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martedì 27 agosto 2019

Eleonora d'Arborea Bas - La prima Giudicessa di Arborea


Eleonora d'Arborea Bas, Giudicessa di Arborea




Eleonora d'Arborea Bas si proclama Giudicessa di Arborea nel 1383.

Quando suo padre, Mariano IV, viene eletto giudice d'Arborea nel 1347, le guerre tra pisani e genovesi per il possesso dell'isola erano terminate già nel 1284 con la battaglia della Meloria, in cui la Repubblica pisana aveva sostanzialmente perso il suo dominio in favore dei genovesi e soprattutto degli aragonesi che dopo l'accordo con Papa Bonifacio VIII, in cambio di un loro disimpegno in Sicilia nella disputa con gli Angioini, erano stati investiti del Regno di Sardegna. 
Il porto di Livorno
 di fronte la Torre della Memoria
dove avvenne la battaglia
tra pisani e genovesi.

La nuova dominazione spagnola non impiegò molto a voler imporre una sua organizzazione, elargendo a valenziani e catalani nuove terre e titoli che non tenevano conto degli antichi privilegi e tradizioni.

Mariano IV decide quindi di combattere “lo straniero” e difendere gli usi e costumi, nonché le antiche organizzazioni territoriali, ingaggiando una battaglia contro gli aragonesi. Si allea per questo con i Doria, la famiglia genovese presente sull'isola con importanti possedimenti terrieri. 

Le numerose vittorie di Mariano però iniziano a preoccupare lo stesso alleato genovese e la loro alleanza viene meno quando Brancaleone Doria decide di passare dalla parte degli Aragonesi.


La mancanza di una salda alleanza che non si basasse sulla sola strategia fu risolta dal figlio di Mariano IV, Ugone III, quando gli succedette dopo la sua morte nel 1376.

Ugone decide infatti di far sposare sua sorella Eleonora con il Signore di Longodoro, Brancaleone Doria.

Le nozze si celebrarono intorno al 1376 e da quel momento Eleonora diventa la domina di questa alleanza politico-familiare.



Nozze di Eleonora d'Arborea con Brancaleone Doria,
 Antonio Benini. Credit Wikipedia.
E' una madre attenta all'educazione dei figli, segue l'economia della casa, riceve i numerosi contadini e servi che quotidianamente chiedono udienza, fa le veci del marito quando è assente e nel 1383 si proclama Giudicessa d'Arborea.
Suo fratello Ugone III infatti è stato ucciso ad Oristano e il Regno d'Arborea rischia di essere vulnerabile a sommosse interne e all'attacco degli spagnoli. Invocando l'antico diritto regio per cui una donna poteva succedere al padre o al fratello, si porta sul campo di battaglia.
A cavallo si sposta sul vasto territorio per evitare sommosse e rappresaglie, reclama il Regno d'Arborea per suo figlio Federico e vuole che, in modo pacifico questa volta, anche la Spagna lo riconosca e lo accetti legittimamente.

C'è bisogno quindi di un'ambasciata fidata anche per gli spagnoli e chi meglio di suo marito Brancaleone? La famiglia genovese dei Doria anche dopo il matrimonio con Eleonora era rimasta infatti fedele agli Aragonesi, preferendo una posizione neutrale.


Brancaleone si decide quindi a partire alla volta del Re di Spagna che lo accoglie con tutti gli onori. Ma mentre Brancaleone è occupato nel suo viaggio diplomatico, Eleonora non sta ferma ad aspettare.
A capo delle sue milizie difende intanto il suo territorio e conquista castelli e fortezze, costringendo gli spagnoli a rinchiudersi e resistere.

Le sue gesta però non mancano di arrivare puntualmente al Re spagnolo che ora iniziava a dubitare della fedeltà di Brancaleone il quale viene sempre più attenzionato fino ad essere imprigionato.

Eleonora riceve quindi una proposta di scambio: avere indietro suo marito in cambio di suo figlio Federico che sarebbe dovuto crescere alla corte spagnola. Brancaleone stesso avrebbe portato alla moglie l'ambasciata e, per il resto, però avrebbe dimorato, in custodia, nel Castello di Cagliari. 
Il Castello di
Eleonora d' Arborea,
Sanluri.
credit: wikipedia

Nel frattempo Eleonora però aveva riconquistato Oristano, punito gli assassini del fratello e ristabilito l'antica legge ed organizzazione del Regno. Riunita la Corona de Logu, l'assemblea elettiva, le aveva fatto giurare fedeltà al figlio Federico di cui ne aveva assunto la reggenza.

Quando l'anno seguente finalmente Brancaleone propone le condizioni di scambio, Eleonora rifiuta categoricamente di consegnare suo figlio Federico di fatto già investito come futuro sovrano.

Lo scontro d'armi diventa inevitabile. Il re di Spagna pur avendo come ostaggio Brancaleone però si rende conto che non conviene uno scontro diretto, infatti Eleonora nel frattempo aveva riconquistato gran parte del territorio isolano e agli spagnoli non rimanevano che Cagliari ed Alghero. In effetti Eleonora costrinse gli aragonesi ad una dura resistenza asserragliati nel Castello di Cagliari che veniva sorvegliato e depredato in continuazione. Una strategia di attacco e indebolimento che non sfociò mai in guerra aperta, per volontà del re spagnolo, ma che durò ben due anni.

Pietro Alfonso d'Aragona
detto il Cerimonioso
Nel 1836 Eleonora decise quindi di far evadere il marito ma il progetto viene scoperto e la resa diventa l'unica soluzione.
Mentre si trattano le condizioni della pace che in realtà riconoscevano molte delle istanze che Eleonora reclamava per il popolo, le leggi e le tradizioni della sua terra, il re Pietro IV, il Cerimonioso, muore. Gli succede il figlio Giovanni che rivede al rialzo tutte le clausole tra cui la liberazione di Brancaleone Doria condizionata alla piena applicazione delle altre che a differenza del precedente patto risultavano questa volta estremamente dure per Eleonora e il suo feudo.

Eleonora doveva anche restituire tutti i castelli armati e riarredati con i soldi della famiglia Doria prima di riconsegnarli agli aragonesi. Doveva sciogliere il popolo dal giuramento al figlio e pagare il censo feudale dai tempi di suo padre.

Il Regno d'Arborea inoltre veniva riconfermato alle loro concessioni ma se non ci fossero stati eredi, Federico infatti nel frattempo era morto ed era rimasto solo il secondogenito Mariano, il territorio doveva tornare al sovrano spagnolo.

La Pace di Cagliari fu firmata nel 1388.


il Giudicato d'Arborea
L'anno seguente il re di Spagna concede a Violante Carroz, contessa spagnola, la Contea di Chirra, un vasto territorio confinante con il Regno d'Arborea. Questo gesto riaccende malcontenti tra Eleonora e il re spagnolo perché la contea per legge sarebbe dovuta tornare al re che invece preferì darla ad una donna, la figlia di un suo fedelissimo e moglie di un suo esecutore.

Eleonora dopo aver rimostrato ufficialmente le sue contrarietà al re, si muove sul campo.
Dai monti della Barbagia fino al mare di Ogliastra smuove la popolazione che l'acclamava festante, riconquistando i territori persi; di nuovo agli spagnoli non rimangono che Cagliari e Alghero.

Il re spagnolo nonostante avesse proclamato nel 1392 Eleonora e Brancaleone ribelli e condannati a morte, non si decide però a mandare un contingente sull'isola per ristabilire la pace e con lo scoppio di nuovi tumulti in Sicilia perde ancora più tempo che Eleonora sfrutta tutto a suo vantaggio.

Decisa a riunificare l'isola sotto il suo casato, riorganizza politicamente, amministrativamente, giuridicamente il suo territorio. Riprende il progetto di suo padre Mariano IV ma lo modernizza. Scrive una nuova Carta de Logu nel 1395.

La Carta mette per iscritto gli antichi usi e tradizioni locali a cui tuttavia Eleonora non manca di dare una sua personale impronta “riformatrice”.

Stabilisce che le pene previste sia in caso di questioni pubbliche o tra privati siano stabilite da un'autorità pubblica, vietando un accordo di risarcimento privato. Le pene fisiche invece sono previste solo per i casi più gravi come quello di omicidio o lesa maestà.

Introduce il concetto di intenzionalità del reato commesso e quindi la differenza tra dolo e colpa.

Su tutto c'è la volontà di instaurare un principio di sovranità che regoli la pratica privata per quanto antica con l'obiettivo di formare una nazione sarda.

Particolare attenzione pone anche alla condizione femminile, istituisce infatti la comunione dei beni nel matrimonio, la salvaguardia della moglie e dei figli dal marito pignorato e soprattutto riconosce alla donna libertà di rifiutare un matrimonio riparatore dopo una violenza sessuale.

Riorganizzato così il suo territorio Eleonora prosegue la sua battaglia contro gli spagnoli che nel frattempo erano impegnati anche sul fronte siciliano.

Re Giovanni era da parte sua invece sempre più distante dai suoi impegni politici e preferiva cercare rifugio tra i balli di corte e la vita mondana e invece di organizzare una spedizione in terra sarda si sposta a Maiorca dove rimane vittima di una battuta di caccia. Gli succede il fratello Martino che è determinato a risolvere la 'questione sarda'.

Nel frattempo però sull'isola scoppia la peste di cui la stessa Eleonora rimane vittima, morendo intorno al 1404.
Quando nel 1409 gli aragonesi impongono il loro dominio sull'isola, applicano la Carta de Logu su tutto il territorio.

L'opera amministrativa di Eleonora d'Arborea Bas rimarrà in vigore fino al 1800 quando solo il codice promulgato da Carlo Felice la sostituirà definitivamente.

Per più di quattrocento anni Eleonora continuò a governare la sua isola, realizzando il sogno della sua casata: Nos Elionora per issa gratia de Deus Iudicissa d' Arborea, Comtissa de Gociano e biscontissa de Basso.


Ritratto di Eleonora d'Arborea,
Antonio Caboni, 1881.
Credit: Wikipedia


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Eleonora d'Arborea prima Giudicessa













COPYRIGHT dei contenuti dove non diversamente specificato

mercoledì 28 marzo 2018

Virtù più che virili. Le lettere di Beatrice Caetani Cesi (1557-1608)









Come visto con il volume Autografa II 
Qui puoi leggere il post suAutographa II
 sulle scritture di donne come Artemisia Gentileschi, Vittoria Colonna ed altre l'esercizio della scrittura femminile nel Cinquecento non era appunto mero esercizio ma concreto scambio di vedute, sentimenti racconti del vissuto proprio e dei propri cari ma le epistole autografe sono anche fonte di ulteriori spunti storici, sociali e culturali.

La presentazione del libro Virtù più che virili Le lettere di Beatrice Caetani Cesi (1557-1608) a cura di Caterina Fiorani si è svolta alla Biblioteca di Storia Contemporanea in Via Michelangelo Caetani nel palazzo Mattei di Giove che insieme ad altri edifici appartenevano ad un complesso proprio della famiglia Caetani.

Questo libro è il tredicesimo volume edito dalla casa editrice Viella della collana La memoria restituita- Fonti per la storia delle donne, diretta da Marina Caffiero e Manola Ida Venzo e che prende vita da un'iniziativa dell'Archivio di Stato e dell'Università La Sapienza di Roma sulle orme di un progetto del 2001: L'Osservatorio per la scrittura delle donne nel Lazio patrocinato dalla Regione Lazio.

Il volume si occupa di cinquantanove lettere di Beatrice Caetani, di cui quarantotto solo sono autografe, conservate all'Archivio di Stato di Roma. Onorato Caetani, infatti non volle bruciare le lettere di Beatrice che oggi sono quindi potute essere oggetto di studio. In queste lettere Beatrice parla poco dei figli ma lascia spazio comunque all'educazione da impartire mentre parla di suo marito, Angelo Cesi che morirà in Ungheria contro il turco in data ancora sconosciuta tra il 1569 e il 1570, e di lui ne esce il ritratto di un marito violento, violenza di cui tuttavia i suoi parenti sono a conoscenza. Beatrice sposa il Cesi, famiglia nobile molto importante, a diciassette anni. La sua data di nascita è stata finalmente identificata ed è il 1544, bambina dal carattere ribelle non è acquiescente con il suo precettore tuttavia si adegua a corrispondere all'educazione che si confà alla sua classe sociale e alla sua condizione di donna del Cinquecento.
La sua scrittura ci dice molto oltre che della sua vita, degli aspetti intimi, ci rivela anche però un sentore del tempo Beatrice infatti risulta avere confidenza con la scrittura ma usa molte univerbazioni (cioè l'unione grafica di due differenti parole in origine separate) soprattutto all'inizio della sua corrispondenza, molto meno invece saranno nelle ultime, questo denota senz'altro un'evoluzione che però non si nota in altri aspetti come ad esempio il linguaggio d'altronde alle donne veniva insegnato a leggere ma non si insisteva tanto nella scrittura.
Le lettere di Beatrice riportano i canoni dell'epoca, formule di apertura e chiusura ma questa rigidità formale non si riscontra però nei contenuti e nei temi trattati. L'epistolario d'altronde era un mezzo colloquiale e così Beatrice passa dal parlare di un cane bracco ricevuto in regalo ad un aborto per poi tornare a parlare del cane, questa disinvoltura di argomenti senza un filo per noi logico rende allo-a studioso-a di oggi molto difficile l'analisi. Si tratta infatti di un italiano parlato e non è quindi anomalo ritrovare elementi sintattici difficilmente costruiti proprio perché ci si trova di fronte a lettere che surrogavano un colloquio e nel parlato quindi non si può strutturare troppo un pensiero complesso a meno di perdere il filo del discorso.
La lingua usata da Beatrice nelle lettere che come detto sostituiscono un dialogo, è un italiano colorito da elementi regionali si presentano infatti in realtà in quello che si può definire un romanesco antico.
La Porta di Sperlonga
con lo stemma della famiglia Caetani
Il volume è poi introdotto da saggi di Manuel Vaquero Piñeiro che affronta la gestione dei territori della famiglia Caetani evidenziando come questa si sia evoluta con l'ascesa della casata e come altrettanto sia coincisa questa altolocatezza con l'aumento delle spese di 'casta' che hanno poi di fatto portato al lastrico la famiglia. Nel saggio “Terre e acque nella signoria dei Caetani di Sermoneta” Vaquero Piñeiro mette bene in evidenza le capacità gestionali della famiglia Caetani e dei loro sforzi “imprenditoriali” in favore di risorse che producessero una rendita e per incrementare i profitti, risorse che tuttavia non basteranno alla famiglia nel momento di massima ascesa sociale.

L'altro saggio introduttivo è affidato a Rita Cosma con la nota paleografica d'altronde come ricorda la direttrice della collana Marina Caffiero l'idea vincente della collana è proprio quella di far lavorare settori disciplinari diversi, l'archivista con lo storico e il linguista...





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venerdì 4 agosto 2017

La sposa normanna- Costanza I d'Altavilla

La cattedrale di Palermo


La Sposa Normanna- Costanza I d'Altavilla” è un libro uscito nel 2005 per le Edizioni Piemme non una novità editoriale quindi ma è un romanzo che essendomi piaciuto molto mi sento di consigliare come lettura estiva, anche sotto l'ombrellone perchè anche se è un tema storico e a qualcuno potrebbe spaventare è scritto in romanzo ed è davvero accattivante. E' ancora in pubblicazione dal 2013 per le edizioni Pickwick.

La storia si basa sulla vita e i miti legati a Costanza d'Altavilla, ultima discendente di questa prestigiosa famiglia aristocratica siciliana, madre di Federico II di Svevia, lo "stupor mundi" che segnò il cammino dell'umanità e cantata perfino da Dante nel III Canto del Paradiso.

L'autrice Carla Maria Russo è una grande scrittrice, oltre che storica, che riesce a trasportare direttamente chi legge nella piena vicenda personale e storica che caratterizza ogni suo romanzo. 

venerdì 2 settembre 2016

L'altra Cilento



"Simonetta Vespucci e Fioretta Gorini amanti di Giuliano de' Medici",
di Elena Vilkov;

 dalla mostra d'arte "Personaggi femminili di Opere di Ruggero Leoncavallo",
 a cura di Marisa Russo.

Le vacanze sono finite e anche il tempo inclemente ce lo ricorda ma abbandonare i nostri ricordi non è mai semplice, al ritorno. Ecco quindi il resoconto delle ferie in cui l'ottica di genere non mi ha mai abbandonata.

Il Cilento è terra antica e da sempre è stata terra di sacrificio ma allo stesso tempo di grande produttività da cui attingere nutrimento e così è rimasto, il Cilento, terra di nutrimento di spirito e corpo.

La passeggiata inizia a Celso paese del comune di Pollica che offre un gran palazzo baronale, inserito nel patrimonio UNESCO, da cui, oltrepassato l’arco, si arriva al centro della piazza. Proseguendo e prendendo la via della Valle ci si imbatte in tante piccole case in cartapesta lasciate negli anfratti del paese e che ogni anno a Natale ritrovano vita e calore in un presepe che attraversa tutto il paese e che conduce ad una sagra ai piedi della fonte…nella Valle. L’antica Fonte, si dice, fu luogo abitato dalle streghe e adibito agli antichi sabba, le memorie degli abitanti le ricordano ancora, ancora c’è chi dice di averle viste come lo zio di una delle nostre guide che è riuscito a sventare un rapimento di un bambino, c’era infatti lì, lui lo sa, una strega che rubava i bambini, c’è poi lo spettro di una ragazza uccisa a diciassette anni che si manifesta dietro una porta in un piccolo vicolo ma non si sa chi fosse né perché la sua giovane vita fu spezzata così presto; chissà forse vorrebbe solo che le sue ragioni fossero ascoltate e il suo ricordo è ancora vivo nelle persone che mettono in guardia le bambine dallo spirito di questa povera ragazza.

E’ affascinante vedere come i miti resistano e si tramandino e ancora siano così forti e radicati. Il mito della strega che tanto il femminismo degli anni ’70 ha recuperato in chiave di protesta e di denuncia sia qui ancora una credenza viva, impregnata di verità con fonti antiche e legittimanti, poiché queste non erano streghe qualunque bensì le famose streghe di Benevento che qui venivano a ristorarsi e le memorie popolari sono ancora qui a testimoniarcelo, esse ancora fino a poco tempo fa erano lì, alla Fonte.
La Fonte Valle dove gli abitanti del paese dicono
si verificassero i Saba delle Streghe, le "janare"
Come ogni aspetto folkloristico l’ancestrale si sovrappone però nel tempo a nuovi aspetti sociali e così oggi lì dove le streghe si riunivano nei sabbat, a Natale ci si incontra per festeggiare, e l’emblema di questo incontro è testimoniato qualche luogo più in là, verso il Monte Stella dove è stato ritrovato un sito risalente al neolitico e dove in tempi moderni fu costruito un convento oggi solo un accumulo di rovine ma tutto è testimonianza e sta lì a dar credibilità che le storie antiche sono degne di verità e che le streghe esistono ancora eccome*…e noi anche ne siamo convinte certo quel tipo di streghe che vedono nelle donne indipendenti e savie una minaccia che la società stessa nei secoli ha messe a morte, quelle figure di donne demonizzate dalla cultura popolare e che hanno ricevuto giustizia solo grazie alla storiografia che le ha scoperte e volute soggetto di inchiesta storica.




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Proseguendo il viaggio si arriva alla poesia di Maria Mazziotti a cui il suo paese di origine ha dedicato una targa nella piazza principale e con cui ha voluto instaurare un percorso che congiunge due continenti e sorpassa gli oceani. Maria è infatti figlia di emigrati italiani che come tanti dal sud Italia sbarcarono anni fa negli Stati Uniti e così dal prossimo anno organizzerà un workshop con studiosi americani che hanno imparato a conoscere questi luoghi amando la poesia dell’autrice.  Le sue poesie sanno di nostalgia e di un ritorno a casa, di quella semplicità tipica di questi posti veri e autentici come semplici ma dirette sono le sue illustrazioni, in cui la natura e le donne sono i soggetti, figure femminili che si liberano e prendono immagine dalle “numerose donne che vengono dal mio ventre”.
La targa dedicata alla poeta in Piazza San Nicola
Nel tempo Mary ha recuperato anche il piacere e l’orgoglio di essere semplicemente Maria, italo- americana.


E nell’arte ritroviamo anche figure di donne a cui è stata data un’immagine da altre donne, ragazze che hanno interpretato
La locandina della mostra d'arte
organizzata da Marisa Russo
personagge delle opere liriche di un grande Maestro della musica proprio vissuto da quelle parti, Ruggiero Leoncavallo. Ecco allora quadri con Zaza, Mimì, Nedda, Simonetta Vespucci, Delia Terzachi… 


La musica è, come tutte le arti, specchio della realtà da cui prende forma ma da cui si discosta per restituirle sogno e bellezza, quella maestria che la natura regala a pochi eletti come il Maestro Peppe Barra che in concerto, a San Mauro Cilento, nella sua musica fatta di poesia, di fiaba, di storia  e di allegria ma anche dolore, insomma di cultura non ha mancato una dedica alle donne, una dedica per far riflettere sulla violenza contro le donne, ecco allora una poesia di Salvatore Di Giacomo “O’ Munnasterio” perché 'una volta le pene d’amore si risolvevano riflettendo e i rifiuti si accettavano e venivano presi come momenti di crescita, dolorosa, ma non si aveva paura del dolore, l’amata non si uccideva' :

Jettaje 'stu core mio 'mmiez'a la strata

E 'ncopp'a 'na muntagna mme ne jette

E, pe' 'na passiona disperata,

Monaco 'e San Francisco mme facette.


– Tuppe-tù! – Chi è?

– Ccà ce stess'uno

Ca ll'è caduto 'o core 'mmiez'â via?

– Bella figliò, ccà nun ce sta nisciuno,

Va', jatevenne cu Gesù e Maria!



Se ne jette cantanno: "Ammore, ammore,

Cchiù nun te vò zi' monaco vicino!"

E p' 'a muntagna se purtaje 'stu core,

Arravugliato dint' 'o mantesino. “     (1887)

E poi arriva lei, la “Tammurriata Nera”, la tammurriata che serve ad esorcizzare le paure, i dolori, le difficoltà, il male, che qui si richiama agli atti di violenza che i soldati afro-americani fecero contro le donne napoletane nel secondo dopoguerra. La canzone scritta nel 1944 parla di una donna che nonostante tutto ama il proprio figlio e lo chiama Ciro, Peppe… 
La Tammurriata che esorcizza grazie alle percussioni, strumenti ancestrali che catturano e riportano alla nostra natura perchè fatti con elementi di esseri viventi, la pelle.
Fu una canzoncina scritta apposta in modo lieve, allegra per sdrammatizzare un male profondo che però Peppe Barra in più di vent’anni ha reso sua, drammatizzandola in un grido di dolore, quel dolore che la violenza che ancora tocca le donne inevitabilmente produce in tutta la società, ecco allora che coinvolge tutto il pubblico in un grido collettivo, una conta del tempo da cinque a sette, affidata al pubblico che risponde ai suoi 1,2,3,4 e poi un grido di dolore, una preghiera che come un afflato raggiunge il cielo, perché, come sostiene, l’unica arma che abbiamo in questa società ormai abituata a tante brutture e barbarie, è la cultura.

Da questo grido che diventa preghiera che si innalza, la cultura avvicina le anime e le fa incontrare...l’altra Cilento mi ha regalato anche questo e anche se le ferie sono finite e bisogna recuperare la solita routine, i sensi rimangono lì rapiti da tanta bellezza con cui vedere e interpretare ogni nostro piccolo mondo quotidiano, come un incantesimo…  








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* Per approfondire sul tema delle Streghe a Celso, riporto l'intervento pubblicato sulla pagina fb del Comune di Pollica dove la Professoressa Rita Oranges, originaria del luogo, ha raccolto dalla popolazione locale le testimonianze ed i ricordi delle storie delle janare:


UNA FAVOLA VERA
 


"C’era una volta, negli anni cinquanta, un magico paesino sulle pendici del Monte Stella, dove la domenica mattina tutti andavano alla messa celebrata da monsignore. Le donne, rigorosamente col velo in testa, si sedevano avanti, vicino all'altare, gli uomini,invece, stavano negli ultimi banchi in fondo alla chiesa. Quando iniziava la predica tutti gli uomini uscivano sul sagrato per non ascoltare il sermone. Monsignore tuonava dal pulpito contro le usanze pagane della popolazione, ma la gente continuava a farsi togliere il malocchio quando soffriva di mal di testa e a credere al monaciello che faceva i dispetti. Ad aiutare monsignore nel suo operato c'erano Caterina ed Ernestina che si opponevano fortemente alle credenze pagane del popolo, ma, nelle sere d'inverno passate davanti al fuoco, le persone continuavano a parlare di licantropi e di streghe.

immagine presa dal giornale web
www.mozzafiato.info/
Caterinella racconta che un tempo viveva a Celso un lupo "pompinaro". Era nato nella notte di Natale e, quindi, ogni volta che c'era la luna piena, era costretto a subire delle mutazioni che lo rendevano irriconoscibile agli occhi dei suoi compaesani .Una sera un contadino stava ritornando a casa quando sentì l'ululato del lupo e lo imitò. Il lupo "pompinaro", offeso, con pochi balzi raggiunse la casa del contadino che fece appena in tempo a chiudere la porta alle sue spalle altrimenti sarebbe stato sbranato. Caterinella parla anche della chioccia dai pulcini d'oro che si nascondeva vicino alla sua abitazione, situata poco dopo la chiesa del paese, e ci racconta delle fate che abitavano in via Velino e tessevano delle tele meravigliose.

Nel magico paese del Cilento non c'erano solo le fate ma anche le" jnare" che provenivano dai paesi del Beneventano e spesso soggiornavano a Celso per lunghi periodi di tempo. Queste streghe erano in grado di volare perché possedevano un unguento che mettevano sotto le ascelle rendendole atte al volo. Si racconta che i figli di una di queste "jnare" avessero sostituito l'unguento con l'acqua per non fare uscire la madre di notte, ma il mattino successivo trovarono la donna morta, caduta dalla finestra, perché non era riuscita a volare. I sabba di queste streghe si tenevano al Piano del noce oppure alla fontana della Valle e il fracasso che veniva fuori dai loro riti si sentiva per tutto il paese, ma nessuno osava avvicinarsi.

Rosa racconta che una notte una famiglia dormiva nella propria casa quando una "jnara" entrò e cercò di prendere uno dei bambini ma il padre se ne accorse e prese la "jnara" per i capelli e alla domanda: " Che hai in mano?" l'uomo rispose:"Ferro e acciaio". Così la strega sparì e lasciò il bambino ai genitori.
Nell’eterna lotta fra il bene e il male Celso ha vinto la sua battaglia conservando nelle persone anziane il ricordo di queste splendide leggende e dando loro la possibilità di poterle tramandare ai figli ed ai nipoti facendo in modo che non si cancelli la memoria del mondo magico in cui vivevano i loro antenati che per sopravvivere alla miseria e agli stenti si rifugiavano in questa dimensione fantastica popolata di fate, streghe e chiocce dai pulcini d'oro".


Rita Oranges



martedì 27 maggio 2014

Amelia, che amava vestire alla turca

Almanacco del 27 Maggio:

diritti delle donne Stati Uniti 1800

Amelia Jenks nasce nello stato di New York a Homer in una famiglia puritana e numerosa, il 27 Maggio 1818 dal commerciante Ananias e da sua moglie Lucy Webb.

Le notizie sulla sua prima infanzia ed istruzione, come quella delle eroine più classiche, è avvolta dal mistero, poche infatti  sono le notizie, perfino suo marito ha poche informazioni ma sappiamo che ha ricevuto i suoi primi rudimenti dalla mamma, così come anche i suoi altri sei tra sorelle e fratelli per poi successivamente frequentare una scuola pubblica. D’altronde come ci ricorda suo marito, nelle memorie che lui stesso si incarica di pubblicare alla morte della moglie, ad una donna era richiesto giusto di saper leggere e scrivere quel tanto che bastava per la sufficienza. Ciò però non le impedì all’età di circa  diciassette anni di diventare insegnante e per almeno due anni esercitare questa professione; in seguito diventa governante presso la casa di Chamberlain dove accudirà i ragazzi della casa e dove conoscerà  il giovane studente di legge, Dexter Chamberlain Bloomer che fonderà il giornale “Il Corriere di Seneca County”.
Dopo un periodo di fidanzamento, il 15 Aprile del 1890 si sposano e già al ricevimento durante i festeggiamenti, Amelia va fiera e ricorda a tutti che durante i voti, ha omesso la parola “obbedisco” prevista invece ineluttabilmente nella formula matrimoniale per le donne.
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Inizialmente spronata dal marito a scrivere sul suo giornale, accetta di collaborare agli articoli ma in modo anonimo ma non si tira indietro invece nel trattare i temi che riteneva importanti, dagli aspetti sociali a quelli morali a quelli politici.
Dopo essere entrata nel movimento della Temperanza e aderito alla Società femminile della Temperanza nel 1848, decide con altre donne di dar vita ad un giornale in cui le donne possano esprimersi visto che le donne nell’associazione religiosa potevano assistere alle riunioni, ascoltare ma non esprimere delle proprie idee o commenti. Questa iniziativa però incontrando da subito difficoltà, lasciò  Amelia sola ma facendo di lei la prima donna editrice e proprietaria di un giornale, oltretutto per donne. Il giornale intitolato “Lily” fu dato alle stampe nel 1849, dai suoi fogli Amelia iniziò a scrivere trattando i primi temi sulla condizione delle donne anche grazie ai contributi di una Elisabeth Cady Stanton, figlia dell’eminente giudice Daniel Cady, che si firmava come “Girasole” e da Lucretia Mott: “E’ la donna che parla 
attraverso Lily. Riguarda un tema importante, che essa possa parlare in pubblico per essere ascoltata...[1].

Aderisce alla chiesa episcopale di cui farà parte per cinquant'anni, e cioè fino alla sua morte, e da subito comincia a “predicare” che alcuni passaggi della Bibbia con soggetto le donne erano stati mal interpretati, poiché la donna è compagna del suo “fratello” nel governare e nella salvezza della razza.[2].

É grazie al suo lavoro, al suo giornale e alla entusiastica ricerca di nuove collaborazioni che si deve l’incontro di una straordinaria coppia di amiche e collaboratrici che tanto con il loro concorso hanno dato a tutte le donne, il “binomio” tra Elisabeth Cady Stanton ed Susan B. Anthony che si incontrarono nel 1850 quando la Anthony arrivò a Seneca Falls per partecipare ad una convention sulla schiavitù. 
Bloomer fa incontrare due importanti femministe
Gruppo di bronzo che raffigura l'incontro promosso dalla Bloomer tra Elisabeth Cady Stanton e Susan B. Anthony in cui Amelia indossa i pantaloni alla turca. Scultura del Prof. Ted Aub: "When Anthony met Stanton".

E se agli inizi i suoi articoli tendono a mantenere una certa moderazione, la sua partecipazione alla convention di Seneca Falls, seppur come semplice uditrice che non firmò alcuna dichiarazione o proposta, la colpì profondamente tanto che anche il suo apporto al giornale divenne più deciso: “...più tardi altri casi mi vennero sottoposti, molto simili tra loro che mi diedero la piena consapevolezza della crudeltà della legge riguardo alle donne, e quando la Convention per i Diriti delle Donne mise in chiaro i suoi sentimenti e indirizzi, ero pronta a schierarmi con questa parte per domandare questo sostanziale cambiamento della legge in favore delle donne per dar loro un diritto ad ereditare, e ai loro figli un’opportunità più ampia di impiego e una migliore educazione, e anche un diritto che protegga i loro interessi alle urne.”.[3]
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Amelia era una donna che sperimentò anche su se stessa la fattibilità di una nuova condizione per la donna, spronata dal marito diventato direttore delle poste di Seneca Falls, diventa il suo vice e rimane quasi compiaciuta dalle sue capacità da lavoratrice rendendosi conto che effettivamente una donna non aveva alcun impedimento concreto che potesse giustificare l’esclusione delle donne dal mondo del lavoro. Ma Amelia era anche amante della moda e della cucina e ai suoi impegni più serrati e principali del giornale e delle conferenze amava partecipare anche ad incontri di cucina e di costume e proprio un episodio legato alla moda rese un importante servizio al suo giornale e alla sua popolarità.
Dalle pagine di Lily , Amelia prende le difese di Elisabeth Smith Miller, figlia del riformatore Smith, venuta a Seneca per trovare sua cugina Elisabeth Cady Stanton con un abbigliamento di ispirazione orientale: pantaloni alla turca con una gonna più corta sopra, abbigliamento condiviso dalla stessa Stanton e Bloomer, che trovandolo molto comodo lo adottò per ben otto anni. Questo abbigliamento tuttavia fu molto criticato e la polemica di “costume” che, riguardando le donne acquista subito anche valenza di fatto sociale appropriato o meno, viene ripresa dal più importante New York Tribune rendendo il nome e il giornale di Amelia noto al punto che  le sottoscrizioni a Lily moltiplicarono.

amelia Bloomer Costume
Raffigurazione del "Costume alla Bloomer"

In un primo momento Amelia fu lusingata e sfruttò lo scandalo-controversia, passata alla storia proprio come il “costume alla Bloomer” ma poi si rese presto conto che in realtà in questo modo si offuscavano temi più importanti trasferendo l’attenzione altrove rispetto a questioni fondamentali come il miglioramento dell’educazione per le donne, della maggiorazione dei salari delle donne, cioè si perdeva di vista la questione dei “Diritti delle Donne”.

Nel 1852 all’incontro delle Figlie della Tolleranza, a Rochester, dove lei fu segretaria insieme a Susan B. Anthony e presidente  Stanton, sollevò il tema del diritto della donna di divorziare da un marito alcolizzato “crediamo che gli insegnamenti dati alla moglie dell’alcolizzato, l’inculcarle il senso del dovere- [...]- ha fatto molto nel promuovere e aggravare i vizi e i crimini di una società che cresce nell’intemperanza. L’alcolismo è terreno per un divorzio e ogni donna che è strozzata da un ubriacone deve poter tagliare il laccio: e se lo fa, la legge dovrebbe sostenerla, specialmente se ha dei bambini”.[4]  

L’anno seguente partì, insieme ad altre rappresentanti femministe tra cui Susan B. Anthony, per un ciclo di conferenze nello Stato di New York che la portò in lungo e in largo, da Brooklyn a Sing Sing dal Broadway Tabernacle al Metropolitan Hall, nelle quali volle spronare le donne a prendere coscienza della loro situazione ritenendole corresponsabili delle privazioni sociali sofferte: “[...] la donna non è senza colpa in questa faccenda, mentre l’uomo tentava di costringerla all’obbedienza delle sue leggi, e rendeva la donna dipendente da lui e un eco dei suoi pensieri, mentre l’uomo peccava così enormemente usurpando questa grande prerogativa, la donna peccava altrettanto enormemente sottomettendosi a questo potere.[...]. La donna dimentica che Dio ci ha creati eguali, dimentica che il Padre Celeste non ha fatto l’uno per dominare l’altro. Dimentica che lei è altrettanto necessaria alla felicità di lui quanto lui alla felicità di lei. Sono stati creati per lavorare mano nella mano, per sopportare equamente il peso della vita [...][5]
per i diritti delle donne, suffragio femminile

Successivamente si trasferì in Ohio con il marito che aveva avuto un nuovo incarico ma continuò nel suo impegno editoriale, visto che nel frattempo il suo giornale, Lily, era diventato a tiratura nazionale ma questo comunque non le impedì tuttavia di doverlo vendere qualche anno più tardi ancora con il trasferimento della coppia in Iowa e ciò condannò il suo giornale a chiudere i battenti nel 1890.

Spese i suoi ultimi anni di vita costruendo chiese e impegnandosi in atti caritatevoli ma non perse mai di vista le donne e i loro diritti, soprattutto quello del suffragio anche in loro favore: “Un corrispondente mi chiede cosa noi ed altre avvocatesse dei diritti delle donne vogliamo? Noi rispondiamo che rivendichiamo tutti i diritti garantiti dalla Costituzione degli Stati Uniti ai cittadini della Repubblica. Noi reclamiamo l’essere l’altra metà del popolo degli Stati Uniti, e neghiamo il diritto dell’altra metà di svalutarci”. [6]

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Nel 1856 si indirizzò alla Camera dei rappresentati del Nebraska con un discorso dopo il quale fu proposta una legge per il suffragio femminile che passò alla Camera bassa e letta per tre volte al Senato ma poi, al momento sostanziale, la seduta fu rimandata sine die e la legge si arenò per poi essere dimenticata.

Nel 1870 diventa la Presidente della "Società per il Suffragio delle Donne dell’Iowa" dando il suo personale contributo al codice legale dell’Iowa del 1873 che “aboliva quasi interamente la separazione legale tra uomini e donne sposate in materia di diritti di proprietà[7]. Continuò quindi sempre ad essere una figura di riferimento e di rappresentanza per il suo stato, l' Iowa, come nel 1869 all’incontro dell’Associazione Americana per l’Uguaglianza dei diritti, a New York City, e  a scrivere articoli, seppur non più a tiratura nazionale ma sempre sostenendo e difendendo le sue idee e le  necessità delle donne.

Perduta, seppur per un breve periodo, la possibilità di parlare ma essedosi  ripresa nel 1891, tentò di prendersi un periodo di riposo e svago con un viaggio in Colorado dove, oltre agli amici e conoscenti, frequentò anche una casa di cura per sottoporsi ai più moderni trattamenti che prevedevano sedute di terapia elettrica. Da sempre di costituzione delicata non sopravvisse ad un attacco di cuore che si verificò al ritorno dal suo soggiorno in Colorado, e morì in Iowa il 30 Dicembre del 1894: 

La sua vocazione per il movimento per il suffragio femminile la rende una delle più eminenti donne americane del secolo. Il suo nome è diventato strettamente legato ad ogni movimento di riforma per il miglioramento e progresso della condizione femminile in questi ultimi cinquant’anni ". [8]


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[1] BLOOMER D. C. , “Life and writing of Amelia Bloomer”, Boston, Arena Publishing Company, 1895. Republished 1976 by Scholary Press. Inc., pag. 42.
[2] Ivi, pag. 27.
[3]Ivi, pag. 47.
[4] Ivi, pag. 87.
[5] Ivi, pag. 104.
[6] Ivi, pag. 158.
[7] JAMES T. Edward, JAMES WILSON Janet, BOYER S. Paul, “Notable American Women, 1607-1950: A Biographical Dictionary, vol. 1”,  Harvard University Press, 1971, pag. 181.
[8] BLOOMER D. C., “Life and writings...”, Op. Cit., pag. 324.


Traduzioni a cura di Silvia Palandri



Bibliografia:

BLOOMER D. C. , “Life and writing of Amelia Bloomer”, Boston, Arena Publishing Company, 1895. Republished 1976 by Scholary Press. Inc.


JAMES T. Edward, JAMES WILSON Janet, BOYER S. Paul, “Notable American Women, 1607-1950: A Biographical Dictionary, vol. 1”, Harvard University Press,                    .

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