lunedì 26 luglio 2021

Margherita Porete Un libro che conduce al rogo- Tommasina Soraci





Beghina come Margherita Porete



Margherita Porete Un libro che conduce al rogo Tommasina Soraci Edizioni Era Nuova- Nella Francia medievale delle mistiche ecco che si fa strada una teologa: Margherita Porete, misconosciuta ai nostri giorni ma la sua opera "Lo specchio delle anime semplici annichilite" era nella sua epoca tra le più diffuse in Francia ed in Italia.

Margherita Porete rientra in pieno in quelle figure femminili in attesa di giustizia, non fu, infatti, di meno di Giovanna d'Arco sulla quale tuttavia la Chiesa ha fatto ammenda e beatificata, ma tante donne ingiustamente mandate al rogo dopo un processo, sommario o meno, reclamano come lei almeno di essere ricordate.

Il libro di Tommasina Soraci le rende giustizia dopo secoli d'oblio e dopo anni dal lavoro di Romana Guarnieri del 1946 in cui attribuiva a Margherita Porete la maternità di quello straordinario testo che rimane anche ai nostri giorni "Lo specchio delle anime semplici annichilite"

Margherita era un'eretica, parlava infatti in pubblico e per di più predicava e lo faceva partendo dalla Bibbia che spiegava tra la folla degli spazi comuni.
Nel suo scritto "Lo specchio delle anime semplici annichilite" afferma, tra l'altro, "la così detta vita cristiana non ha più alcun valore, se l'Anima ha conseguito la liberta nel divino..."
e si capisce quindi che la sua opera, così come la sua esistenza, non poteva avere una lunga vita.
Durante il processo, che inevitabilmente arriva, sceglie di non difendersi perché già sa di non avere scampo o forse perché come afferma ne "Lo specchio... " "Là dove si tiene la scuola divina, a bocca chiusa, che senso umano non può mettere parola" e infondo a se' è convinta della sua visione mai mistica, come ben delinea Soraci, ma teologica e infatti durante il processo alcuni teologi, ben pochi per la verità, apprezzeranno il suo lavoro anche se non le servirà a salvarsi la vita. 
Margherita Porete
Un libro che conduce al rogo
Tommasina Soraci
Edizioni Era Nuova

Margherita è una beghina e come tale vive e veste ma allorché anche queste donne, che si sostentano del loro lavoro artigianale che promuovono spostandosi e ricercando una loro verità spirituale, vengono rinchiuse e normate in comunità dalle istituzioni e religiose e sociali, sceglie, ancora una volta sceglie, di diventare beghina "irregolare", come sottolinea Soraci pseudomulier e "affida al suo libro un compito essenzialmente divulgativo a fini pedagogici" (pag. 35).










Come scrive Tiziana Bartolini, a cui è affidata la prefazione, Soraci riesce a delineare questa straordinaria figura medievale cogliendo due aspetti essenziali, l'eresia e la ricerca di se stessa che offre a tutte le donne, e uomini.
Per Margherita "l'Anima ha tutto e non ha niente, vuole tutto e non vuole niente, non desidera né disprezzo né povertà..." e si spinge ancora più in là affermando come si legge nel libro di Soraci che "lei sola è autorizzata da Dio (il Fine Amour) a parlare di cose di cui nessun chierico, per quanto dotto, potrebbe trattare perché superano la comprensione della Chiesa" va da sé che la Chiesa- intermediaria diventa superflua nella sua teologia-speculativa, noi siamo tutto in Dio e Dio è tutto in noi, in ogni creatura.

Il presente, come sottolinea Soraci, è l'unico vero tempo interiore non deve esistere un Paradiso futuro, proiettato ed offerto come ricompensa o al contrario come punizione, l'opera di Margherita Porete è un inno alla libertà.
Il cammino di libertà, conclusosi come tanti in quegli anni su un rogo (1308), viene quindi ripercorso da Soraci arricchendolo di altre voci di colleghe, beghine, mistiche che di fatto proprio negli stessi anni e soprattutto in Francia percorrevano una nuova strada che ahiloro, e ahinoi, si fermò davanti ad un catasto di legna incendiata che non ha potuto però spegnere il fulgore del loro esempio e, come in questo caso, delle loro parole.

La loro voce la sentiamo forte e chiara!


"Voi che in questo libro leggerete/ Se ben capirlo volete/ Pensate a quanto direte/ poiché è duro da capire/ Umiltà dovete avere/..."







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lunedì 19 luglio 2021

Paolina Leopardi VI Parte- I lutti e l'eredità


VI parte- I lutti e l'eredità 


Credits by wikipedia



PAOLINA LEOPARDI 
di
ELISABETTA BENUCCI

Intanto il conte Monaldo era sempre più malato. Era infermo da tempo, incapace di lavorare come una volta. Quando le sue forze erano venute meno, stava cercando di portare a termine una monumentale storia di Recanati, opera in quattro o cinque volumi. Il 30 aprile 1847 Monaldo rendeva l’anima a Dio, probabilmente minato da un male incurabile. In quell’occasione, Paolina scrisse la memoria Monaldo Leopardi e i suoi figli , dove pieno di affetto è il ricordo del padre. 


Alla morte di Monaldo, Adelaide fu nominata amministratrice assoluta di tutto il patrimonio. Per la legge del maggiorascato l’erede era Pierfrancesco, dal momento che Giacomo era morto e che Carlo aveva perso ogni diritto a causa delle contrastate nozze con Paolina Mazzagalli. Qualche anno dopo, nel 1849, Carlo intenterà una causa legale contro la famiglia, ma la perderà.

Di lì a poco una serie di lutti terribili funestò la famiglia Leopardi: il 29 settembre 1851 morì il fratello Pierfrancesco, all’età di trentotto anni; dopo pochi mesi, l’8 dicembre, morì l’amata Maria Virginia, la figlia undicenne di Pierfrancesco; il primo ottobre 1852 si spense, all’età di trantasei anni, Cleofe Ferretti, la vedova di Pierfrancesco. Cleofe lasciava due figli: Giacomo (1843-1903) di nove anni e Luigi (1844-1923) di otto. Con la morte di tanti parenti, si venne a creare un nuovo piccolo nucleo familiare, composto da Paolina, dalla madre Adelaide e dai nipoti Giacomo e Luigi. Ma la notte del 2 agosto 1857 Adelaide morì improvvisamente. Si spense nel sonno, all’età di settantanove anni. Erano trascorsi ventanni dalla morte di Giacomo e dieci da quella di Monaldo. Era sopravvissuta a quasi tutti i suoi figli; al suo capezzale erano rimasti soltanto Paolina e, forse, Carlo. Fu sepolta nella chiesa di Santa Maria di Varano, nella medesima tomba dove riposavano Pierfrancesco e Virginia. Sulla lapide, a firma «Paolina figlia non mai consolabile», era incisa questa frase: «Adelaide di Filippo Antici / insigne per pietà ed affetto conjugale / mirabile nel ristorare l’ economia domestica: / con sé avara / premurosissima per la famiglia». Nella lapide non compariva il nome dell’altro figlio ancora in vita, Carlo, che era stato tenuto ai margini della famiglia proprio dalla madre. 


Adelaide era stata senza dubbio la causa principale dell’infelicità di Paolina, ma ne era stata anche la compagna per quasi sessantanni. Tra le due donne si era creato nel tempo un vincolo forte, indefinibile e indecifrabile, fatto di sentimenti contrastanti, di silenzi, di sguardi, di frasi non pronunciate o solo abbozzate. Un sentimento alimentato, oltre che dalla forzata convivenza, da controversie, dolori, miserie, misteri, ricordi. A palazzo Leopardi erano rimaste per diversi anni solo loro due, ed erano le uniche sopravvissute di una vera e propria saga familiare. Per le disposizioni del testamento paterno Paolina era ora l’unica erede usufruttuaria. Nel grande Palazzo di Recanati Paolina rimase insieme ai due nipoti.

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lunedì 5 luglio 2021

Paolina Leopardi V Parte


V Parte Le prime opere e la morte di Giacomo


Stemma Leopardi



Paolina Leopardi
di Elisabetta Benucci


Nel 1832 Paolina cominciò a lavorare al periodico fondato dal padre: il 31 maggio uscì infatti il primo fascicolo de «La Voce della Ragione. Giornale filosofico, teologico, politico, istorico e letterario», stampato a Pesaro. Paolina ne sarà l’artefice e l’anima insieme a Monaldo, assumendo il ruolo di giornalista, di redattrice capo e di collaboratrice assidua; in particolare contribuì al periodico con un numero ragguardevole di traduzioni di articoli di giornali stranieri.

Tra il novembre e il dicembre di quello stesso anno Paolina vide pubblicato il suo primo libro: Viaggio notturno intorno alla mia camera dell’Autore del viaggio intorno alla mia camera, edito a Pesaro da Annesio Nobili (prima traduz. italiana dell’Expédition nocturne autor de ma chambre di Xavier de Maistre). Fra il 1832 e il 1840 Paolina collaborò sia con il periodico «La Voce della Verità» di Modena sia con molti altri giornali quali «L’Amico della gioventù», «La Gazzetta di Milano», «La Gazzetta di Genova», «La Gazzetta di Modena».  


Le opere di Paolina nel libro
di Elisabetta Benucci
Il 14 giugno 1837 morì a Napoli il fratello Giacomo, all’età di trentanove anni. Nello stesso giorno dell’ arrivo della notizia della morte del poeta, la famiglia era in subbuglio per un altro motivo: il figlio Pierfrancesco (1813-1851), invaghitosi di una fanciulla di modestissime origini, era fuggito per inseguire il suo sogno d’ amore, ma era stato riacciuffato e ricondotto a casa dai carabinieri. Toccò allora a Paolina annotare nel registro di famiglia la triste notizia: «A dì 14 giugno 1837 morì nella città di Napoli questo mio diletto fratello divenuto uno dei primi letterati d’ Europa. Fu tumulato nella chiesa di S. Vitale, sulla via di Pozzuoli». La morte del fratello poeta fu per Paolina un dolore grandissimo, una sofferenza indicibile. Nel settembre 1837 Paolina dette alle stampe l’opera Mozart, alla quale consegnava, dietro lo schermo della ricostruzione dell’esistenza del famoso musicista, il suo monumentum in onore del fratello scomparso.


Il
29 aprile 1839 fu invece un giorno di festa in casa Leopardi. Si celebrò infatti il matrimonio fra il fratello Pierfrancesco con Maria Cleofe Ferretti (1816-1852). Un matrimonio preparato da tempo per colui che era destinato, dopo la morte di Giacomo e l’allontanamento definitivo di Carlo, a ereditare tutte le sostanze della famiglia e a continuare la discendenza del casato. I novelli sposi si stabilirono a palazzo Leopardi, dove la vita di Cleofe non fu mai felice per i difficili rapporti e gli insanabili contrasti con la suocera. Dal matrimonio nacquero quattro figli, una figlia femmina e tre maschi, dei quali vivranno a lungo solo due maschi, Giacomo e Luigi. 

Pierfrancesco
Leopardi

Maria Cleofe, con la quale Paolina instaurò un rapporto di grande affetto, fu sempre di salute cagionevole e fra mille tormenti portò a termine la sua prima gravidanza: il 30 agosto 1840 dette alla luce Maria Virginia, destinata a morire fanciulla. Paolina amò questa bambina come una figlia e il suo istinto materno si concentrò tutto sulla nipotina, che riempiva di baci e di carezze.

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