma anche per tutti gli aspetti della produzione dalla scenografia, abile a ricostruire l’ambientazione di una Londra inizio XX secolo e il suo cielo ingrigito dai fumi e nuvole di smog create dalle fabbriche,  e le sue strade che sanno di miseria, di una nuova classe sociale sfruttata, e alle condizioni delle fabbriche in cui c’è una netta separazione tra uomini e donne, alle mansioni e condizioni del lavoro femminile, sfruttato, sottopagato e abusato; dagli abiti riprodotti con saggezza nelle stoffe, colori e mode, dai cappotti, cappelli delle signore dell’alta aristocrazia che pure parteciparono alla lotta, alle camicette lise e consunte delle operaie che passavano ore interminabili al lavoro; ai simboli come i reali colori delle fasce  e degli stendardi delle suffragette ma anche della ricerca storica che vi è dietro per la quale ascoltando Meryl Streep si ascoltano i reali discorsi della Pankhurst così come il fine riferimento alla Sacerdotessa.

Suffragette-il film
Ma questo è un film che va visto al di là se si ami la Storia o i film d’epoca o la rivendicazione del ruolo femminile, questo film merita di essere visto per l’alto messaggio che certo è nell’azione delle suffragette, tema centrale e focus del film, l’emancipazione delle donne nella società che passa nel riconoscimento della piena capacità politica alle donne tale da renderle cittadine ma soprattutto per quel messaggio che non risalta. La protagonista è una lavandaia di nome Maud Watts che si avvicina quasi per caso e involontariamente al movimento suffragista e grazie a lei viviamo questi avvenimenti, conoscendo poi altre protagoniste dell’Unione. Ma Maud all’apparenza vive una vita normale, serena, per quello che una donna della sua epoca può avere e desiderare, per quello che la sua epoca le offre: ha un marito, che neanche la picchia, una casa, modesta, un bambino con il quale gioca e scherza quando non è al lavoro, all’apparenza quindi la sua vita è, per le condizioni sociali del suo tempo, nella norma. Ma quando Maud arriverà in contatto con la realtà emancipazionista non potrà fare a meno di rendersi conto che seppure la sua condizione non è drammatica, le cose in generale non vanno bene per le donne e c’è bisogno di lottare, tutte insieme anche per chi non può, per chi sta peggio e soprattutto per chi verrà dopo. 
Questo è il più grande messaggio che le donne devono riscoprire.

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Suffragette-il film



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giovedì 1 ottobre 2015

Annie, la donna delle libertà

Almanacco del 1 Ottobre:



Annie Wood Besant in favore del suffraggio femminile
Annie Besant in uno dei suoi primi ritratti.
Credits: Wikipedia






Nata il 1 ottobre 1847 a Londra Annie Wood Besant nacque in una famiglia borghese dell’epoca vittoriana.
A 19 anni sposò il vicario Frank Besant da cui ebbe due figli. Il suo carattere molto indipendente, amante della libertà, le procurò parecchie frustrazioni nella vita domestica a cui cercò inizialmente di reagire scrivendo storie per bambini che ebbero anche un certo successo ma, come da costume dell’epoca, i guadagni furono tutti trattenuti dal marito poiché le donne sposate non avevano il diritto di proprietà. Nella sua opera sul matrimonio, "Il Matrimonio, come era, come è, come dovrebbe essere"del 1878 scriverà infatti proprio sui diritti delle donne sposate mettendo in luce che in realtà la donna, nonostante il passare dei secoli e delle varie società: romana, ebraica, medievale, non aveva acquisito diritti e tutto si basava su un principio cardine: "L'uomo e la donna sono un'unica persona" per cui però questa persona era di fatto il marito. La donna non era proprietaria del suo corpo, della sua reputazione, di se stessa" . Non era infatti in grado di richiedere un risarcimento per danni, anche morali, perchè la legge non la riconosceva se non sotto la tutela del marito. [1] 




Annie Besant nel 1880.
Credits: Wikipedia

Nel frattempo Annie cominciò anche a relazionarsi con il suo credo mettendo in discussione la propria fede e quando arrivò a rifiutare la comunione il marito, pastore protestante, chiese il divorzio.
Abbracciò quindi una visione secolare dello Stato rinnegando completamente la sua vecchia fede cristiana. Strinse una salda amicizia con Charles Bradlaugh, capo del movimento secolare britannico con cui scrisse numerosi articoli, tra cui uno sul controllo delle nascite nella classe operaia che suscitò ampie polemiche che la portarono fino in tribunale  e ad essere giudicata colpevole.


Dopo che la sentenza a 6 mesi di prigione fu ridimensionata in Appello, essa scrisse una sua opera sulla necessità della limitazione delle nascite nella classe operaia intitolata “La legge del popolo” in cui dalle leggi di riproduzione naturale che coinvolgono vegetali ed animali, dalle teorie di Darwin a quelle dei primi sociologi come Malthus e Stuart Mill, analizza le condizioni ambientali e sociali che condizionano la riproduzione umana e ravvede nelle guerre, nell'insalubrità dei luoghi di lavoro, nelle abitazioni troppo piccole che non garantiscono spazio ai suoi abitanti con episodi frequenti di bambini rimasti schiacciati durante il sonno perchè si dorme tutti in uno stesso, solo, letto, nonchè nella prolapsus uteri soprattutto nelle donne povere che subito dopo aver partorito devevano tornare al lavoro e non potevano dare ai propri muscoli il tempo fisiologico per riprendersi, le  condizioni che fino ad allora avevano regolato la crescita demografica ma che con il miglioramento della società erano destinate a scomparire, favorendo però un aumento della popolazione mondiale a cui non si sapeva far fronte soprattutto in considerazione delle risorse disponibili, da qui la necessità di un controllo demografico e quindi delle nascite.
Annie  Besant nel 1922
Credits: Wikipedia

Analizza quindi varie posizioni e soluzioni proposte come quella di Malthus che vorrebbe matrimoni differiti fino al momento in cui un uomo non era in grado di mantenere i propri figli, una soluzione tuttavia impraticabile per motivi etici, sentimentali, nessun uomo nè nessuna donna avrebbe accettato di restare celibe proprio nel mezzo della gioventù sia, adduce Annie, per motivi sanitari poichè l'astinenza sessuale era alla base di disturbi di salute documentati ad esempio nel Dizionario di Scienze Mediche di M. Villamay che provocavano isteria nella donna e spermatorrea nell'uomo. Annie quindi propone dei metodi contraccettivi per le donne, da una soluzione da inserire nel diaframma ad un raschino di utilizzo indiano ad un tampone vaginale e fornisce i nomi e gli indirizzi di quei medici che forniscono questo "servizio" a cui rivolgersi. [2]
L’idea di un controllo sulle nascite da parte della donna suscitò però scandalo e molti giornali dell’epoca, compreso il Times, definirono quest’opera “oscena” ; il marito, sulla base dello scandalo, le portò via i figli facendole revocare a vita la custodia.


L’amicizia con Charles Bradlaugh la portò a conoscere molti esponenti politici soprattutto socialisti come tra l'altro il commediografo George Bernard Shaw.

Dopo aver aderito alla Fondazione Nazionale Socialista, creò la sua rivista “Il Link” dalla quale continuò a sostenere i suoi punti di vista e a fare le sue rimostranze sulle condizioni, avulse da ogni diritto, in cui le donne dovevano lavorare, soprattutto sostenne, nello specifico, le precarie condizioni di igiene e salute delle operaie della fabbrica Bryant & May.
Aiutata infatti da alcune operaie della fabbrica scrisse l’articolo “ Le schiave bianche di Londra” pubblicato sulla sua rivista nel 1888, mettendo in luce le paghe inique delle donne che lavoravano anche 16 ore al giorno e i problemi di salute connessi al loro lavoro come il pericolo delle esalazioni del fosforo, alto elemento cancerogeno, che faceva cadere i capelli, e rendeva gialla la loro pelle.
Le operaie però che avevano passato ad Annie le informazioni furono licenziate dalla fabbrica.
Annie le aiutò creando il loro sindacato di cui divenne la leader. Proclamò quindi il primo sciopero che ebbe risonanza a livello nazionale. Dopo tre settimane la fabbrica annunciò il reinserimento delle operaie licenziate e nel 1901 il direttore della fabbrica, dato la cattiva pubblicità derivata dai fatti, decise di abolire l’uso del fosforo.
L’iniziativa inoltre ispirò la nascita dei sindacati in tutto il paese.

Nel 1889 AnnieWoodBesant fu eletta membro del Consiglio della scuola di Londra. Le sue iniziative per le scuole londinesi si caratterizzarono per favorire le classi sociali più deboli che furono supportate ad esempio con un pasto per tutti i denutriti e visite mediche gratuite in tutte le scuole elementari.
Nel 1890 si convertì, dopo un’intervista con Madame Blavatsky che la inventò nel 1875, alla Teosofia, basata sull’idea induista del karma e della reincarnazione.
Si trasferì quindi in India rimanendo sempre attenta alle esigenze delle donne, continuò infatti a scrivere articoli e lettere sui diritti della donna e nel 1911 appoggiò il movimento suffragista in favore del voto alle donne tornando anche a Londra come una delle voci più autorevoli che sostennero il movimento.

Annie Besant in India nel 1897.
Credits: Wikipedia

Anche in India si rivelò animo sensibile e portò avanti la causa dell’indipendenza indiana creando il primo partito politico “The Home Rule League” che chiedeva maggiori diritti di partecipazione e rappresentanza per l’India. Durante però la prima guerra mondiale le autorità britanniche ritennero pericolose le rimostranze mosse dalla Besant che venne quindi arrestata.

Questo portò alla reazione del Congresso e della Lega mussulmana che ne richiesero la scarcerazione con una lettera firmata tra l’ altro anche da Ghandi; fu liberata in settembre con la promessa da parte del governo inglese di importanti concessioni finalizzate all’indipendenza del paese come poi avvenne dopo la fine della guerra grazie anche alla leadership che si era accentrata ormai intorno a Ghandi.

Annie Besant morì in India il 20 settembre, 1933.

Annie Besant fu indubbiamente una figura emblematica della sua epoca e un riferimento di lotta per i diritti e la libertà nel suo più ampio respiro, tant'è che oggi perfino Google nella sua versione americana le regala il doodle commemorativo per  quello che sarebbe stato il suo 168° compleanno.
Il doodle di Google dedicato ad Annie Besant ritratta con in mano il New India.
Credits: Google



[1] A. BESANT, "Marriage, As It Was, As It Is, And As It                                          Should Be: A Plea For Reform", 1878;
[2]A. BESANT, " The Law Of Population", 1877


                                               Traduzione a cura di Silvia Palandri



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Alcuni suoi scritti:


sulle donne:

The Political Status of Women (1874)
The Law Of Population (1877)
Marriage, As It Was, As It Is, And As It Should Be: A Plea For Reform (1878)


sulla religione:

Why I became a Theosophist (1889)
Introduction to Yoga (1908)
Occult Chemistry
Esoteric Christianity




Bibliografia:
 BESANT Annie, "Autobiografia - Una mistica femminista fra Otto e Novecento" , Ed. Le Lettere. 2002.




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