"Simonetta Vespucci e Fioretta Gorini amanti di Giuliano de' Medici", di Elena Vilkov; dalla mostra d'arte "Personaggi femminili di Opere di Ruggero Leoncavallo", a cura di Marisa Russo. |
Le vacanze
sono finite e anche il tempo inclemente ce lo ricorda ma abbandonare i nostri
ricordi non è mai semplice, al ritorno. Ecco quindi il resoconto delle ferie in
cui l'ottica di genere non mi ha mai abbandonata.
Il Cilento è
terra antica e da sempre è stata terra di sacrificio ma allo stesso tempo di
grande produttività da cui attingere nutrimento e così è rimasto, il Cilento,
terra di nutrimento di spirito e corpo.
La passeggiata
inizia a Celso paese del comune di Pollica che offre un gran palazzo baronale,
inserito nel patrimonio UNESCO, da cui, oltrepassato l’arco, si arriva al
centro della piazza. Proseguendo e prendendo la via della Valle ci si imbatte
in tante piccole case in cartapesta lasciate negli anfratti del paese e che
ogni anno a Natale ritrovano vita e calore in un presepe che attraversa tutto
il paese e che conduce ad una sagra ai piedi della fonte…nella Valle. L’antica
Fonte, si dice, fu luogo abitato dalle streghe e adibito agli antichi sabba, le
memorie degli abitanti le ricordano ancora, ancora c’è chi dice di averle viste
come lo zio di una delle nostre guide che è riuscito a sventare un rapimento di
un bambino, c’era infatti lì, lui lo sa, una strega che rubava i bambini, c’è
poi lo spettro di una ragazza uccisa a diciassette anni che si manifesta dietro
una porta in un piccolo vicolo ma non si sa chi fosse né perché la sua giovane
vita fu spezzata così presto; chissà forse vorrebbe solo che le sue ragioni
fossero ascoltate e il suo ricordo è ancora vivo nelle persone che mettono in
guardia le bambine dallo spirito di questa povera ragazza.
E’
affascinante vedere come i miti resistano e si tramandino e ancora siano così
forti e radicati. Il mito della strega che tanto il femminismo degli anni ’70
ha recuperato in chiave di protesta e di denuncia sia qui ancora una credenza
viva, impregnata di verità con fonti antiche e legittimanti, poiché queste non
erano streghe qualunque bensì le famose streghe di Benevento che qui venivano a
ristorarsi e le memorie popolari sono ancora qui a testimoniarcelo, esse ancora
fino a poco tempo fa erano lì, alla Fonte.
Come ogni aspetto folkloristico
l’ancestrale si sovrappone però nel tempo a nuovi aspetti sociali e così oggi lì
dove le streghe si riunivano nei sabbat, a Natale ci si incontra per
festeggiare, e l’emblema di questo incontro è testimoniato qualche luogo più in
là, verso il Monte Stella dove è stato ritrovato un sito risalente al neolitico e dove in tempi moderni fu costruito un convento oggi solo un
accumulo di rovine ma tutto è testimonianza e sta lì a dar credibilità che le
storie antiche sono degne di verità e che le streghe esistono ancora eccome*…e
noi anche ne siamo convinte certo quel tipo di streghe che vedono nelle donne
indipendenti e savie una minaccia che la società stessa nei secoli ha messe a
morte, quelle figure di donne demonizzate dalla cultura popolare e che hanno
ricevuto giustizia solo grazie alla storiografia che le ha scoperte e volute
soggetto di inchiesta storica.
La Fonte Valle dove gli abitanti del paese dicono si verificassero i Saba delle Streghe, le "janare" |
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Proseguendo
il viaggio si arriva alla poesia di Maria Mazziotti a cui il suo paese di origine ha
dedicato una targa nella piazza principale e con cui ha voluto instaurare un
percorso che congiunge due continenti e sorpassa gli oceani. Maria è infatti figlia di emigrati italiani che come tanti dal sud Italia sbarcarono anni fa negli Stati Uniti e così dal prossimo anno organizzerà un workshop con studiosi americani che hanno imparato a
conoscere questi luoghi amando la poesia dell’autrice. Le sue poesie sanno di nostalgia e di un
ritorno a casa, di quella semplicità tipica di questi posti veri e autentici
come semplici ma dirette sono le sue illustrazioni, in cui la natura e le donne
sono i soggetti, figure femminili che si liberano e prendono immagine dalle
“numerose donne che vengono dal mio ventre”.
Nel tempo Mary ha recuperato anche
il piacere e l’orgoglio di essere semplicemente Maria, italo- americana.
La targa dedicata alla poeta in Piazza San Nicola |
E nell’arte
ritroviamo anche figure di donne a cui è stata data un’immagine da altre donne,
ragazze che hanno interpretato
personagge delle opere liriche di un grande
Maestro della musica proprio vissuto da quelle parti, Ruggiero Leoncavallo.
Ecco allora quadri con Zaza, Mimì, Nedda, Simonetta Vespucci, Delia Terzachi…
La musica è, come tutte le arti, specchio della realtà da cui prende forma ma da cui si discosta per restituirle sogno e bellezza, quella maestria che la natura regala a pochi eletti come il Maestro Peppe Barra che in concerto, a San Mauro Cilento, nella sua musica fatta di poesia, di fiaba, di storia e di allegria ma anche dolore, insomma di cultura non ha mancato una dedica alle donne, una dedica per far riflettere sulla violenza contro le donne, ecco allora una poesia di Salvatore Di Giacomo “O’ Munnasterio” perché 'una volta le pene d’amore si risolvevano riflettendo e i rifiuti si accettavano e venivano presi come momenti di crescita, dolorosa, ma non si aveva paura del dolore, l’amata non si uccideva' :
La locandina della mostra d'arte organizzata da Marisa Russo |
La musica è, come tutte le arti, specchio della realtà da cui prende forma ma da cui si discosta per restituirle sogno e bellezza, quella maestria che la natura regala a pochi eletti come il Maestro Peppe Barra che in concerto, a San Mauro Cilento, nella sua musica fatta di poesia, di fiaba, di storia e di allegria ma anche dolore, insomma di cultura non ha mancato una dedica alle donne, una dedica per far riflettere sulla violenza contro le donne, ecco allora una poesia di Salvatore Di Giacomo “O’ Munnasterio” perché 'una volta le pene d’amore si risolvevano riflettendo e i rifiuti si accettavano e venivano presi come momenti di crescita, dolorosa, ma non si aveva paura del dolore, l’amata non si uccideva' :
“Jettaje 'stu core mio 'mmiez'a la strata
E 'ncopp'a 'na muntagna mme ne jette
E, pe' 'na passiona disperata,
Monaco 'e San Francisco mme facette.
– Tuppe-tù!
– Chi è?
– Ccà ce stess'uno
Ca ll'è caduto 'o core 'mmiez'â via?
– Bella figliò, ccà nun ce sta nisciuno,
Va', jatevenne cu Gesù e Maria!
Se ne jette cantanno: "Ammore, ammore,
Cchiù nun te vò zi' monaco vicino!"
E p' 'a muntagna se purtaje 'stu core,
Arravugliato dint' 'o mantesino. “
(1887)
E poi arriva
lei, la “Tammurriata Nera”, la tammurriata che serve ad esorcizzare le paure, i
dolori, le difficoltà, il male, che qui si richiama agli atti di violenza che i soldati
afro-americani fecero contro le donne napoletane nel secondo dopoguerra. La canzone scritta nel
1944 parla di una donna che nonostante tutto ama il proprio figlio e lo chiama
Ciro, Peppe…
La Tammurriata che esorcizza grazie alle percussioni, strumenti ancestrali che catturano e riportano alla nostra natura perchè fatti con elementi di esseri viventi, la pelle.
Fu una canzoncina scritta apposta in modo lieve, allegra per sdrammatizzare un male profondo che però Peppe Barra in più di vent’anni ha reso sua, drammatizzandola in un grido di dolore, quel dolore che la violenza che ancora tocca le donne inevitabilmente produce in tutta la società, ecco allora che coinvolge tutto il pubblico in un grido collettivo, una conta del tempo da cinque a sette, affidata al pubblico che risponde ai suoi 1,2,3,4 e poi un grido di dolore, una preghiera che come un afflato raggiunge il cielo, perché, come sostiene, l’unica arma che abbiamo in questa società ormai abituata a tante brutture e barbarie, è la cultura.
La Tammurriata che esorcizza grazie alle percussioni, strumenti ancestrali che catturano e riportano alla nostra natura perchè fatti con elementi di esseri viventi, la pelle.
Fu una canzoncina scritta apposta in modo lieve, allegra per sdrammatizzare un male profondo che però Peppe Barra in più di vent’anni ha reso sua, drammatizzandola in un grido di dolore, quel dolore che la violenza che ancora tocca le donne inevitabilmente produce in tutta la società, ecco allora che coinvolge tutto il pubblico in un grido collettivo, una conta del tempo da cinque a sette, affidata al pubblico che risponde ai suoi 1,2,3,4 e poi un grido di dolore, una preghiera che come un afflato raggiunge il cielo, perché, come sostiene, l’unica arma che abbiamo in questa società ormai abituata a tante brutture e barbarie, è la cultura.
Da questo grido che diventa preghiera che si innalza, la cultura avvicina le anime e le
fa incontrare...l’altra Cilento mi ha regalato anche questo e anche se le ferie
sono finite e bisogna recuperare la solita routine, i sensi rimangono lì rapiti
da tanta bellezza con cui vedere e interpretare ogni nostro piccolo mondo
quotidiano, come un incantesimo…
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* Per approfondire sul tema delle Streghe a Celso, riporto l'intervento pubblicato sulla pagina fb del Comune di Pollica dove la Professoressa Rita Oranges, originaria del luogo, ha raccolto dalla popolazione locale le testimonianze ed i ricordi delle storie delle janare:
UNA FAVOLA VERA
Rita Oranges
UNA FAVOLA VERA
"C’era una volta,
negli anni cinquanta, un magico paesino sulle pendici del Monte Stella, dove la
domenica mattina tutti andavano alla messa celebrata da monsignore. Le donne,
rigorosamente col velo in testa, si sedevano avanti, vicino all'altare, gli
uomini,invece, stavano negli ultimi banchi in fondo alla chiesa. Quando
iniziava la predica tutti gli uomini uscivano sul sagrato per non ascoltare il
sermone. Monsignore tuonava dal pulpito contro le usanze pagane della
popolazione, ma la gente continuava a farsi togliere il malocchio quando
soffriva di mal di testa e a credere al monaciello che faceva i dispetti. Ad
aiutare monsignore nel suo operato c'erano Caterina ed Ernestina che si
opponevano fortemente alle credenze pagane del popolo, ma, nelle sere d'inverno
passate davanti al fuoco, le persone continuavano a parlare di licantropi e di
streghe.
immagine presa dal giornale web www.mozzafiato.info/ |
Caterinella racconta che
un tempo viveva a Celso un lupo "pompinaro". Era nato nella notte di
Natale e, quindi, ogni volta che c'era la luna piena, era costretto a subire
delle mutazioni che lo rendevano irriconoscibile agli occhi dei suoi compaesani
.Una sera un contadino stava ritornando a casa quando sentì l'ululato del lupo
e lo imitò. Il lupo "pompinaro", offeso, con pochi balzi raggiunse la
casa del contadino che fece appena in tempo a chiudere la porta alle sue spalle
altrimenti sarebbe stato sbranato. Caterinella parla anche della chioccia dai
pulcini d'oro che si nascondeva vicino alla sua abitazione, situata poco dopo
la chiesa del paese, e ci racconta delle fate che abitavano in via Velino e
tessevano delle tele meravigliose.
Nel magico paese del
Cilento non c'erano solo le fate ma anche le" jnare" che provenivano
dai paesi del Beneventano e spesso soggiornavano a Celso per lunghi periodi di
tempo. Queste streghe erano in grado di volare perché possedevano un unguento
che mettevano sotto le ascelle rendendole atte al volo. Si racconta che i figli
di una di queste "jnare" avessero sostituito l'unguento con l'acqua
per non fare uscire la madre di notte, ma il mattino successivo trovarono la
donna morta, caduta dalla finestra, perché non era riuscita a volare. I sabba
di queste streghe si tenevano al Piano del noce oppure alla fontana della Valle
e il fracasso che veniva fuori dai loro riti si sentiva per tutto il paese, ma
nessuno osava avvicinarsi.
Rosa racconta che una
notte una famiglia dormiva nella propria casa quando una "jnara"
entrò e cercò di prendere uno dei bambini ma il padre se ne accorse e prese la
"jnara" per i capelli e alla domanda: " Che hai in mano?"
l'uomo rispose:"Ferro e acciaio". Così la strega sparì e lasciò il
bambino ai genitori.
Nell’eterna lotta fra il
bene e il male Celso ha vinto la sua battaglia conservando nelle persone
anziane il ricordo di queste splendide leggende e dando loro la possibilità di
poterle tramandare ai figli ed ai nipoti facendo in modo che non si cancelli la
memoria del mondo magico in cui vivevano i loro antenati che per sopravvivere
alla miseria e agli stenti si rifugiavano in questa dimensione fantastica
popolata di fate, streghe e chiocce dai pulcini d'oro".
Rita Oranges