Visualizzazione post con etichetta artiste. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta artiste. Mostra tutti i post

lunedì 26 ottobre 2020

Plautilla Bricci Pictura et Architectura Celebris. L'archittetrice del Barocco Romano-Consuelo Lollobrigida




L'analisi femminista muove dalla consapevolezza di voler rimuovere  l'invisibilità delle donne ed ha portato da una parte alla rilettura delle proprie esperienze e dall'altra alla ricerca di esempi di altre donne del passato a cui dare visibilità; donne che nei vari settori della società e nelle varie epoche si sono distinte esattamente quanto e a volte più dei loro colleghi. Quindi si sono ricoperte letterate, pittrici, compositrici, artiste...che in ogni epoca sono state capaci di apportare il loro contributo all'evoluzione sociale e a cui quindi ciascuno e ciascuna di noi deve molto anche se spesso non se ne ha coscienza proprio perché queste donne, e sono molte, sono state sistematicamente offuscate dalla storia e dalla memoria collettiva.  E questa rimozione risulta più facile se di queste donne rimangono solo testimonianze scritte, documenti tra l'altro da dover scovare e ricercare senza avere una testimonianza visiva anche se ne rimangono opere ben più solide di uno schizzo a carboncino su un foglio di carta di secoli fa. Ieri come oggi l'immagine risulta importante e non lo scopriamo di certo oggi. 
Questo è stato il destino di una delle più importanti artiste barocche che nulla nei suoi stucchi ha da invidiare a Bernini come nella sua abilità pittorica o architettonica, insomma un'artista a tutto tondo come solo all'epoca si doveva essere. 
Plautilla Bricci ci viene presentata da Consuelo Lollobrigida nel suo libro 'Plautilla Bricci. Pictura et Architectura Celebris. L' Architettrice del Barocco Romano' come una artista in primis ma anche come donna, una figura completa che riesce ad imporsi nell'ambiente artistico nonostante sia una donna libera, di non sposarsi, di pretendere il riconoscimento professionale. Plautilla infatti come ben delineato da Consuelo Lollobrigida è pienamente inserita nel contesto culturale romano dove non è l'unica artista presente, vi operano infatti eccellenze come Artemisia Gentileschi, Lavinia Fontana, Isabella Parasole, Diana Ghisi, riuscendo tuttavia a distinguersi. 

Unica che firma le sue opere in qualità di Architettrice, ha un fratello, Basilio, un po' meno dotato di lei che l'aiuta. Si fa intestare i contratti di committenza e tratta nonostante i malumori con le maestranze che a volte rifiutano di farsi comandare da una donna e riesce, sempre, ad imporre la sua autorità professionale riuscendo così a dare vita ad opere eccezionali come la Chiesa di San Luigi dei francesi a Roma e il relativo spettacolare quadro del Santo omonimo (purtroppo offuscato da folle che si perdono nelle opere di Caravaggio della cappella limitrofa) o ancora la Chiesa dell'Assunta a Poggio Mirteto o la Villa  Benedetta o 'del Vascello', al Gianicolo, di cui purtroppo non rimane nulla se non le mure esterne della tenuta dove è possibile ammirare il Busto dell'autore, solo formale, della villa: Basilio Bricci. Il committente infatti, il Benedetti, forse per non vedere sminuito il valore della sua villa decide comunque di formalizzare l'impegno a nome del fratello di Plautilla. 
Così possiamo ammirare solo il Busto di Basilio senza che a noi sia arrivata immagine di Plautilla Bricci che ad oggi non aveva un volto per i suoi posteri. 
Ad oggi perché le ricerche di Consuelo Lollobrigida non si sono mai fermate e hanno portato alla luce questa volta l'unico ritratto dell'artista che la professoressa di storia dell'arte ha messo in questo post. 


Così ora abbiamo un altro sguardo di donna da poter ammirare e ringraziare per l'arte che ha saputo e voluto donarci senza mai rinunciare ad essere Architettrice per sé e per tutte noi. 
Il libro di Consuelo Lollobrigida ci regala uno studio, durato più di dieci anni, che ha dato origine al libro edito da Gangemi editore International nel 2017, altamente documentato senza per questo risultare poco leggibile o solo per addetti-e ai lavori. 
Link affiliato per l'acquisto:





COPYRIGHT dei contenuti dove non diversamente specificato



martedì 7 novembre 2017

Lo sguardo di Artemisia Gentileschi



Un anno fa si inaugurava a Roma, "Artemisia Gentileschi e il suo tempo" una delle mostre più importanti dedicate ad Artemisia Gentileschi perché per la prima volta il fulcro di tutta l'analisi artistica partiva da lei, era lei infatti l'artista a cui si sono ispirati altri pittori della sua epoca, a lei molti allievi hanno dovuto la loro tecnica per la prima volta è stata lei, la sua arte, ad essere celebrata e ricordata anche nella maestria altrui quale anello propulsore di artisti a venire.

Artemisia Gentileschi
Foto tratta
dalla riproduzione
del pannello d'entrata,
 introduttivo alla mostra.
OG non poteva perdersi una mostra così e solo ora ma dedica questo post alle sensazioni e riflessioni di quella visita alla mostra  in cui ho potuto incontrare lo sguardo di Artemisia...





Artemisia Lomi Gentileschi rappresenta la pittrice più nota di tutti i tempi ed è tale perché seppe crescere, nonostante una vita che la mise a dura prova, non solo come donna ma anche come artista, seppe coniugare l'esperienza esistenziale con quella pittorica.
Spesso la vita privata di Artemisia la condizionò ma sempre riuscì a ricavare del buono dalle nuove situazioni per quanto complicate e a far si che la sua arte seguisse la sua evoluzione.

Artemisia, nasce a Roma dove uno dei libri più famosi sul suo conto* la vuole testimone dell'esecuzione di un'altra donna romana con una storia per alcuni versi simile alla sua: Beatrice Cenci. Una giovane aristocratica vittima, come tutti gli altri membri della sua famiglia, della violenza paterna a cui un giorno cercano di porre fine ma vengono ferocemente accusati e giustiziati, anche Beatrice condannata alla decapitazione per decisione di Papa Clemente VIII in realtà interessato non tanto a far giustizia ma ad accaparrarsi gli averi di questa nobile famiglia romana. Beatrice verrà tenuta in carcere in attesa dell'esecuzione, la stessa carcere che vedrà qualche anno dopo la stessa Artemisia reclusa.
E' già brava Artemisia e la sua 'Susanna e i vecchioni' lo dimostra apertamente, mostra al mondo la sua bravura con i nudi femminili, una scena che racconta e che in qualche modo anticipa il suo destino. Dipinto solo un anno prima dello stupro che subirà, il quadro infatti narra di una giovane che è sconcertata, impaurita e infastidita dalle attenzioni di due uomini che la guardano nella sua totale intimità. L'anno dopo vede Artemisia contro il suo stupratore Agostino Tassi, famoso pittore anch'egli anzi fin troppo apprezzato visto che nonostante la condanna all'esilio dalla città eterna, costata ad Artemisia la reclusione alla Corte Savella e la tortura per dimostrare la veridicità delle accuse, non sconterà neanche un giorno grazie all'appoggio dei suoi illustri estimatori e protettori.

Artemisia quindi si vede costretta da una parte a prendere marito, il fiorentino Stiattesi, e dall'altra ad abbandonare Roma. Ma come detto, di necessità virtù, Firenze diventerà per Artemisia un'opportunità per crescere e farsi un nome, perfezionarsi nel disegno che non solo sarà comunque ben proporzionato ma anche giustamente narrativo ed ancora 'Susanna e i vecchioni' nella versione del 1622 lo dimostra, come lo dimostra la sua ammissione quale prima donna all'Accademia del Disegno di Firenze.
Artemisia cerca di superare lo stupro tramite il dipinto che realizza sul tema di Giuditta e Oloferne proprio l'anno dopo la denuncia in cui però la protagonista appare essere sempre e comunque lei anche nella versione di molti anni dopo (quello del 1622 agli Uffizi rispetto alla versione del 1613 a Capodimonte).
Che questa scena che sa ridarci così veritiera sia data dai suoi ricordi di Piazza Tor di Nona quando da bambina assistette alla decapitazione di Beatrice Cenci? Giuditta forse allora non è solo Artemisia ma è la vendicatrice di quelle donne che come lei erano state vittime di violenza maschile che per lei si chiamava Agostino ma che prendeva nella vita quotidiana di molte donne sue contemporanee, altri nomi e altre forme come quella che per Beatrice Cenci fu quella di un padre.
E Artemisia con suo padre, che le insegnò fin da piccola tutti i segreti tenendola a bottega a lei sola escludendo invece i suoi fratelli, ebbe anch'essa un rapporto difficile, tormentato dopo il processo se Artemisia infatti se ne dovette andare da Roma anche Orazio cercò riparo dall'onta altrove e mentre sua figlia viaggiando ora di ritorno a Roma, a Venezia, a Napoli ormai era diventata una pittrice nota ed apprezzata, la potè rivedere solo dopo molti anni in Inghilterra quando Artemisia accettò di andare dopo le insistenze del fratello Francesco.
A Londra Artemisia rivide suo padre, il grande artista ormai al tramonto dei suoi giorni e talenti, ammalato e affaticato ma pur sempre artista, impegnato comunque al servizio del Re Carlo I che anche Artemisia onorò aiutando suo padre negli impegnativi lavori commissionatigli.
Artemisia ormai è cittadina del mondo, artista internazionale, affermata pittrice che non teme più per la sua reputazione tanto meno per quella artistica quando torna di nuovo in Italia, costretta a fuggire dopo la decapitazione di Carlo I nel 1640, sceglie di andare nella città in cui si sente libera, Napoli.
La sua pittura ormai riflette la sua vita, matura, intensa come i suoi tratti, ormai Artemisia è affermata, affermatissima e accetta commissioni su commissioni ma non per se' ma per le sue figlie; sì perché nel frattempo suo marito è sparito, alla macchia ed è nata un'altra figlia, tutta sua nessuno tranne lei sa e saprà chi è il padre. Ma per lei le sue figlie sono uguali, sue e basta e a loro dedica i suoi ultimi anni di lavoro e di vita per garantire loro, come sarà, un buon matrimonio e una posizione sociale che le protegga e le garantisca.

Mostra di Artemisia Gentileschi, pannello espositivo d'entrata
Artemisia morirà a Napoli nel 1656 e la sua tomba sarà una fossa comune. A ricordarla ci pensano però le sue magistrali opere d'arte. 













* Il testo a cui mi riferisco è quello ormai "classico" di Alexandra Lapierre.





TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT




venerdì 3 febbraio 2017

Agli Uffizi pittrici sempre più in mostra



 
Plautilla  Nelli, "Madonna", XVI sec.
Da WikimediaCommons




La Galleria degli Uffizi lancia il nuovo programma per il 2017: dare più visibilità alle opere di artiste per invertire lo storico squilibrio di genere. 
L'annuncio arriva direttamente dal direttore del Museo, Eike Schmidt in una recentissima intervista ad una rivista inglese di arte. Si comincerà con la mostra dedicata alla prima donna fiorentina conosciuta come pittrice, la suora Plautilla Nelli (1523-1587) in occasione della giornata internazionale delle donne e che rimarrà aperta fino alla fine del mese di aprile. La mostra si incentrerà su una dozzina di opere attribuite e recuperate recentemente anche da chiese e conventi soprattutto domenicani, l’ordine in cui entrò Polissena, e da altri musei italiani. Sarà poi la volta di Palazzo Pitti che ospiterà per il mese seguente un’altra mostra dedicata questa volta all’artista femminista australiana Maria Lassing, fino a fine giugno.
Autoritratto della Tintoretta,
Museo del Prado, Madrid.
Da WikimediaCommons
Gli Uffizi sono il museo con la più ampia collezione di opere di pittrici antiche, tanto da poter riempire un’intera stanza, molte delle quali fanno parte della famosa collezione di autoritratti che occupa il corridoio vasariano, tra cui quello di Elisabeth Louise Vigée- Le Brun e la figlia del Tintoretto, detta appunto la Tintoretta: Marietta Robusti. 
Le opere erano visibili fino allo scorso anno solo con visite specifiche ora dato la chiusura del corridoio per ristrutturazione  sono inaccessibili ma torneranno visitabili a pieno godimento alla fine dei lavori di adeguamento infatti il corridoio diventerà parte integrante della visita con il solo biglietto ordinario della Galleria e non saranno più una visita a se stante. 
Potremmo quindi finalmente posare il nostro sguardo sul loro volto e ammirare il loro talento.




TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT




giovedì 22 dicembre 2016

Un film di una donna a settimana per un anno? #8



Amy Adams è la pittrice Margaret Keane in Big Eyes.

credits: screenshot by Opportunità di Genere,
 in base all'art. 70  Legge sulla protezione del diritto d'autore 633/41 e successive modifiche.
Detentore del copyright The Weinstein Company




#8 Big Eyes


Siamo arrivati alla settimana di Natale e come tradizione vuole non c’è nulla di meglio che una bella favola anche se non proprio natalizia,  una favola moderna talmente surreale che solo un regista come Tim Burton poteva proporre ma è una favola diversa però anche da quelle a cui ci ha abituato il regista, è la storia vera di una pittrice a cui hanno rubato il talento. Margaret Keane infatti negli anni’50 divenne una delle artiste più quotate ed apprezzate nel mondo, dai galleristi ai collezionisti tra cui l’imprenditore italiano Dino Olivetti che fu tra i primi acquirenti famosi della pittrice; una storia talmente normale che è incredibile ma vera.

Trama:  Margaret Ulbrich (Amy Adams) lascia il marito e scappa con la figlia, rifugiandosi a Los Angeles dove inizia una nuova vita mantenendosi dipingendo e conosce Walter Keane durante un’esposizione in un parco cittadino, ne rimane affascinata e quando il primo marito la minaccia di toglierle la bambina decide di accettare la proposta di matrimonio di Walter con cui ormai si frequenta assiduamente. Walter infatti sembra proprio l’uomo giusto, pronto a sorreggerla e spronarla nella sua passione che è anche la sua. 
Lui è un sedicente pittore e  un grande venditore e in breve tempo riesce a far esporre le opere della moglie, ma non le sue, con un espediente… se le attribuisce, d’altronde la moglie, Margaret, firma con il solo cognome di Keane.  Dapprima Margaret non sa nulla ma poi inavvertitamente una sera se ne accorge e lo prega di non farlo più ma di riconoscerle il suo talento cosa che invece non avverrà. Il suo stile e i suoi soggetti: dei bambini e bambine con grandi occhi ma molto tristi catturano in pochi anni il pubblico e i divi di Hollywood assicurando alla famiglia Keane un’agiatezza insperata di cui Margaret è l’autrice in incognito. Quando le pretese del marito però si faranno troppo azzardate, costringendola a rinchiudersi in una stanza a dipingere fino ad addormentarsi, e soprattutto quando Margaret reclamerà una sua strada artistica, Walter rivelerà tutto il suo squallore che sfocerà nella violenza contro Margaret e sua figlia, tentando di bruciarle vive. Margaret scappa alle Hawaii e trova il coraggio, dopo dieci anni, di divorziare e soprattutto si rivolgerà alle autorità legali per avere finalmente giustizia: vedere riconosciuta la sua arte. Durante il processo dimostrerà infatti di essere lei e solo lei l’unica vera artista in grado di concepire e trasformare in quadri le sue emozioni.
Il marito Walter morirà nel 2000 povero e rancoroso senza aver prodotto mai più neanche un quadro. Margaret, tornata a San Francisco ha aperto una sua galleria e dipinge ancora ogni giorno.
Le sue opere sono ancora nei Musei e nelle collezioni private più importanti del mondo.

Scelto perché: Margaret stessa intervistata per il film dice di essere stata succube di un uomo affascinante che poi nei fatti si è rivelato un bugiardo e un violento e soprattutto era condizionata da una mentalità maschilista che ancora negli anni’50 era molto forte e riteneva il marito, il padre di famiglia il solo che decideva per tutti in modo incondizionato, così accettò seppur in un secondo momento che il marito si presentasse come l’artista “perché i quadri di una donna non li avrebbe comprati nessuno” le diceva. Questa storia, dice ancora la vera Margaret, “è stata importante raccontarla, perché la verità è venuta finalmente a galla. Spero che abbia aiutato chi vive situazioni difficili ad avere il coraggio di parlare, a chi sbaglia, di voltare pagina e cominciare da capo”.



Titolo: Big Eyes
Naz.: USA
Anno: 2014
Durata: 105 min.
Regia: Tim Burton
Produzione: Lynette HowellCast: Amy Adams, Christoph Waltz


Una buona favola, insolita, di Natale…





TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT



Copertina del film Big Eyes la storia vera di Margaret Keane

autore: Opportunità di Genere
in base alla Legge sui diritti d'autore, art. 70 Legge 633/41 e modifiche.
 Detentore del copyright The Weinstein Company




giovedì 15 dicembre 2016

Un film di una donna a settimana per un anno? #7



Florence Foster interpretata da Meryl Streep
image: comingsoon.it


#7 Florence Foster


E' in uscita questa settimana nei cinema italiani "Florence", il film ispirato alla prima soprano stonata della storia della musica: Florence Foster. Tratto dalla vera biografia di questa donna che negli anni '20-'30 e '40 è riuscita nell'impresa che voleva diventasse la sua vita dopo le difficoltà iniziali, un matrimonio sbagliato, i problemi di salute che le impedirono di suonare il pianoforte, si rimboccò le maniche e portò avanti con determinazione, e molti soldi bisogna ammetterlo, il suo sogno. Fondò un'Associazione dedicata a Verdi per promuovere l'Opera che in pochissimo tempo contò più di quattrocento soci tra i quali anche Caruso. Nonostante i suoi spiccati limiti canori riuscì a dar forma alla sua ambizione e si guadagnò per questo il rispetto, l'affetto e la stima del pubblico e della critica di cui facevano parte Enrico Caruso, Lily Pons, Cole Porter e il compositore Menotti.

Trama: La commedia si basa sulla storia di Florence, nonostante il suo talento sia difficile da trovare, lei non si arrende e cerca di realizzare il suo sogno: diventare una cantante lirica. Supportata dal nuovo compagno che le farà da manager e dal suo insegnante di canto in un periodo in cui la Seconda Guerra Mondiale è uno spettro sempre presente.

Scelto perché: la figura di Florence, interpretata strepitosamente da Meryl Streep candidata a miglior attrice ai Golden Globe come il protagonista maschile Hugh Grant, nonostante il film sia una commedia ci rida la biografia di una donna che nonostante fosse stata vittima di un matrimonio combinato che le inficerà per sempre la salute, il primo marito infatti le trasmetterà la sifilide, nonostante i tradimenti del suo nuovo compagno, si aggrapperà ad una ragione per andare avanti e non arrendersi, un obiettivo tutto suo, solo per lei: il suo sogno e farà di tutta la sua vita la ragione per realizzarlo.

Titolo: Florence 
Titolo Originale: Florence Foster Jenkins
Naz.: UK
Anno:2016
Durata: 111 min.
Regia: Stephen Frears
Cast: Meryl Streep, Hugh Grant



TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT







venerdì 11 novembre 2016

Beatrix Potter dopo 100 anni arriva in libreria con una nuova favola inedita

Kitty in Boots, la nuova storia di Beatrix Potter.


A settembre come annunciato agli inizi dell'anno in questo post a cui vi rimando "Kitty in Boots"  è arrivata in libreria e sulle piattaforme librarie anche in e-book.
La nuova favola di Beatrix Potter che dopo più di cento anni era rimasta nascosta è ora realtà grazie ai disegni di uno dei più noti e apprezzati illustratori dei nostri tempi, Quentin Blake per l’editore che per primo le credette e permise a Beatrix Potter di diventare un punto di riferimento non solo per milioni di bambine e bamibini in tutto il mondo ma anche per tante artiste, disegnatori e scrittrici di storie per l’infanzia, al punto che per il suo 150°anniversario dalla nascita, proprio in questo mese di Novembre, alcuni dei più importanti ed affermati illustratori di libri infantili pubblicheranno un libro commemorativo di loro disegni e lettere per testimoniare quanto questa artista, unica nell’aver avuto talento sia per lo scrivere che per il disegno, abbia ispirato generazioni di illustratori ed illustratrici.
Il libro, appunto edito dalla originaria casa editrice di Beatrix, "Warne" è dotato anche di un cd in cui la favola viene narrata dall’attrice premio Oscar, Hellen Mirren.

La storia parla di una comune gatta nera che la sua padrona, un’anziana signora, chiama Kitty ma che si fa chiamare Miss Catherine St. Quintin, conosciuta anche più semplicemente come Q o Squintums.

La copertina del libro +cd letto da Helen Mirren

Insomma una gatta un po’ speciale che conduce una doppia vita infatti di giorno si gode le cure casalinghe e di notte dopo essere andata ufficialmente a dormire si fa sostituire dall’amico Winkiepeeps, gatto anch’egli comune e di colore nero che volentieri si scambia con Kitty per riposare e apprezzare le cure della vecchia padrona ignara dello scambio. Kitty la notte infatti preferisce andare a cacciare e richiamata dal chiaro di luna si prepara a vivere l’avventura con dei grandi stivali e una giacca in realtà da gentleman che la porterà ad avere fraintendimenti ed equivoci; un’eroina dalla doppia vita insomma ben educata e tranquilla di giorno, cacciatrice in incognito di notte.


Dopo più di un centinaio di anni Beatrix Potter si presenta  a noi nel XXI secolo con una storia che possiamo definire di parità di genere in cui la protagonista è una gatta che non si fa problemi a travestirsi da gatto la notte, senza poterlo neanche immaginare Beatrix Potter è più attuale che mai in una società globale sempre in tensione sui temi di parità e che si inserisce in una polemica tutta italica, del conflitto sull’introduzione di testi e storie che parlino di parità di genere anche per l’infanzia, anche se ha ricevuto critiche soprattutto oltreoceano proprio per l’ambiguità del personaggio, gatta di giorno, gatto di notte, e per la confusione dei nomi con cui viene chiamata o si fa chiamare.

La storia era stata iniziata nel 1914 ma poi terminata la trama e una sola illustrazione, l’autrice dovette fermarsi di fronte ad eventi che condizionarono la sua vita, la Prima Guerra mondiale, il suo matrimonio e non ultima la sua malattia ma questa favola vede il compendio del suo lavoro perché oltre a questa nuova eroina, Kitty, ritroviamo i tanti personaggi più conosciuti ed amati di sempre da Mr Tod a Miss Tabitha Twitchit perfino Peter Rabbit, più anziano e per questo un po’ più lento, che nelle sue avventure notturne Kitty incontrerà di volta in volta.


Ma non solo potremmo quindi di nuovo poter sfogliare delle pagine ricche di disegni e leggere o ascoltare una storia tutta nuova catapultandoci ancora una volta nel meraviglioso mondo potteriano, nella primavera 2018 potremmo anche vederlo, uscirà infatti un film che vedrà tutti i suoi personaggi protagonisti, un ulteriore modo di rendere omaggio a questa artista che dopo tanto tempo riesce ancora a sorprenderci e farci tornare ogni volta al sapore dell'infanzia grazie alla sua arte, al suo talento con cui regala ancora romanticismo, arte ed ispirazione ai nostri tempi un pò più aridi.  



TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT



giovedì 9 ottobre 2014

L'astratta realista


Almanacco del 9 Ottobre:




Carla Accardi
Fonte: Unione Femminile 






Oggi nasceva colei che riuscì a "realizzare" l'astrattismo: Carla Accardi. Figura emblematica dell'arte italiana del secondo dopo guerra, impresse un nuovo corso all'arte italica, come artista e come donna.


Nacque il 09 Ottobre 1924 a Trapani, dopo il liceo si trasferì a Palermo per frequentare l'Accademia di Belle Arti e nel 1946 a Roma, dove frequenta l'intellighenzia dell'epoca, venendo a contatto con illustri rappresentanti della vita intellettuale romana. L'anno seguente, con un gruppo di colleghi quali Attardi, Guerrini, Turcato, Perilli, Dorazio, Maugersi e Sanfilippo, che diventerà suo marito, firma, sola donna, il Gruppo Forma 1, movimento dell'astrattismo italiano che cerca di coniugare realismo e astrattismo, che cerca cioè di andare  oltre ogni forma di astrattismo puramente formale.

Il Gruppo Forma 1, 1947.
Fonte: Wikipedia


Due anni dopo inizia per lei l'esperienza delle mostre, dapprima con il gruppo e poi la sua prima personale a Roma nel 1950, viaggia poi in italia e all'estero, a Parigi frequenta l'Accademia e i più importanti artisti dell'epoca.


La sua produzione artistica, improntata all'astrattismo dei segni,  richiama ad un rifiuto del linguaggio, un linguaggio che non appartiene ma viene ed è stato imposto, è un linguaggio atavico di tradizione patriarcale nel quale l'artista non si sente rappresentata, e da qui la necessità di un percorso personale alla ricerca di una propria capacità espressiva che culminerà, negli anni '60,  nella ricerca di colore che caratterizzerà la sua produzione artistica, emblema di una ricerca di se stessa, di un se' sommerso a cui non è stata data la possibilità di esprimersi e di cercare un proprio linguaggio comunicativo. 



TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT

Questa ricerca artistica si affianca, in questo periodo della sua vita, al movimento femminista e dall'incontro con Carla Lonzi nascerà nel 1970 "Rivolta Femminile" ma già pochi anni dopo, nel 1973, le loro posizioni, divergenti su come vivere ed interpretare il mondo artistico, si evidenzieranno al punto tale che la Accardi lascerà "Rivolta Femminile" e con la Colucci, la Santoro e altre artiste fonderà nel 1976 la Cooperativa Beato Angelico che diventerà subito un punto di riferimento importante per la creatività romana al femminile ma che vede anch'essa una fine molto rapida, infatti già nel 1978 anche l'esperienza della Cooperativa terminerà.


Negli anni '80 la produzione artistica della Accardi si riavvicina al dipinto su tela, lasciato in disuso negli anni addietro in favore di altre tecniche espressive come grandissimi teli e geometrie, negli anni '70, quelli del suo coinvolgimento nel movimento femminista, e strumenti invece più materici, nella fattispecie la plastica, negli anni ancora prima, gli anni '60.


La sua continua evoluzione artistica si mostra ancora una volta nel 1993 alla Biennale di Venezia a cui partecipa al Padiglione Italia, nel 1996 poi viene eletta membro dell'Accademia di Brera e l'anno seguente viene nominata tra gli esperti incaricati di realizzare la XLVII Biennale di Venezia, per poi vedersi dedicare l'anno seguente, dalla propria città, una retrospettiva personale.



Sentitasi male e ricoverata all'ospedale, Carla Accardi muore nel febbraio 2014. Le sue esequie sono state svolte in Campidoglio a Roma dove si è spenta una grande rappresentante del mondo artistico italiano, del movimento femminista italiano, che ha saputo con la sua arte, sempre in itinere, sollevare e proporre questioni artistiche e sociali ancora aperte, alle quali essa stessa, il suo cammino artistico, mai concluso, non hanno trovato risposte certe, la certezza, infatti era per lei una prerogativa dell'ansia maschile come si legge nel ricordo di Maria Luisa Boccia, ma a cui certamente una valida risposta ha dato: il conciliare una grande figura d'artista con quella di grande donna del suo tempo.



TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT








venerdì 3 ottobre 2014

Elisabeth Chèron, l'accademica che non chiese il permesso


Almanacco del 03 ottobre:


Elisabeth Sophie Chèron, autoritratto 1672.
Credits: wikipedia


In pieno Rinascimento le arti non erano solo appannaggio degli artisti alcune donne riuscirono ad eccellere e in quanto tali arrivarono lì dove non era consentito.
Anni prima che l’Accademia dei Ricovrati di Padova, oggi Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti, fondata nel 1599 da Federico Baldissera Bartolomeo Cornaro, discutesse sulla opportunità o meno di permettere alle donne di essere membri dell’Accademia, nel 1694 Elisabeth Chéron fu ammessa con il nome di Erato, la musa della musica e della poesia.


Tanti erano infatti i talenti di Elisabeth Sophie Chèron , oggi per lo più è ricordata come pittrice ma era anche una fine musicista, suonava magistralmente i maggiori strumenti a corda e a tastiera dell’epoca e fu anche una apprezzata poetessa che non mancò di scrivere testi per composizioni musicali di altri autori. Studi degli anni 1930 hanno ipotizzato che Elisabeth Chèron avesse infatti scritto le parole per la musica composta da Jean-Baptiste Drouard de Bousset e da Antonia Bembo, musicista, compositrice e cantante italiana ma anch’essa assodata alla Corte di Luigi XIV.
D’altronde Elisabeth Chèron condivise la sua abilità e bravura con importanti personalità d'eccellenza, le faceva compagnia all’Accademia dei Ricovrati ad esempio Galileo Galilei; fu apprezzata inoltre dall’artista di Corte Charle Le Brun che la volle come membro dell’Accademia di Pittura e Scultura di Parigi nel 1672 per l’ammissione della quale preparò un ritratto della prima donna ad essere ammessa alla scuola: Catherine Girardon. In questa occasione esce, seppur in forma anonima, l’opera “La Coupe du Val- de- Grâce” in risposta all’opera “ La Gloire du Val- de- Grâce” di Molère , che esalta l'omonimo affresco fatto dall'amico Mignard, acerrimo rivale del suo maestro Le Brun.


Fu anche una attenta e accurata traduttrice, sapeva infatti sapientemente l’ebraico, il greco ed il latino.
TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT




A corte conoscerà il marito, l’Ingegnere del re, Jacques Le Hay che sposerà nel 1692 e da allora sarà conosciuta anche come Madame Le Hay. Si dice che il matrimonio, avvenuto in tarda età, più che quarantenne, sia dovuto al fatto che il suo protettore politico, il Colbert, avesse ormai perso la sua influenza presso la Corte ed il Re e che quindi la signora Le Hay avesse bisogno di nuovi referenti politici. Questo matrimonio d’altronde non mancò di suscitare in effetti sorpresa e stupore tra le sue conoscenze, perché in tanti anni Elisabeth non aveva mai accettato proposte matrimoniali neanche da più giovani e avvenenti uomini. Essa stessa d’altronde definirà il suo matrimonio come “un’unione filosofica”.



Crebbe a Parigi dove nacque il 3 ottobre 1648 da Henri Chèron un calvinista che inculcherà il culto riformato alla figlia che tuttavia, anche spinta dalla madre, Marie Lefebvre, invece fervente cattolica, dopo un anno passato in convento decise di abbracciare la fede cristiana e nel 1668 di abiurare il calvinismo, suo fratello invece, anch’esso pittore, non volendo convertirsi dopo che il Re Luigi XIV aveva revocato l’Editto di Nantes, dovrà scappare e trovare rifugio in Inghilterra.
Il padre comunque sarà colui che la inizierà all’abilità di ritrattista e miniaturista, capacità che poi le valse la nomina a ritrattista di Corte.
TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT

Ritratto di Elisabeth Sophie Chèron,
di  Étienne-Jehandier Desrochers.
Credits: Wikipedia
Morirà a Parigi nel 1711 a sessant’anni, quando ormai però riceveva già, tra i pochi, una pensione dalla Corte.
Sulla sua tomba, che si trova nella Chiesa di San Sulpizio a Parigi si può leggere: “Il possesso straordinario di due formidabili talenti renderà Chèron un ornamento della Francia in ogni epoca. Niente poté, tranne la grazia del suo pennello, euguagliare le eccellenze della sua penna”.
















Opere:


"Livre des Principes à Dessiner", 1706; (Libro sui principi del disegno).
"Psaumes et Cantiques mis en vers", 1694 ; (Salmi e Cantici messi in versi).
"Le Cantique d'Habacuc et le Psaume, traduit en vers" ; (Il Canto di Habacuc e I Salmi, tradotti in versi).
"Les Cerises Renversées", piccolo poema pubblicato postumo nel 1717 e poi messo in “Versi Latini” di Rauxa nel 1797.


TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT




lunedì 10 febbraio 2014

La Tersicore che inventò il tutù


Almanacco del 10 Febbraio:

Virginia Zucchi ritratta da Georges Clairin, 1884.


Nata il 10 febbraio a Parma, Virginia Zucchi, diventerà la 'Divina Virginia', per aver portato nel mondo la sua arte.



Stella del Balletto nell’Italia dell’Ottocento, Virginia fu allieva del direttore della Scala di Milano, Carlo Blasis, l’ideatore della struttura della lezione di danza classica che tutt’oggi vige inalterata, colui che voleva non solo creare danzatori ma veri artisti e concepiva il suo insegnamento arricchito dalle materie artistiche quali la pittura, la musica, la letteratura per forgiare una sensibilità oltre la mera tecnica.
Virginia Zucchi, ritratta da Fedor Bronnikov, 1889.
Virginia fu tra le sue allieve anche se non entrò mai alla Scuola della Scala vera e propria ma seguì i suoi insegnamenti come quelli del suo assistente Lepri. Proveniente da una famiglia di danzatori, i suoi zii erano apprezzati professionisti, Virginia debuttò  a Varese nel 1864 a soli quindici anni.
Da qui iniziò la sua carriera che la portò in giro per l’Italia, da Roma a Napoli…, e dieci anni dopo, nel 1874, finalmente anche alla Scala di Milano. La sua fu una carriera però internazionale, fu invitata e reclamata anche all’estero da Berlino, dove il noto Paolo Taglioni rivisitò per lei l’opera La Fille mal gardée,  a Parigi, a Londra, a Madrid e nel 1885 a Pietroburgo dove la sua carriera e fama toccherà il suo apice massimo.

Virginia fu accolta a Kin Grust, il teatro che in estate apriva i suoi battenti per sostituire la programmazione del Balletto Nazionale di Pietroburgo, e qui fu osannata ed acclamata, avendo incantato la platea russa anche lo Zar Alessandro III in persona la volle a corte e le presentò un ingaggio che la tenne a San Pietroburgo per tre anni durante i quali si meritò l’epiteto di  “Virginia la divina” per i suoi virtuosismi tecnici. In seguito continuò la sua carriera in Russia ma con una sua Compagnia.
TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT

Virginia Zucchi, fu una grande artista che perfezionò con la sua tecnica la scuola di danza russa, facendola crescere e acquisire quel prestigio che noi oggi ancora le riconosciamo. Fu una donna che seppe imporsi ed impose la sua bravura diventando un esempio da emulare e raggiungere.

Virginia Zucchi in "La Esmeralda", 1886
A Virginia Zucchi si devono performance memorabili, entrate nella storia, come quelle de “La Figlia del Faraone”, “La Fille Mal Gardée” e “La Esmeralda”, tutte del grande coreografo Marius Petipa, nonché il balletto “Excelsior” di Luigi Manzotti, eseguito alla Scala di Milano nel 1883 e “Sieba” eseguito a Parigi nello stesso anno.


Dopo l’esperienza e lo strepitoso successo russo, tornò in Europa dove danzò ancora a Parigi nel 1885 all’Opéra e poi ancora a Nizza nel 1898, ritirandosi poi dalle scene pochi anni dopo nel 1900.
Scelse Monte Carlo come sua dimora stabile e lì aprì una sua scuola di danza dove volle insegnare essa stessa.
Morì a Nizza il 12 ottobre 1930.
 
A Virginia Zucchi si deve l’aver portato ed esportato la qualità d’esecuzione del balletto italiano nel mondo, dalla Francia alla Russia, l’aver contribuito alla crescita dell’arte tersicorea potenziandone la tecnica e l’esecuzione, arricchendola dell’espressività propria di un’ artista; a lei si deve anche la creazione del moderno tutù che Virginia volle fosse accorciato, ritenendolo troppo lungo e troppo antiquato.

La sua influenza nella tecnica di Tersicore è oggi innegabile come lo fu alla sua epoca, poiché grandi danzatrici sue contemporanee da subito ne ammisero la grandezza e l’abilità; di lei,  Mathilde Kschessinska, quella che diventerà, anche grazie ai suoi insegnamenti ed al suo ascendente, la prima ballerina in assoluto del Balletto russo, pochi anni dopo la Zucchi, dirà: “Avevo quattordici anni quando la famosa Virginia Zucchi venne a San Pietroburgo. Dal giorno in cui Virginia Zucchi apparse sui nostri palcoscenici, cominciai a lavorare con fervore, energia e dedizione: il mio unico sogno era di emularla.  (…)”[1].
 




[1] SCHOLL TIM, “From Petipa to Balanchine: classical revival and the modernization of ballet” , 1994, Ed. Routledge.

TUTTI I CONTENUTI DEI POST SONO SOTTO COPYRIGHT