mercoledì 26 gennaio 2022

L'Agenda globale delle donne indigene





L'Agenda globale delle donne indigene- Molte volte si è parlato di intersezionalità rispetto alle questioni legate alle donne. Da poco questo concetto, ormai base, è entrato nell'analisi della realtà femminile ed è utile ed ormai imprescindibile quando parliamo di condizione femminile. Si è visto infatti quanto anche tra donne sia diversa la loro condizione a seconda ad esempio del luogo dove nascono e del colore della pelle. Queste furono le critiche alla Mistica della femminilità di Betty Friedan , la più nota delle femministe della così detta seconda ondata che fu appunto 'accusata' in tempi recenti di non aver tenuto conto della condizione delle donne afroamericane ma solo delle donne bianche della classe media americana.
Qui puoi leggere il post
 su Betty Friedan


Esistono infatti più fattori che si sommano e che condizionano lo stato in cui vivono le donne. Spesso non valutiamo il fatto che esistono minoranze ancora più svantaggiate.

E' il caso delle culture indigene, ne esistono 5000 in tutto il mondo dove alle donne non sempre viene garantita pari dignità sociale. Spesso sono proprio loro ad avere minor accesso all'istruzione anche quella più elementare per cause come i matrimoni combinati e la maternità infantile. Anche in ambito di sanità poi risentono delle scarse risorse sanitarie con un alto tasso di mortalità materna.

Tuttavia la “questione indigena” non è sconosciuta alle organizzazioni internazionali che da vent'anni affrontano questa tematica con sessioni dedicate loro visto che sono il 6,2% della popolazione mondiale1 e proprio in vista di queste giornate le donne indigene stesse hanno pensato di organizzarsi per portare le loro istanze. Donne indigene da ogni parte del globo, dall'Oceania all'Asia, dalla Scandinavia all'America Latina, dalla Russia all'Africa, si sono riunite per confrontarsi e pianificare azioni e richieste da sottoporre ai governi coinvolti ed alle istituzioni internazionali preposte. E' nata così la prima Conferenza globale delle donne indigene nel 2013 a Lima con una delegazione di 200 donne in vista della Conferenza Mondiale dei Popoli Indigeni tenutasi l'anno seguente.

Anche lo scorso anno, in modo virtuale per la condizione della pandemia, si sono riunite questa volta quasi in cinquecento per focalizzare ed organizzare delle linee comuni d'azione con le quali imprimere una direzione alle politiche e ai fondi in favore delle donne indigene. Anche nel recente incontro di Glasgow sul clima si sono fatte sentire. In effetti spesso l'economia indigena è in mano alle donne che sono l'unica o la principale fonte di sostentamento delle proprie famiglie. In queste realtà sono loro a preservare tradizioni e valori in armonia con la natura e con un ecosistema che resta in equilibrio fin tanto che non si scontra con le esigenze di un mercato che richiede il massimo profitto e sfruttamento. In questo clima sono le donne indigene a trovarsi, spesso da sole, a lottare per proteggere il loro territorio e le loro tradizioni restando vittime di violenze di cui quelle sessuali sono solo le più raccontate seppur sempre con reticenza e come dice la rappresentante della First Nation canadese, spesso il femminicidio è collegato all'ecocidio.

E' chiaro quindi che il problema delle donne indigene interessa tutte e tutti e che le loro istanze toccano tutte noi perché se l'80% della biodiversità è in mano ai popoli indigeni la maggior parte di questa dipende, come visto, dalle donne indigene senza tener conto di un normale sentimento di “sorellanza” visto che spesso anche nelle loro comunità sono i soggetti più deboli con meno garanzie di sanità ed educazione di base. La pandemia poi ha, se possibile, acuito le differenze visto l'irragiungibilità di alcune zone in cui il vaccino non arriva e anche a livello economico; le economie delle donne indigene infatti sono spesso semplici e locali e non rientrano quindi nei fondi destinati all'imprenditoria formale per i danni che ha subito con la pandemia.


Le leader indigene, di ogni regione terrestre, hanno quindi sentito l'esigenza di confrontarsi e nella seconda Conferenza globale delle donne indigene (2019) sono riuscite a stilare una loro Agenda globale e politica con cui intervenire a livello internazionale per far sentire la loro voce e promuovere le loro istanze e necessità.

Già nel 2018 la FAO aveva istituito l'iniziativa di una sedia viola con cui invitava i governi, le associazioni accademiche, le autorità e istituzioni internazionali a favorire la partecipazione delle donne indigene nelle decisioni che coinvolgono le loro comunità. E poi c'è il Forum Internazionale delle donne Indigene creato dopo l'esperienza di Beijing del 1995 e che ormai è un'istituzione in grado di far valere la leadership femminile delle donne indigene e un punto di riferimento grazie alle capacità delle donne indigene a vari livelli politici ed internazionali.

Ancora nel marzo scorso l'ONU nel Dipartimento per gli affari economici e sociali ha reso noto il rapporto "State of the World's Indigenous People" in cui evidenzia l'imprescindibile rapporto tra cambiamenti climatici ed indigeni dato il legame con il loro territorio, ancora una volta è necessario sottolineare che questo è ancora più vero per le donne indigene che nella loro Agenda globale hanno infatti fissato i temi della partecipazione politica, dell'impatto della violenza sulle comunità e la difesa dei territori.

Come più volte evidenziato nella seconda Conferenza globale delle donne indigene è quindi un'evidenza sempre più pressante il fatto che bisognerà tener conto delle istanze delle indigene poiché, per concludere con loro, “Niente di noi, senza di noi”*.




1Studio globale sulla situazione delle donne e delle ragazze indigene, Seconda Conferenza globale delle donne indigene, 2019.

* Slogan della seconda Conferenza globale delle donne indigene.

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mercoledì 12 gennaio 2022

Veronica Franco - Antonella Favaro



Presunto ritratto di Veronica Franco
Tintotretto




Veronica Franco di Antonella Favaro



Chi era?


La “Magnifica domina Veronica Franca veneta” o una “publica meretrice”?

Veronica era prima di tutto una donna colta, una poetessa, una figlia obbediente, una madre premurosa, un’amica generosa.


Prima di parlare di lei vorrei raccontare come l’ho conosciuta.


Sono nata in una villa antica in un paese vicino a Venezia. Sono sempre stata una persona molto curiosa e fin da piccola mi sono dedicata alla ricerca. Frequentando gli antichi archivi veneziani, negli anni ho ricostruito la storia della villa individuando i proprietari che si sono succeduti nei secoli. Tra questi un certo Giovanni Battista Bernardo, un patrizio di Venezia molto ricco, con un meraviglioso palazzo sul Canal Grande, la villa in Terraferma (casa mia), una marea di possedimenti, una brillante carriera politica, una buona cultura dato che scrisse un paio di volumi dedicati alla filosofia e alla retorica.
Palazzo Bernardo
Di lui ho ricostruito tutta la vita.

A furia di fare ricerche mi sono appassionata alla storia di Venezia. Chi studia la Venezia del Cinquecento non può prescindere da Veronica Franco. Così, leggendo uno dei suoi testamenti, quello del 1570, non credevo ai miei occhi quando vi ho letto il nome del “mio” Giovanni Battista Bernardo. Veronica affidava la cura dei suoi figli proprio a lui: “voglio che lui puossi torli dove sarano, et quelli far governar come a lui parerà, perché son certa che li farà tratar ca se fossero suoi fioli…”.


Questo e altri documenti mi hanno fatto riflettere sul tipo di rapporto che c’era tra i due: come minimo c’era una profondissima stima e con molta probabilità anche molto di più.

Non è facile, con gli occhi del XXI secolo, spiegare la Venezia del Cinquecento. Tantomeno spiegare il mestiere di Veronica.

Fin dal Medioevo il meretricio era un fenomeno molto diffuso, come era normale per una città dedita ai commerci.

L’intento del Governo non era quello di vietarlo, ma di contenerlo, circoscriverlo, regolamentarlo.
Perché si trattava di qualcosa di molto importante almeno per due ordini di ragioni.
Per ragioni economiche: era pur sempre una forma di turismo, spesso praticato in stanze poste sopra le locande. Un giro di denaro che riguardava tutto l’indotto. Ma vi erano anche ragioni morali e di ordine pubblico, per le quali si andavano a cercare le giustificazioni presso i Padri della Chiesa. Sant’Agostino scrisse: “Togli le meretrici dalle cose umane e getterai tutto nel caos delle libidini” e per San Tommaso d’Aquino le meretrici dovevano essere permesse e tollerate per evitare un male peggiore, la sodomia, l’adulterio e altri misfatti. All’epoca c’era la reale paura che potesse accadere come a Sodoma; bastava un terremoto, una guerra o qualche evento catastrofico per gridare alla punizione divina. E i capri espiatori erano le minoranze come gli omosessuali o gli ebrei.

Nel Quattrocento il fenomeno del meretricio era ormai diffuso e spesso intorno alle abitazioni delle prostitute c’erano zuffe. Il Governo creò così un luogo, detto Castelletto, dove queste donne potessero lavorare protette da guardie pagate dallo Stato. Il doge stesso approvò i 25 punti della pubblica prostituzione a Rialto (Capitula postriboli Rivolati et super facto meretricum):


Loggia Bernarda
Ma l’esodo delle meretrici dal Castelletto fu irresistibile, già a fine Quattrocento le si poteva trovare ovunque.
Nel Cinquecento il fenomeno era oltre che diffuso, anche complesso e variegato: le prostitute crebbero in rapporto al crescere della domanda. Erano organizzate in piccoli o grandi bordelli allogati in osterie, stufe, case in affitto, in “scolete de donne” oppure in proprio.

La categoria acquisiva forza e allo stesso tempo al suo interno si differenziava a seconda di: età, bellezza, abilità specifiche, raffinatezza, cultura.

La grande novità è il costruirsi della figura della “cortigiana” detta anche “cortesana” o alla latina “curiale”.
Il termine Cortigiana col significato di meretrice “raffinata” lo troviamo per la prima volta a Roma, negli scritti di Giovanni Burcardo, maestro di cerimonie del papa Alessandro Borgia. Descrivendo una festa in Vaticano del 31 ottobre 1501, scrive che parteciparono “quinquaginta meretrices honeste cortegiane nuncupate” cinquanta meretrici oneste, chiamate cortigiane.
Pochi anni dopo, nel 1514, a Venezia, troviamo questo termine nei Diarii di Marin Sanudo a proposito della sepoltura ai Frari di Anzola “honorata et nominata meretrice”, di Lucia Trivixa, “cortesana molto nominata apresso musici dove a casa sua si riduseva tutte le virtù”.

Veronica Franco era una di queste cortigiane. Una delle “honorate”, nel senso letterale del termine: ricevevano molti onori.

Proveniva da una famiglia benestante e probabilmente fu iniziata al mestiere proprio dalla madre, Paola Fracassa, anch’essa cortigiana. Doveva essere nata nel 1545 o 1546. Del padre, Francesco, si sa poco, doveva essere la madre a mantenere la famiglia, che comprendeva anche tre fratelli.

Fu fatta sposare molto giovane con un medico, Paolo Panizza, ma se ne separò molto presto.
Prima dei vent’anni ebbe un figlio, Achilletto, da un mercante di Ragusa. Poi ne ebbe un altro, Enea, da Andrea Trono, o forse da Giovanni Battista Bernardo. Un altro da un Pizzamano. Secondo una sua stessa dichiarazione, partorì sei volte.

Compare nel famoso “Catalogo de tutte le principal et più honorate cortigiane di Venetia” redatto intorno al 1565. Ma ancora non doveva essere molto famosa, dato che la sua tariffa era molto bassa.
Raggiunse l’apice del successo nel 1574 quando il re Enrico di Valois fu a Venezia e scelse di passare una notte con lei. L’anno dopo pubblicò le sue Terze rime e quello successivo era a Roma, dal cardinale Luigi Corner, che di lei parla come la “magnifica domina Veronica Franca veneta”.

Pochi anni dopo, nel 1580, di lei si parla come di una “publica meretrice”. A chiamarla così è il precettore di Achilletto, Vanitelli, che la denuncia al Sant’Uffizio (la denuncia perché prima era stata Veronica a denunciarlo per la scomparsa in casa di alcuni oggetti). Alla denuncia segue un processo, in cui Veronica si difende da sola. Le accuse sono di non andare a messa, di mangiare carne il venerdì, di giocare a carte, di fare incantesimi per fare innamorare gli uomini. Cose così.

Per Vanitelli andava castigata perché “non infetti questa città”. Che non metta in pericolo gli innocenti anche se “ha ella troppo grande aiuto in questa Città et è favorita da molti”.

Il processo prende la piega della bega famigliare. Tutto si risolve in una bolla di sapone.

Lo stesso anno Veronica pubblica le sue Lettere famigliari a diversi.

Di lei non abbiamo più notizie fino alla morte, avvenuta il 22 luglio 1591: “La signora Veronica Francha de anni 45 da febre già giorni 20. San Moisè”.

Veronica aveva preparato un progetto per l’apertura di una “casa del soccorso” per prostitute anziane, ma non fu mai presentato alle autorità.

Questo è quello che emerge dai documenti. Dalle sue lettere e poesie possiamo capire molto del suo carattere e della sua personalità. Era legata all’aristocrazia intellettuale di Venezia e anche di fuori.

Non nascose mai, a differenza di altre sue colleghe, il suo mestiere.


Padrona del suo destino
Qui puoi leggere il post del film
Padrona del proprio destino”, come recita un bellissimo film dedicato a lei, pronta a difendere la propria condizione di donna “libera”. Libera di scegliere, libera di gestire i propri sentimenti e il proprio corpo. Nei suoi versi traspare la gioia per l’amore, anche per quello puramente fisico. Ma è sempre consapevole dei rischi e delle umiliazioni. Consapevole di far parte, come lei stessa scrisse in una lettera, della categoria di quelle “donne costrette a mangiare con l'altrui bocca, a dormire con gli occhi altrui, a muoversi secondo l'altrui desiderio”.

Una donna, insomma, onesta fino in fondo con se stessa.


Questa è la donna che ho scelto come coprotagonista del mio romanzo “Il patrizio e la cortigiana”.





Il patrizio e la cortigiana

Ed. Gaspari, Udine 2021

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Il Patrizio e la Cortigiana Antonella Favaro


Venezia, seconda metà del Cinquecento: la vita spensierata di Zuan Bernardo, giovane nobile veneziano, viene improvvisamente sconvolta a causa del matrimonio con una donna in attesa di un figlio non suo. Zuan si troverà a dover scegliere tra ciò che gli detta il cuore e quello che il suo lignaggio e la morale del tempo gli impongono in un'estenuante battaglia tra l'amore impossibile e i suoi doveri di buon patrizio. Sulla sua strada incontrerà personaggi come Palladio e Veronese, ma, soprattutto, la più famosa cortigiana veneziana di tutti i tempi: Veronica Franco.

Il romanzo è ispirato a una storia vera, emersa dai ricchi archivi veneziani, trasformata in un affresco della Venezia rinascimentale. Un dipinto che tratteggia un'epoca ormai lontana ma con passioni e sentimenti senza tempo.

 

Antonella Favaro vive a Udine dove insegna Italiano e Storia e Storia dell'Arte, ma ha vissuto per anni a poca distanza da Venezia. La villa veneta della sua famiglia e i nobili proprietari che si sono succeduti nei secoli, sono il denominatore comune delle sue ricerche, svolte principalmente negli archivi veneziani. Ha pubblicato alcuni saggi e un romanzo al riguardo, tra cui, con Gaspari editore, La vera storia dell'Otello di Shakespeare (2014) e I cavalieri di Venezia (2019).


Immagini fornite cortesemente dall'autrice Antonella Favaro



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sabato 1 gennaio 2022

Buon inizio...



Opportunità di Genere OG augura un nuovo anno ricco di opportunità 
con le parole della poeta Edith Lovejoy Pierce:

"Apriremo il libro.
Le sue pagine sono bianche.
Saremo noi a inserire le parole.
Il libro si chiama Opportunità e il suo primo capitolo è il primo giorno dell'anno..."


Auguri!





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