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martedì 16 luglio 2019

Scelto da voi- Storia di una Capinera










Qui puoi  leggere il post su
 Arcangela Tarabotti
Ecco in piena estate un altro bel suggerimento per un film che parla di un argomento che OG ha trattato molte volte soprattutto parlando di monacazioni forzate  che hanno riguardato molte donne che nei secoli passati erano destinate dalle proprie famiglie alla vita monastica o conventuale come ad esempio Arcangela Tarabotti . 

Qui puoi leggere il post su
 Enrichetta Caracciolo
Nonostante il Concilio di Trento tentò già nel 1500 di arginare questo fenomeno in realtà continuò fino all'Ottocento come dimostra la vita di un'altra grande donna di cui OG ha trattato, Enrichetta Caracciolo e come anche questo film di Zeffirelli del 1993, ispirato al romanzo di Verga, ci illustra ma lasciamo la parola ad Alice che ce lo ha segnalato scrivendo a 


opp.genere@gmail.com



Storia di una Capinera




Trama:


Maria è in convento fin da bambina quando rimasta orfana di madre decide per lei la nuova moglie del padre ma in età adolescenziale complice un'epidemia di colera è costretta ad uscire e tornare a casa dove assapora la vita, fa lunghe passeggiate e sta in mezzo alla gente. Conosce Nino un ragazzo di buona famiglia e i due si innamorano ma Maria, spaventata dai suoi sentimenti e da una vita che non l'ha preparata a questo, è molto combattuta e tormentata.


Quando Nino le chiede di scappare con lui, Maria atterrita rifiuta e si rifugia nell'unica vita che conosce e le dà sicurezza, quella del convento. Tornata novizia si rende conto però che le cose non saranno più le stesse per lei che si tormenta d'amore. Viene a conoscenza anche della storia di un'altra suora del suo convento che ritenuta pazza era stata segregata e a cui lei stessa fa assistenza. Scopre infatti che Suor Agnese é diventata pazza per un amore che non ha potuto vivere.


Maria una domenica a messa dalle grate del convento vede il suo amato Nino sposo a sua sorella, la coppia va a vivere proprio davanti il convento da cui Maria spia la vita da dietro le grate a cui è relegata.

Una notte, tormentata d'amore scappa dal convento e raggiunge l'innamorato che l'accoglie in casa con sua moglie, la sorella di Maria che aspetta un figlio. Maria a questo punto capisce che ormai non c'è più modo di rimediare e che nonostante Nino le voglia ancora bene ormai ciò che è fatto è fatto.

Maria torna in convento affranta e disperata con l'unica certezza che il suo destino ormai non può che essere la vita claustrale a cui da sempre era stata destinata. Il film si conclude con i suoi occhi spalancati, impauriti sotto il drappo nero che ne conferma i voti facendo di lei una monaca per sempre  la cui sorte rimane un'enigma ombrato dallo spettro di una pazzia confinata sull'esempio di Suor Agnese.


Scelto perché:


La vita delle donne spesso è condizionata come se fosse già predestinata, una predestinazione che dà certezze ma che toglie libertà!




Alice
Link affiliato per l'acquisto:
Storia di una Capinera Giovanni Verga

Titolo: Storia di una Capinera
Nazionalità: ITA
Durata: 105
Anno: 1993
Regia: Franco Zeffirelli
Cast: Angela Bettis, Vanessa Redgrave, Johnathon Schaech





COPYRIGHT dei contenuti dove non diversamente specificato

domenica 24 febbraio 2019

Arcangela Tarabotti- Una stella fissa condannata in un chiostro per sempre








Almanacco del 24 febbraio:


Fu battezzata il 24 febbraio Elena Cassandra Tarabotti nel 1604 ma non si conosce ad oggi la sua data di nascita, forse uno scherzo del destino poiché Elena "apparterrà al mondo" solo per pochi anni, verrà infatti introdotta in convento intorno al 1617 prima come educanda e poi come novizia. E tortuoso sarà quindi anche il suo cammino in convento visto che la sua famiglia decise per lei l'abito monacale.





Elena si sentirà sempre tradita dai suoi genitori tanto che riporterà nella sua prima opera letteraria questa terribile esperienza paragonandola a quella di un uccellino che se ne sta libero finché non viene accalappiato da una rete e privato della libertà. Ed Elena soffrirà molto la sua condizione tanto da avere spesso malanni che la costringeranno a continue cure ma che allo stesso tempo saranno anche la spinta a scrivere per denunciare una condizione, quella delle monacazioni forzate, che riguardava in realtà molte altre figlie della Serenissima.


Il fenomeno delle monacazioni forzate infatti era all'epoca uno strumento molto usato non solo a Venezia nonostante le linee del Concilio di Trento.


L' opera “La tirannia paterna” che verrà pubblicata solo postuma con il titolo di “La Semplicità ingannata” descrive proprio la cattiveria paterna nel destinare ad una reclusione perenne quelle figlie che per meri motivi economici, una dote conventuale era più sostenibile di una maritale, o estetici, poco attraenti per trovare un buon partito, subivano un destino di sofferenza.



Elena era zoppa, come suo padre, e forse per questo finì in convento oltre al fatto di poter dare alle sue sorelle, più piccole, l'opportunità di sposarsi, procrastinando la spesa delle doti che altrimenti sarebbe stata dilapidata anni prima.

Così a sedici anni, nel 1620 prese i voti ma fu consacrata solo ben nove anni dopo. Nacque così Suor Arcangela, nome con cui passerà alla storia e ai posteri grazie alle sue opere, frutto di un intelletto che ci ha regalato il quadro di un'epoca complessa in uno Stato, quello della Repubblica Veneziana, intriso di lusso, bellezza, ricchezza ma anche di ipocrisia e violenza.


Seppur poco nota Arcangela Tarabotti è ormai riconosciuta tra le grandi firme letterarie del Seicento veneziano al pari, e in alcuni casi anche maggiormente, di altri suoi colleghi ingiustamente più noti. Filo conduttore delle sue opere, solo 6 arrivate a noi, c'è la difesa delle donne che soprattutto in quel periodo erano bersaglio di disputa ed offese in quella che è passata alla storia come la così detta “querelle des femmes”. Suor Arcangela per quanto autodidatta seppe tener testa ai maggiori intellettuali dell'epoca e spesso dovette ricorrere alle Sacre Scritture per sconfessare una presunta inferiorità femminile con la quale si difendeva e perpetuava una condizione sociale, ed economica, di subordinazione all'uomo. 

Arcangela Tarabotti si sofferma in particolare in tutte le sue opere, almeno quelle arrivate fino a noi, sulla necessità di dare un'istruzione alle donne [1] afferma infatti “Permettete alla donna di frequentare la scuola, ammettetela nelle vostre università e vedrete s'ella non saprà professare quanto voi la magistratura, la medicina, la giurisprudenza e il resto”[2]. Tutelò le donne con una difesa dotta e precisa volta a riconoscere alle donne un animo umano, come nello scritto "Che le donne siano della stessa specie degli uomini", stesse possibilità d'istruzione che si tradurrebbero in stessi mestieri e guadagni, perché anche l'indipendenza economica era importante per una donna, insomma secoli prima di Virginia Woolf, una stanza tutta per se'.

E lei, Arcangela-Elena, ebbe davvero una stanza, anzi una cella, tutta per lei dove leggeva, anche libri messi all'Indice, scriveva, anche lettere agli accademici denigratori, pregava, perché nonostante tutto credeva e difendeva anzi le vere monacazioni che facevano bene alla religione.



Morì in convento a Venezia nel 1652 probabilmente per una bronchite a circa 46 anni, il 28 febbraio ma era entrata già tra le firme più lette dai suoi contemporanei anche se in seguito cadrà nel dimenticatoio fino al XX secolo quando si svilupperanno ricerche e studi alternativamente fino ai nostri giorni.
Qui puoi leggere il post su Arcangela Tarabotti 
Io ho dato il mio piccolo contributo alla sua storia e ai suoi scritti nel 2004 con la mia tesi di laurea,  e in seguito con articoli anche internazionali, (vedi l' articolo per la rete delle università inglesi Women's Network) nonché creando la voce su Wikipedia, con la volontà di contribuire alla riscoperta di una letterata, sì, ma soprattutto una figura di donna esemplare che con i suoi scritti ha così attraversato il tempo e le epoche per lei che non poteva essere “una stella errante, ma più tosto una stella fissa, condannata nel cielo di un chiostro per sempre” [3].


Credits by: OpportunitàdiGenere OG,
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Immagine di OpportunitàdiGenere OG,
tutti i diritti d'uso e riproduzione riservati.




[1] Silvia PALANDRI, "L'istruzione femminile nel pensiero di Arcangela Tarabotti", tesi laurea, Università Roma Tre, A.A. 2003-2004. 
[2] E.ZANETTE; “Suor Arcangela monaca del Seicento veneziano”, 1960, Istituto per la Coll.zione Culturale, pag. 224. 
[3] G. CONTI ODORISIO, “Donna e Società nel Seicento”, 1979, Bulzoni, pag. 216.




Bibliografia parziale ricavata dalla mia tesi, aggiornata:




E. A. Cicogna, Delle iscrizioni veneziane raccolte e illustrate, Venezia, Orlandelli, 1824.
G. Portigliotti, Penombre claustrali, Milano, Treves editori, 1930. 
E. Zanette, Suor Arcangela monaca del Seicento veneziano, Venezia-Roma, Istituto per la collaborazione culturale, 1960. 
G. Conti Odorisio, Donne e Società nel Seicento. Lucrezia Marinelli e Arcangela Tarabotti, Roma, Bulzoni editore, 1979. 
N. Costa- Zalessow, Scrittrici mistiche italiane dal XIII al XX secolo. Testi e critica, Ravenna, Longo Editore, 1982. 
F. Medioli, L'Inferno monacale di Arcangela Tarabotti, Trino, Rosenberg&Sellier, 1990. 
L. Panizza (a cura di), Women are no less rational than Men, Arcangela Tarabotti "Che le donne siano della spezie degli uomini", edited with an introductory essay by Letizia Panizza, London, Institute of Romance Studies, 1994. 
E. Weaver (a cura di), Satira e Antisatira, Francesco Buoninsegni, Suor Arcangela Tarabotti, Roma, Salerno editrice, 1998. 
L. Panizza, Women in Italian Reinassance Culture and Society, Oxford, Legenda, 2000. 
S. Palandri, "L'istruzione femminile nel pensiero di Arcangela Tarabotti", Tesi di Laurea, Università degli Studi Roma Tre, 2003-2004.
L. Panizza ( a cura di), Paternal Tyranny, Chicago, University of Chicago Press, 2004. 
L. L Westwater- M. Kennedy Ray (a cura di), Lettere familiari e di complimento, Torino, Rosenberg&Sellier, 2005.
S. Bortot (a cura di), La Semplicità ingannata, Padova, Il Poligrafo, 2008. 
M. K. Ray- L. L. Westwater, Letters Familiar and Formal (The other Voice in Early Modern Europe: The Toronto Series), Centre for Reformation and Renaissance Studies, 2012. 
Lynn Lara Westwater, A Rediscovered Friendship in the Republic of Letters: The Unpublished Correspondence of Arcangela Tarabotti and Ismaël Boulliau, Renaissance Quarterly, Vol. 65, No. 1, pp. 67-134, 2012.
G. Scarabello, "Venezia tre figlie della Repubblica Bianca Cappello, Veronica Franco, Arcangela Tarabotti", 2013.
S. Mantioni (a cura di), Che le Donne siano della spetie degli Huomini. Un trattato proto-femminista del XVII secolo, Capua, Artetetraedizioni, 2015.





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mercoledì 15 novembre 2017

Mistiche d'Italia- Lucrezia della Genga e le Lucrezie todine



Mistiche d'Italia- Lucrezia della Genga e le Lucrezie todine



Arrivando a Todi tutto colpisce per il suo aspetto antico eppure attuale, accogliente come la sua piazza che ti riporta ad un tempo lontano capace di immergerti in fatti passati facendoti respirare la sua epoca come il Duomo dalla sua imponente scalinata che come un abbraccio ti invita a salire per entrare nel mistero spirituale confortato dai palazzi temporali al suo fianco come il Comune e i suoi grandiosi archi e con la scalinata su cui ti sembra di poter vedere ancora un avo con il suo mantello di feltro che si arrocca sui suoi gradini per questioni di massima urgenza.

E tra i palazzi dei potenti, religiosi o laici che siano, sta un piccolo convento che si fatica quasi a trovare se non con caparbia volontà lo si cerca. E' noto come “Le Lucrezie”.

L'entrata al monastero
Un portale di legno accoglie il visitatore in quello che oggi è il Museo lapidario della città e il teatro ricavato nel primo ordine del monastero detto “delle aquile”, poiché lì è stato ritrovato un nido di aquila che suffragherebbe la leggenda fondativa di Todi il cui simbolo è infatti un'aquila perché si vuole che questo rapace abbia indicato ai primi abitanti dove fondare la città poggiandosi su queste terre.

Il Chiostro
Il monastero regala poi dal suo chiostro un panorama mozzafiato che riconcilia gli affari terreni con lo spirito e questo forse è stato proprio il volere della sua fondatrice che qui volle dare dimora stabile al Terzo Ordine francescano presente a Todi già dalla fine del 1200 ma senza una fissa residenza. A questo inconveniente volle riparare appunto una nobile donna.  
Lucrezia della Genga, figlia di Simone della Genga, conte della Genga nella Marca Anconetana, nacque intorno al 1340 e andò in sposa a Federico Baldino dei conti di Marsciano da cui ebbe un figlio che come tradizione vuole fu chiamato come il nonno, Baldino.
Proveniente da Roma ma la cui famiglia era originaria delle Marche, a Roma fondò un convento presso la chiesa di Santa Maria della Minerva1.
Rimasta vedova già nel 1400 dopo che perse anche suo figlio a breve distanza dal marito2, ebbe problemi con la famiglia dei Conti Marsciano che rivendicavano indietro la dote. Lucrezia volle investire invece questi averi creando un monastero che accogliesse le terziarie francescane. Nel 1411 è documentato l'ordine di costruzione di un monastero a Todi.3
L'entrata del monastero

L'esempio infatti di San Francesco e di Santa Chiara aveva ispirato molte seguaci che volevano vivere secondo la regola dei Santi francescani, in collettività senza prendere i voti e rimanendo nella società in mezzo ai più bisognosi, come accadde a Foligno con la Beata Angela, la Magistra Theologorum, convertitasi dopo aver visitato la tomba di San Francesco nel 1299, definita addirittura alter Franciscus4 e in questo stesso periodo a Beata Angelinafiglia del Conte Giacomo Maresciano5, cognata di Lucrezia, che sempre a Foligno nel convento di Sant'Anna diede sede al terzo ordine francescano regolare nel 1388, riconosciuto ufficialmente nel 1404 da Papa Bonifacio IX.6
Figure femminili negli affreschi
della Cappella monacale
Alcuni vogliono proprio Angelina tra le prime seguaci di Lucrezia nel monastero todino allorché in numero di dodici, le donne che composero il primo nucleo stanziale dell'ordine francescano, si fermarono a Todi. Lucrezia acquistò un primo nucleo di abitazioni da cui prese avvio il complesso conventuale: domus seu locus religiosus.



Il Chiostro
Nel 1425, all'età di 84 anni, Lucrezia fece testamento davanti al notaio Bartolomeo di Guarriscio di Francesco il 28 marzo7 nel quale oltre a citare come eredi i nipoti, i figli del fratello Contuccio della Genga8, lasciava gli stabili del monastero alle sue consorelle tra cui sua sorella Caterina Zuccano che le succedette alla guida del monastero nel 14289.

Inizialmente al monastero fu dato il nome di San Giovanni Battista ma dopo il lascito di Lucrezia che venne ulteriormente ampliato grazie alle altre consorelle che acquistarono altri edifici attigui, venne per tutti e da allora chiamato “Le Lucrezie”.

La piazzetta antistante l'entrata

Nel 1429 infatti anche le altre consorelle parteciparono attivamente all'ampliamento dello stabile acquistando altre proprietà limitrofe ed ingrandendo così il monastero tanto da riuscire a creare una piazzetta antistante l'arco di entrata.


All'entrata del monastero si trovava lo strumento emblematico della clausura delle monache: la Ruota.
Sebbene inizialmente l'ordine terziario francescano non prevedesse la clausura nel tempo e soprattutto con il Concilio di Trento questa fu imposta anche al monastero delle Lucrezie dove la Ruota divenne quindi strumento di comunicazione con l'esterno. Essa veniva usata sia per introdurre derrate alimentari sia vestiario e comunicazioni quando a volte anche infanti che venivano affidati alle cure delle monache.
La Ruota del monastero delle Lucrezie.

Dopo la Controriforma nel 1498, l'importanza della Ruota venne sottolineata e rafforzata dall'Arcivescovo Angelo Cesi che ne volle rimarcare l'importanza e anzi chiuse la porta del monastero dall'esterno in favore di un maggior lavoro della Ruota quale unico mezzo di contatto con il mondo esterno: “...onde evitare qualunque inconveniente che fosse in ogni tempo mai potuto insorgere10.

La Cappella del monastero, oggi museo lapidario di Todi.
La Cappella è rimasta invece dedicata a San Giovanni Battista e annovera affreschi della prima metà del Seicento ed oggi ospita la collezione del Museo Lapidario.


I tre ordini del monastero
Sebbene alla fine del '400 i conventi e i monasteri attraversassero un periodo di crisi e difficoltà, il monastero creato e voluto da Lucrezia invece incontrò la beneficenza di molti laici todini che permisero così l'ingrandimento dell'edificio che quindi alla fine e a tutt'oggi conta una struttura fatta di tre ordini.
Trai suoi beneficiari si annovera anche Papa Eugenio IV che nella sua impresa di riformare la chiesa cattolica fece delle concessioni al monastero11.

Lucrezia della Genga non sarà ritenuta né santa né beata ma ebbe comunque il grande merito locale di dare una sede stabile alla congregazione francescana dell'ordine terziario che presente nella città dal 1298 non aveva mai avuto una residenza permanente che appunto le diede Lucrezia entro le mura fortificate di Todi da cui ammirare e contemplare la natura e tutte le sue creature. Scelse infatti un luogo a ridosso delle mura romane, un po' arroccato che nelle epoche più moderne soffrirà infatti delle frane che porteranno le monache nel 1700 e definitivamente nel 1800 a dover abbandonare il monastero per le importanti lesioni che avevano colpito
Il panorama dal Chiostro del monastero delle Lucrezie
l'edificio12 ma dal suo chiostro, che spicca sulla vallata teverina, non è possibile non fermarsi a contemplare la meraviglia del Creato proprio come San Francesco insegna.


Il complesso del monastero visto dai giardini Oberdan.
L'opera di Lucrezia è oggi ancora importante per tutto il tessuto urbano e popolare todino; il complesso del Convento delle Lucrezie infatti è un importante fulcro per la popolazione locale essendo sede del Museo lapidario nei locali dell'ex cappella conventuale, sede del teatro detto “nido delle aquile” nel primo ordine mentre nell'ordine superiore è presente una scuola.



Lucrezia morì nel 1445.











1Pannello espositivo Convento Le Lucrezie, Todi.
2www.beatangelinadimarsciano.it      consultato  11/11/ 2017
3www.siusa. archivi.beniculturali.it    consultato il 13/11/ 2017
4Andreoli S. “Angela da Foligno “alter Franciscus. VII centenario della morte", Roma, 2008.
5 Moroni Romano G.,“Dizionario di erudizione storico- eclessiastica da San Pietro sino ai nostri giorni” Volume 38, Pag. 246, 1844.
6www.beatangelinadimarsciano.it URL Cit.
7 Pannello espositivo del Convento delle Lucrezie, Todi.
8URL www.beatangelina Cit.
9www.monasticmatrix.osu.edu/monasticon/s-giovanni-di-paragnano     consultato il 12/11/ 2017
10Pannello espositivo del monastero delle Lucrezie, Todi.
11www.siusa.archivi.beniculturali.it URL Cit.
12Opera Ipogea, 1/2010, pag. 36.





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lunedì 22 maggio 2017

Arcangela Tarabotti: una monaca in difesa delle donne








Il mio incontro con Suor Arcangela Tarabotti, al secolo Elena Cassandra Tarabotti, risale a più di dieci anni fa quando mi laureai proprio sulla figura di Arcangela con una tesi dal titolo "L'istruzione femminile nel pensiero di Arcangela Tarabotti" grazie alla Professoressa Anna Maria Ginevra Conti Odorisio, che per chi non la conoscesse è una delle maggiori studiose ed esperte di Women's Studies in Europa. 

La passione che scaturì da quell'incontro è ancora viva e non potrebbe essere diversamente visto la caratura della donna in questione. Mi “innamorai” di Arcangela Tarabotti per la forza delle sue parole che in alcuni suoi scritti diventa veemenza nel difendere la dignità femminile.


Arcangela Tarabotti nasce a Venezia nel 1604 e ancora poco più che bambina viene destinata al convento dai suoi genitori probabilmente per un difetto fisico, era infatti claudicante, oppure perché maggiore tra le sorelle in questo modo dava alla famiglia Tarabotti la possibilità di procrastinare la spesa per le doti delle altre figlie più piccole, fatto sta che la pratica delle monacazioni forzate era una pratica molto in uso in quel tempo ed era tollerata sia dal Governo veneziano che dalla Curia.

Arcangela prese i voti ancora da adolescente e ricordando il rito di passaggio nei suoi scritti ormai da adulta ancora ne parla con un senso di disperazione per la condizione di forzata, un senso di oppressione che non la abbandonerà mai nel corso della sua vita, sacrificata all'interno di un monastero benedettino, quello di Sant'Anna. Suor Arcangela però ricorderà sempre anche il tradimento subito da parte dei suoi genitori che l'avevano costretta al chiuso di un chiostro a vita e nella sua opera “La semplicità ingannata” usa la metafora proprio di un uccellino che ignaro e fiducioso si libra nell'aria ma che viene invece preso in una rete e intrappolato. 


Il monastero di Sant'Anna a Venezia
dove nel 1617 Elena prese i voti
diventando Suor Arcangela


Credits By Didier Descouens 
La grandezza della figura di Arcangela è che, partendo dalla sua condizione personale, riesce ad individuare  gli aspetti economici e sociali che portano tante disperate nei conventi e monasteri;  ritrova motivazioni socio-economiche, come diremmo oggi, che riguardano l'intera società barocca veneziana.  Riesce a capire e mettere in luce le ragioni che portano il Governo veneziano e i suoi cittadini ad una pratica così odiosa per le loro figlie ma anche agli occhi di Dio, infatti Arcangela sottolinea anche le responsabilità che la Chiesa, nonostante il Concilio di Trento, dimostra in questa consuetudine. 

Suor Arcangela dà così voce al suo malessere e disagio ma non solo “vendica” infatti tutte le sfortunate come lei, chi non ricorda la manzoniana monaca di Monza?, e addirittura usa gli stessi versi delle Sacre Scritture per difendere le donne, tutte, dagli attacchi misogini che all'epoca si riversavano sulle donne, tutte, in quanto tali cioè esseri inferiori nate solo per servire l'uomo. Suor Arcangela Tarabotti infatti seppur come autodidatta difenderà  le donne dalla polemica dell'epoca che voleva mettere in dubbio l'esistenza di un'anima anche per il genere femminile e lo farà appellandosi alle Sacre Scritture e al Vangelo.

Arcangela Tarabotti è passata alla Storia come Suor Arcangela ma lei forse si pensava solo e semplicemente Elena che voleva essere: “Una stella errante” e io ho cercato così di raccogliere la sua testimonianza di donna e portare la sua voce al di là del suo tempo...

Così per Wikidonne, il progetto di Wikipedia per diminuire il gap di genere presente nelle voci enciclopediche curato dalle utenti, storiche, accademiche, giornaliste, insegnati, scrittrici... ho curato la voce enciclopedica che la riguarda mentre il mio ultimo contributo è per il blog "Women's History Network" curato da un'associazione di accademiche delle varie università inglesi che si occupano di Women's Studies: "Arcangela Tarabotti, Elena Cassandra: a feminist Venetian Republic  Nun ".  

Qui puoi leggere il post su
Arcangela Tarabotti su
Women's History Network



















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lunedì 17 febbraio 2014

La monaca fuggita ai misteri claustrali e rinata nell'Italia Unita


Almanacco del 17 Febbraio:

La Signora di Monza, Giuseppe Molteni, 1847, Musei Civici di Pavia.



Enrichetta Caracciolo nasce oggi 17 Febbraio 1821, una vita straordinaria che pare un romanzo, uno di quelli scritti da qualche sua contemporanea per denunciare ed esemplificare la condizione femminile e che invece non prende spunto da un’emblematica vita esemplificativa ma è biografia, storia di vita vissuta sulla pelle, come quella di tante eroine, e parola non fu mai più adatta se non per lei.

Nasce a Napoli da don Fabio Caracciolo, figlio del Principe di Forino, maresciallo dell’esercito napoletano, e dalla nobildonna Teresa Cutelli, in una “delle prime e più cospicue famiglie di Napoli” [1] e vive un’esistenza abbastanza tranquilla tra Bari, Napoli e Reggio Calabria, a parte una parentesi di qualche anno che li vede caduti in disgrazia per la perdita del lavoro del padre, quando l’amato padre muore per un’infezione agli organi interni. A fronte della volontà di sua madre di risposarsi, c’è l’inganno materno che vede Enrichetta avviata, a sua insaputa, in convento. Si attua quello che una monaca “forzata” di qualche secolo prima, la Tarabotti, identifica come il tradimento più grande, quello dei propri genitori.
Enrichetta cerca riparo dalla decisione materna disperandosi e piangendo così che la madre le promette che starà in convento solo pochi mesi per poi riprenderla in casa.
Enrichetta così si ritrova destinata, come nella “migliore” tradizione al convento dove già erano presenti delle sue zie paterne, a Napoli al Convento di San Gregorio Armeno, di tradizione benedettina, poiché: “(...) mi dava il nome di Enrichetta, nome di una monaca zia paterna: una delle innumerabili offerte, che all’ordine di San Benedetto, consacrò la mia stirpe”.[2]
Enrichetta subisce quello che nella società era abitudine consumata sulla pelle delle donne, le sue sorelle maggiori infatti saranno maritate ma lei, con due amori andati male e senza dote dopo la morte del padre, sarà l’unica a subire, quinta di sette figlie, una monacazione forzata, perfino Giuseppina malforme, ormai zoppa dopo una rovinosa caduta troverà da sposarsi.

Enrichetta sarà vittima di una prassi in teoria già condannata dalla Controriforma del cinquecento ma che non aveva in realtà avuto alcun effetto sulla consuetudine ben più consolidata nella cultura della società pre- italica e che anzi metteva in risalto un mal costume diffuso e condiviso, unitario ancor prima che si formi la nazione.

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Enrichetta dunque però almeno inizialmente riesce ad uscire dal convento, decisa a non prendere i voti nonostante le insistenze di tutte le altre monache, nonché della badessa sua zia, dei prelati e dei confessori e si rifugia a casa di un cognato dove viene a sapere dalle sorelle maggiori, sposatesi a Reggio, che la loro madre sta per risposarsi proprio a Reggio e vuole condurla lì per farla entrare in un convento in Calabria, e che anche il suo fidanzato ormai si è messo l’anima in pace e corteggia un’altra. Enrichetta a questo punto, trovatasi sola, senza appoggi e senza un posto dove andare, raggiunta dai gendarmi che l’accusano di insubordinazione ai voleri della madre, e che vogliono portarla all’imbarco per Reggio e farle raggiungere così sua madre, è quindi costretta a tornare in convento e prendere i voti: “Il mio sacrificio da quel momento era consumato: mi considerai una vittima”.[3]

Così nel 1841 Enrichetta prende i voti definitivi e si ritrova monaca suo malgrado ma se “avevo fatto alla comunità il sacrificio della mia persona ma non già quello della mia ragione, che è un diritto inalienabile”[4] ormai “Morto il passato, estinto l’avvenire per me; le memorie un vano sogno: le speranze un delitto”[5] , “Non doveva più avere né madre,  né sorelle,  né parenti, né amici, né sostanza alcuna; aveva abdicata perfino la mia personalità”[6].
La Monaca di Monza, Mosé Bianchi, 1867 , Musei Civici di Monza.


Il primo impatto in convento fu dei peggiori, ritrovandosi a vivere, in clausura, lei, colta e amante delle arti e della letteratura, in un ambiente fatto da monache rozze, incolte, semi analfabete “la più parte giovani, o almeno non vecchie, e tutte, siccome dissi, appartenenti alle più cospicui, se non sempre alle più ricche, famiglie dell’ex capitale.
Ebbi però l’occasione d’osservare,  fin dal primo giorno del mio ingresso al convento, che le condizioni intellettuali e morali di quelle suore non rispondevano punto all’elevatezza de’ loro natali”[7].

La sua esistenza come detto sembra un romanzo e così anche Enrichetta, come ogni eroina che si rispetti, ebbe il suo cattivo: l’arcivescovo di Napoli, Riario Sforza, a cui dedicherà un intero capitolo, il XVII , delle sue Memorie.
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Con l’elezione di Papa Pio IX, Enrichetta pensa di avere un barlume di speranza nel risolvere la sua condizione chiedendo clemenza direttamente al Pontefice che non sembrò affatto contrario alle sue richieste se non che l’arcivescovo di Napoli, Riario Sforza non volle rilasciare il nullaosta che avrebbe potuto consentire ad Enrichetta di intraprendere una nuova vita, contravvenendo anche alle preferenze papali.

Durante i moti del ’48 Enricchetta riprende animo e incurante della fama che le viene  riservata legge, anche a voce alta, nel convento i giornali “rivoluzionari” meritando l’accusa di essere coinvolta in società segrete, rivoluzionarie. Forte delle scosse che la società stava vivendo torna ad appellarsi al Papa per la sua libertà, informandolo che altrimenti avrebbe approfittato della libertà di stampa per far conoscere la sua condizione di monaca forzata che interessava anche tante altre donne. Così questo l’autorizza a recarsi in un conservatorio, di Costantinopoli,  ma l’ arcivescovo Sforza, sentitosi sconfitto la obbliga a lasciare al convento i beni di famiglia, i preziosi e l’argenteria.

  Arrivata al Conservatorio di Costantinopoli,  però la monaca trova un ambiente tutt’altro che aperto e conciliante e in cui dovette abbandonare ogni speranza di poter coltivare le sue letture e si dovette concentrare allora esclusivamente sulle biografie delle santi e martiri della Chiesa, scoprendo quanto le figure femminili avevano contribuito, rivelandosi fondamentali ma non per questo valutate e riconosciute.

Immagine di Enrichetta Caracciolo nella copertina delle sue Memorie
Nel frattempo, lo Sforza continua la sua lotta contro Enrichetta e riusce ad intercettarne alcuni scritti che essa faceva uscire dal Conservatorio con la compiacenza di una governante. Questi scritti furono portati al Papa per convincerlo a non cedere alle richieste strazianti di Enrichetta e della sua madre, divorziatasi nel frattempo dal secondo marito e ormai pentita dell’ingiustizia.

Solo nel 1849 Enrichetta riesce finalmente ad uscire dal conservatorio per essere curata ai nervi, in compagnia della madre ma il nullaosta le viene negato l’anno successivo per volontà del Vicario di Napoli, Riario Sforza.
A questo punto anche la madre di Enrichetta, Teresa, si applicò per “salvare” la figlia facendola  evadere e rifugiare a Capua sotto la protezione del  vescovo che però morì solo pochi giorni  dopo ma con l’ aiuto di un amico sacerdote, Enrichetta ebbe il permesso di andare ad abitare con la madre dovendo però seguire la regola della Canonichesse di Sant’Anna, e riuscì anche a farsi restituire la rendita della sua dote monacale che Riario Sforza le aveva sequestrato, facendola vivere esclusivamente grazie al sostentamento e all’aiuto parentale.
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 Nel 1851, lo stesso arcivescovo, forte della sua influenza su Ferdinando II, la fa arrestare e condurre alla Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Mondragone dove Enrichetta tentò il suicidio, dapprima rifiutando il cibo, e poi pugnalandosi in petto. Ormai debole per la carenza di nutrizione però la sua ferita risultò lieve e non tale da portarla a morte, così sopravvisse e per un intero anno resistette alla clausura più totale, quando però le fu impedito anche di recarsi al capezzale della madre morente, aiutata dai parenti e dalle zie si rivolse ancora una volta alla curia per chiedere aiuto, si appellò alla Sacra Congregazione per avere il permesso di recarsi ai Bagni di Castellamare per curarsi la salute, questa volta ottenendolo, infatti ormai anche la curia era infastidita dalla persecuzione, a questo punto palese e personale, del Riario nei confronti della Caracciolo e trovò un equivoco di fondo nella lettera dell’arcivescovo per acconsentire alle cure.

Da qui Enrichetta trovò una nuova vita: “Il 4 Novembre del 1854, dopo tre anni e quattro mesi di crudele prigionia, rividi la luce del giorno”[8].
Rientrata in incognito a Napoli, per aiutare la causa del paese Italia: “Che faceva intanto io inoperosa in Castellamare? [...] pensando dunque che si sarebbe in Napoli ritrovato un piccolo posto anche per la mia personale operosità, pensai di mettere in non cale ogni pericolo, purché potessi prestare anch’io qualche tenuissimo servigio al  movimento che s’ordinava”[9], si diede, come si dice, alla macchia, cambiando abitazione e personale di servizio come si cambia tovaglia per sfuggire alle spie dei Borboni e del suo acerrimo e storico nemico che l’aspettava per la resa dei conti, l’arcivescovo Sforza.

Ormai era davvero in contatto con i liberali, con i padri della nazione unita così nel 1860, durante la messa del Te Deum per festeggiare la fuga del re Francesco II delle Due Sicilie, in presenza di Garibaldi “[...] Io toltami il velo nero dal capo, e ripostolo sur un altare, ne feci atto di restituzione alla Chiesa, che me la aveva dato vent’anni fa. VOTUM FECI, GRATIAM ACCEPI”[10].

Cominciò così una nuova vita per Enrichetta, la sua vita, non meno avventurosa ed affascinante.
Si sposa con Giovanni Greuther, scegliendo il rito protestante dopo la negazione della chiesa cattolica, e comincia a raccontare, grazie alla stampa la sua straordinaria esistenza scalfita dalla monacazione.
La prima opera di Enrichetta Caracciolo, le sue Memorie.
Nel 1864 sarà la volta della sua prima opera, le sue memorie che furono tradotte in ben sei lingue, inglese, francese, tedesco, spagnolo, ungherese e greco ed ebbero un successo strepitoso anche in patria con ben otto ristampe, che le valsero anche le lodi di Manzoni e di Garibaldi.
Di due anni dopo, del 1866, è la sua seconda opera “Un delitto impunito: fatto storico del 1838” in cui narra l’omicidio di una educanda da parte del prete che era stato respinto da quest’ultima.
Scrisse poi negli anni “I miracoli” del 1874, raccolta di poesie contro la superstizione, e il dramma “La Forza dell’Onore” che venne anche rappresentato e nel 1883, tratto dalle sue memorie, fu edito un dramma in cinque atti “Un episodio dei Misteri del Chiostro napoletano”; numerosi furono anche gli articoli che scrisse, come corrispondente, per i giornali “La tribuna” di Salerno, “La rivista partenopea” e “Il Nomade” di Palermo.
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Fu membro di spicco di numerose associazioni tra cui Il Vessillo della carità, l’Associazione della gioventù studiosa di Napoli, la Società per l’Emancipazione della Donna di Lorino, tanto che nel 1866 in occasione dei moti della III guerra d’indipendenza si appellò direttamente alle donne, alla loro forza, pubblicando il “Proclama alla Donna Italiana” per mobilitare le donne alla causa nazionale.
E ampio e incondizionato sarà il suo impegno politico, appoggiando, tramite il Comitato femminile napoletano di cui, con la sorella Giulia Cigola, faceva parte, il disegno di legge di Salvatore Morelli del 1867 “Per la reintegrazione giuridica della donna” in cui Morelli chiedeva la partecipazione al voto amministrativo e politico delle donne, un disegno di legge che però non fu neanche ammesso alla lettura.

Ma come si registra speso nella storia personale delle donne, che come sappiamo purtroppo risulta cosa altra dalla Storia, Enrichetta nonostante si fosse mobilitata e spesa per la causa unitaria non ricevette alcuna riconoscenza, infatti Garibaldi lasciò Napoli, per andare a Capri, prima di firmare il decreto con cui avrebbe voluto nominare Enrichetta ispettrice degli educandati di Napoli e anche il ministro dell’istruzione De Sanctis che pure le aveva promesso un incarico , la rinnegò.
Così Enrichetta visse gli ultimi anni della sua vita nella sua città, ormai vedova e senza gli averi di famiglia che l’arcivescovo le aveva sequestrato e che non si trovarono mai più, dimenticata dal suo popolo ma almeno finalmente libera. Noi invece la ricordiamo, e ci piace ricordarla, come lei preferiva: “[...] E il nome di cittadina, che dato a tutti non contiene alcuna distinzione, divenne per me il titolo più proprio[...]. [...] perciò chiamatemi Cittadina, e se volete aggiungere una distinzione dite: quella cittadina che provocò e promosse il Plebiscito delle donne in Napoli”[11].
E  a Napoli, nella sua città, morirà il 17 marzo 1901, a 80 anni.

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Opere:
      “Misteri del chiostro napoletano”, 1864;
“Un delitto impunito: fatto storico del 1838”, 1866;
“Proclama alle Donne d'Italia”,  1866;
“ I miracoli”, 1874;
      “La forza dell'onore”, dramma;
   “Un episodio dei misteri del Chiostro Napolitano: dramma in 5 atti di Enrichetta Caracciolo Forino ex monaca benedettina”,  1883.


Biografia:

¨ Caracciolo Enrichetta, “Misteri del Chiostro napoletano”, con Nota critica, prefazione di Maria Rosa Cutrufelli, Firenze, Ed. Giunti, 1998.
¨ Sciarelli Francesco, “Enrichetta Caracciolodei principi di Forino, ex monaca benedettina. Ricordi e documenti”, Ed. Pisano, 2013.
¨ Caracciolo Enrichetta, “Misteri del Chiostro napoletano”,  ed. Barbera, 2013.

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Opere di dominio pubblico:









[1]  CARACCILO Enrichetta, “Memorie del Chiostro Napoletano, memorie di Enrichetta Caracciolo de’ Principi di Forino, ex monaca benedettina”, IV edizione, Firenze, ed. G. Barbera editore, 1864, pag. 1.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, pag. 115. 
[4] Ivi, pag. 134.
[5] Ivi, pag. 122.
[6] Ivi, pag. 134.
[7] Ivi, pag. 78.
[8] Ivi, pag. 308.
[9] Ivi, pag. 311.
[10] Ivi, pag. 337.
[11] Ivi, pag. 337.

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