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mercoledì 27 settembre 2017

Un film di una donna a settimana per un anno? #48







#48 We want sex



Sulla scia del tema che OG ha scelto per arrivare a concludere questa iniziativa di “Un film di una donna a settimana per un anno?” liberamente ispirata a #52FilmsbyWomen che appunto si concluderà tra qualche settimana, un film inglese di qualche anno fa che è stato prodotto dalla BBC e che ci introduce seppur con qualche finzione scenica, negli avvenimenti realmente accaduti in un paese dell'Essex nel 1968 quando un gruppo di quasi duecento operaie lottò per rivendicare i loro diritti.

Trama:
Nella cittadina di Dagenham ha sede una delle fabbriche americane delle automobili tra le più importanti, la Ford tuttavia le condizioni lavorative riservate alle operaie sono davvero critiche.
Le donne assunte nella fabbrica sono addette alla cucitura dei sedili automobilistici ma sono sottopagate, hanno orari massacranti che minano la loro stabilità fisica e familiare, né alcuna condizione di sicurezza, occupano infatti il vecchio capannone degli anni '20 vecchio ed obsoleto, dove fa caldo e ci piove dentro. Le operai decidono quindi di unirsi e protestare per reclamare i loro diritti e la loro condizione economica, infatti sono state paragonate ad operai non qualificati e come tali vengono retribuite.

Così si raggruppano sotto la guida di Rita O'Grady e attuano uno sciopero che sarà davvero in grado di mettere in serie difficoltà l'azienda, ottenendo visibilità tra l'opinione pubblica e il governo, coinvolgendo perfino la deputata Barbara Castle che supporterà la rivendicazione dei diritti lavorativi delle operaie per un' uguaglianza anche retributiva.

La loro lotta e determinazione sarà alla base della Legge che porterà alla parità di diritti lavorativi e salariali tra uomini e donne in Inghilterra.


Scelto perché:
La rivendicazione per un'adeguata remunerazione in favore delle donne a parità di mansione è davvero ancora molto attuale in tutto il mondo se pensiamo che negli Stati Uniti il Presidente Obama ha firmato una legge su questa materia solo nel 2009 o se ancora a Marzo di quest'anno il Censis stabiliva che le manager italiane guadagnano ben il 33% in meno rispetto ai manager.
Insomma se lo striscione originale delle operaie dell'Essex dichiarava: “We want Sex Equality!”, ovunque ancora c'è bisogno di sventolarlo!.




Titolo: We want sex
Titolo originale: Made in Dagenham
Nazionalità: UK
Durata:113 min.
Anno: 2010
Regia: Nigel Cole
Produzione: Laurie Borg, Elisabeth Karlsen, Stephen Woolly

Cast: Sally Hawkins, Miranda Richardson, Rosamunde Pinke




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lunedì 18 settembre 2017

Un film di una donna a settimana per un anno? #47






#47 Luisa Spagnoli 



Continuiamo per questa settimana ancora con il tema delle donne e del lavoro questa volta con una storia di successo al femminile, una grande imprenditrice italiana dello scorso secolo non sempre nota per i suoi successi che invece sono stati di importanza secolare visto che ancora oggi noi stess* possiamo godere delle sue intuizioni imprenditoriali.

La protagonista raccontata in questo film è infatti Luisa Spagnoli, inventrice sì della nota e ancora pregiata marca di abbigliamento femminile ma ancor prima di tanti prodotti dolciari tra cui il golosissimo Bacio e della Perugina stessa!.
Il Film è stato pensato per la tv e interpretato da Luisa Ranieri, uscito a puntate sulle reti nazionali nel 2016, é proposto in  2 dvd. E' liberamente ispirato al racconto della biografia che ne fece Maria Rita Parsi nel libro "Le Italiane" a cura di Annamaria Barbato Ricci, dal titolo appunto di "Luisa Spagnoli" pubblicato nel 2010 da Castelvecchio.


Trama:
Luisa vive a Perugia ed è sposata con Annibale un musicista con poca dimestichezza con il lavoro pratico mentre Luisa ha una grande creatività che alla fine decide di assecondare comprando una confetteria abbandonata a cui ridà vita grazie ai suoi esperimenti culinari e intraprendenza, lavora fino a notte fonda nonostante la cura dei tre figli. La sua buona volontà e i suoi sacrifici la mettono in luce in tutta Perugia e anche il signorotto della città, il Conte Sangiorgi le mette gli occhi addosso e cerca di condizionare le sorti della sua attività imprenditoriale per farla cedere al suo corteggiamento ma Luisa non cede.
Nonostante i pettegolezzi alimentati dal pregiudizio per il solo fatto che sia una donna a tirare avanti un'azienda e a mantenere la famiglia, riesce comunque grazie al suo talento dolciario ad avere un qualche successo ma Luisa stessa capisce che non basta e così per rispondere alle continue difficoltà anche date dalla diffidenza verso una donna 'manager', ha un'intuizione impegnativa ma che può aiutare sostanzialmente la sua impresa.
Propone infatti ai Buitoni, la nota azienda alimentare, una 'fusione' ...nasce la Perugina grazie a Francesco Buitoni che accetta la sfida, intuendone i benefici. Suo figlio Giovanni va quindi a Perugia per riassettare i conti dell'azienda e con la sua giovinezza ma perspicacia, lanciare i prodotti dolciari. Tra Luisa e Giovanni però, almeno inizialmente, non si crea un buon rapporto, i due caratteri molto forti e la determinazione di Giovanni indispettiscono Luisa mentre nel frattempo è scoppiata la Guerra e anche i suoi operai sono dovuti partire per il fronte, a corto di manodopera Luisa ha un'intuizione geniale, accoglie nella sua azienda le moglie, le sorelle degli operai garantendo così a se stessa continuità e alle famiglie un reddito. 
La presenza di operaie induce l'imprenditrice Spagnoli a voler creare un asilo aziendale, il primo mai pensato e creato, sostenendo che rendere migliori le condizioni di lavoro degli operai/e era essenziale per avere un rendimento migliore.
Luisa quindi difende le sue decisioni con Giuseppe e tra i due, costretti a lavorare tutto il giorno insieme, scoppia la passione che però non resta celata per troppo tempo. Di questo tenta di approfittarne il Conte Sangiorgi per far scoppiare uno scandalo e riprendersi la sua rivincita ma il marito di Luisa, Annibale, decide invece di fare un passo indietro senza darle nessuna colpa e rinunciando a lei, ritirandosi ad Assisi. Anche Francesco Buitoni però crede sia opportuno che i due si lascino ma Giuseppe invece lascia la famiglia e si trasferisce a Perugia, proprio nei locali della Perugina per stare con Luisa. L'azienda grazie alle idee di Luisa e l'appoggio e intraprendenza di Giuseppe intanto ha successo e si ingrandisce, Luisa inventa il cioccolatino più noto e mangiato ancora oggi: Il Bacio! Che diventa un po' l'emblema del marchio.

I prodotti dell'azienda dolciaria sbarcano anche oltreoceano e hanno un successo strepitoso ma le cose tra Luisa e Giuseppe si complicano, infatti Luisa, più grande di quattordici anni, si rende conto che Giuseppe ha bisogno di una compagna più giovane che possa dargli una vera famiglia con dei figli e lo lascia ma Giovanni non è della stessa opinione per risposta però decide di andare negli Stati Uniti per seguire gli affari dell'azienda.
Luisa a questo punto ha bisogno di un nuovo progetto e decide di assecondare la sua fantasia e progettualità aprendo una sartoria, che porterà il suo nome, essendo convinta che non ci sia ancora una moda adatta alle signore.
Inizia on poche lavoranti quando però si ammala improvvisamente e neanche l'arrivo di Giuseppe, accorso al suo capezzale, la potrà aiutare.


Scelto perché: La figura di Luisa Spagnoli, la sua forza creativa unita ad un'imprenditorialità straordinaria ha creato nell' 800 due aziende diverse ma altrettanto di successo grazie ad intuizioni geniali sia sul tipo di prodotti che per qualità e progettualità, e che hanno portato queste aziende ad essere a tutt'oggi ancora dei marchi di successo dopo secoli, eppure la sua figura non è così conosciuta né ricordata come invece dovrebbe al pari di altri grandi industriali italiani.



Titolo: Luisa Spagnoli
Nazionalità: ITA
Durata: 200 min.
Anno: 2016 
Regia: Lodovico Gasparini
Sceneggiatura: Franco Bernini, Gloria Malatesta
Produzione: Federica Rossi, Matteo Martari


mercoledì 13 settembre 2017

Un film di una donna a settimana per un anno? #46





#46 Mi piace lavorare (Mobbing)



La scorsa settimana abbiamo affrontato per la rubrica “Un film di una donna a settimana per un anno?” il tema delle donne e del lavoro da un punto di vista della commedia, questa settimana continuiamo a parlare del lavoro e delle donne ma in chiave più realistica e drammatica con un film di Francesca Comencini, interpretato da Nicoletta Braschi che ha vinto al Festival di Berlino del 2003 la sezione Panorama.

Trama: Anna è una mamma divorziata divisa tra lavoro, suo padre e sua figlia ma massimizzando il suo tempo e le sue energie ha saputo creare un buon equilibrio tra gli impegni lavorativi e personali, ottenendo gratificazioni perfino sul lavoro nella sua azienda dove è capocontabile.
Un giorno però la sua azienda annuncia una fusione con una multinazionale che non prevede in realtà, almeno a parole, un ricollocamento del personale che quindi è solo felice per la joint venture.

In verità per Anna comincerà una discesa professionale che la farà ammalare. Dal nuovo pc rotto, che nessuno le aggiusterà mai, alla ricerca di una fattura in archivio , precedentemente sottratta proprio dal capo, dal controllo della fotocopiatrice alla sincronizzazione temporale dei magazzinieri fino alla richiesta espressa dell'azienda di dimissione “volontarie” per aver deluso le aspettative aziendali tanto più che così da mamma single può avere più tempo per sua figlia.
Anna cade quindi in depressione da cui uscirà proprio grazie all'affetto di sua figlia che la spingerà a fare causa e a vincerla.


Scelto perché: Questo film è un'altra chiave di lettura della condizione femminile nel mondo del lavoro che ci presenta una realtà cruda in cui le donne protagoniste della scena lavorativa fuori casa, spesso sono doppiamente coinvolte come ci dimostra una recente ricerca del Censis per cui non solo a parità di mansione lavorativa una donna guadagna di meno di un collega ma un uomo passa un terzo del tempo di quello che passa una donna per fare le faccende domestiche e su cui spesso grava anche il così detto 'lavoro di cura', cioè il prendersi cura di un familiare malato o anziano.


Titolo: Mi piace lavorare (Mobbing)
Nazionalità: ITA
Durata: 89 min.
Anno: 2003
Regia: Francesca Comenicini
Soggetto: Francesca Comencini, Assunta Cestaro, Daniele Ranieri
Scenografia: Paola Comencini
Cast: Nicoletta Braschi, Camille Dugay Comencini, Impero Bartoli.




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sabato 9 settembre 2017

Un film di una donna a settimana per un anno? #45



#45 Baby Boom




Ormai periodo di vacanze terminato, le scuole riaprono e il lavoro riprende e allora riprendiamo alla grande con questo film che OG vi suggerisce per questa settimana, la prima di settembre.


Questo film parla infatti delle donne e il lavoro, una commedia piacevole ma che tratta delle difficoltà per una donna di coniugare carriera e prole; del 1987 e candidato a due Golden Globe tra cui miglior attrice protagonista vede Diane Keaton donna in carriera ormai lanciata verso il successo quando...

Trama:

J.C. Wiatt è una donna in carriera con il suo bell'ufficio con tanto di segretaria personale nelle sfavillanti Torri Gemelle, sempre pronta a lottare per mantenere il suo posto di comando ai vertici dagli attacchi dei colleghi quando un giorno riceve una telefonata con cui le prospettano un'eredità di un lontanissimo cugino inglese.
J.C. é raggiante e felice di questo inaspettato colpo di fortuna e pensa di accettare senz'altro credendo ad un'enorme somma di denaro quando si reca in aeroporto per ritirare i documenti dell'eredità scopre che questa è una bimba di pochi mesi, Elisabeth! Sconvolta da questa novità che a sua volta le scombussolerà l'esistenza fatta di riunioni e orari notturni a lavorare decide di non tenere la bambina e di darla in adozione ma si accorge di non volerla lasciare e cerca allora di organizzare la sua vita privata e professionale intorno alla bambina.
Questa sua decisione però non viene accettata dal suo compagno storico che la lascia per un'esistenza più tranquilla e meno impegnativa e anche sul lavoro non sono più contenti della disponibilità condizionata di J.C. così perde anche il lavoro.
Credits:
By Source, Fair use,
https://en.wikipedia.org/w/
index.php?curid=12433298
Perso tutto, J.C. non si scoraggia e seppur demoralizzata decide di cambiare completamente vita e vende tutto, lascia la grande città e decide di traslocare in Vermont con la bambina, lì compra una fattoria e quando vede che Elisabeth è ghiotta degli omogenizzati fatti con i frutti del loro frutteto, le sue capacità manageriali verranno fuori e dal nulla J.C. realizzerà una nuova linea per bambini/e.


Superate le iniziali difficoltà per entrare nel mercato a cui risponderà di volta in volta modificando il suo piano aziendale, riuscirà ad affermarsi al punto tale che la sua vecchia azienda le propone l'acquisizione per 3 milioni di dollari...J.C. quindi rientra nella sua vecchia azienda ma questa volta direttamente nella Sala delle Grandi Riunioni come cliente e, nonostante l'allettante proposta, rifiuta. Presasi questa grande rivincita decide infatti di tornare in Vermont dove ha trovato anche il suo grande amore, il dottore del villaggio, e con tante altre buone idee in testa...

Scelto perché:
Questo film affronta in chiave di commedia quelle situazioni che le donne si trovano a dover fronteggiare sul lavoro soprattutto poi quando è presente un'esigenza legata alle/i bambine/i ma anche di come esse stesse possono essere la soluzione. Le donne stesse infatti hanno la forza e le capacità di riprendere in mano le situazioni più difficili e, pur non senza difficoltà, risollevarle anche a loro vantaggio grazie alla loro intelligenza senza paura di ricominciare da capo.


Titolo: Baby Boom
Nazionalità: USA
Durata: 103 min.
Anno: 1987
Regia: Charles Shyer
Sceneggiatura: Nancy Meyers, Charles Shyer
Produzione: Nancy Meyers
Cast: Diane Keaton, Sem Sheppard, Harold Raims.





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giovedì 3 marzo 2016

Camicette bianche Oltre l'8 marzo- Ester Rizzo







Camicette bianche. Oltre l'8 marzo' è il libro di Ester Rizzo sulla tragedia dell’incendio che interessò nel 1911 la fabbrica ‘Triangle Waist Company’, una fabbrica tessile al decimo piano di un edificio che si trovava, e si trova, a Manhattan . In questo incendio morirono 146 operaie che quel pomeriggio, era un sabato alle 16.00, si trovavano al turno di lavoro e tra di loro 38 italiane.

Questa fabbrica produceva camicette…bianche molto alla page all’epoca ed emblema di riscatto femminile perché indossate anche da quelle donne che si emancipavano e andavano a lavorare seppur sempre in condizioni precarie sia da un punto di vista di sicurezza sia di condizioni di produzione. I tavoli da lavoro erano infatti studiati in modo da non far parlare tra loro le operaie e incrementare la produzione che prevedeva una consegna giornaliera di 1000 pezzi e alla sola luce di lampade a gas.
In questa atmosfera dei primi del ‘900 Ester Rizzo riesce a rievocare la storia e la vita di queste operaie italiane, donne di cui la memoria aveva perso l’identità, la storia, la voce, seguendone le tracce, in una ricerca storica durata anni, al di qua e al di là dell'oceano, ridando loro un volto, un’identità, un’origine…una voce che giunge ora anche ai nostri giorni.

L’esperienza, la vita vissuta di queste giovani donne, alcune erano si e no adolescenti, costrette  a viaggiare accompagnate, chi dalla madre chi da un improvvisato sposo, su navi riadattate, stracolme di passeggeri che sognavano un futuro migliore per loro, la loro famiglia, le loro radici, la loro esperienza che viene alla luce ora grazie a questo libro in realtà ci dice che il passato è ancora attuale, il passato è ancora purtroppo presente  fatto di viaggi della speranza, di folle di immigrati su barche di fortuna, di migliaia di morti e di altrettanti lavoratori sfruttati. Il libro ci dona una chiara prospettiva di come allora l’immigrato, italiano, veniva visto e gestito  fin dall’arrivo e poi sul lavoro, spesso umile e poco retribuito; realtà che per le donne erano ancora più umilianti.

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Camicette bianche Ester Rizzo
Ma, se dopo cento anni la situazione non è cambiata per gli immigrati, se non per la rotta e l’approdo, la morte di queste giovani donne non è stata vana perché la loro fine segnò uno spartiacque per altre donne che avendo vissuto la tragedia, seppur indirettamente, decidono di impegnarsi attivamente in prima persona e in gruppo per migliorare le condizioni di lavoro delle donne come la "brigata del visone" o come Frances Perkins, testimone indiretta dell’incendio che vide le operaie incastrate al piano più alto gettarsi giù dalle finestre per non morire arse vive,  e che divenne la prima donna ad essere Segretaria del Lavoro sotto il Presidente Roosvelt e Truman e a cui si devono le leggi in tema di sicurezza sul lavoro che furono adottate negli anni successivi.


Ester Rizzo ci accompagna in un viaggio terribile ma emozionante che ridà vita a molte di queste italiane coraggiose che chiedevano di essere ritrovate; un libro che apre una nuova realtà sulla storia delle donne che colma un silenzio su un evento dimenticato, un’opera attuale che apre spunti di riflessione per il passato ma anche per il presente.

Un ricordo che va però coltivato, custodito affinchè non sparisca, da qui l’iniziativa collegata al libro: tramite una Petizione, far dedicare a queste donne coraggiose che avevano voluto un riscatto sociale prima lasciando il proprio paese e poi conoscendo la fatica di un lavoro, le strade, le vie, le piazze in quei  paesi d’origine che avevano voluto/dovuto lasciare. Il progetto infatti fa parte delle iniziative dell’AssociazioneToponomastica Femminile che vuole restituire all’identità femminile il giusto spazio, cominciando dal dedicare alle donne i luoghi pubblici, segno tangibile della loro presenza e contributo nella società.

Un nuovo pezzo di storia quindi che viene alla luce e che merita di rimanerci al chiarore di un lampione, ai raggi di un sole che riscalda i passanti o colora le voci di bambini che giocano in piazza, una piazza intitolata ad una di quelle donne a cui sarà così dato un luogo della memoria. 

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"Camicette bianche Ester Rizzo" di Ester Rizzo, Navarra editore, 2014, pagg. 128.













venerdì 11 aprile 2014

La Contessa che amava "tramare"

Almanacco del 10 Aprile:

del filet e merletto
Ritratto della Contessa Gabriella Rasponi Bonanzi Spalletti Trivelli



Siamo in Toscana a fine Ottocento, nella campagna remota nella provincia tra Prato e Pistoia, una provincia ancora oggi famosa per l’artigianato, famosa in tutto il mondo per l’industria dei mobili e la complementare biancheria per la casa. Ma questa indelebile e duratura notorietà, indiscussa, che è arrivata fino ai nostri giorni e fino agli angoli remoti del resto del mondo, non si sa così spesso ma è merito di una donna.

Gabriella Rasponi nasce a Ravenna  il 10 Aprile 1853 da Cesare Rasponi Bonanzi, vice console in Francia, deputato nei governi Lanza e De Pretis e in seguito senatore del Regno d’Italia e da Letizia Rasponi Marat. Era quindi nipote di Gioacchino Marat e Carolina Bonaparte, sorella di Napoleone.

Si sposa giovanissima, non ancora diciottenne, con il Conte Venceslao Spalletti Trivelli da cui avrà due figlie e un figlio e di cui rimarrà vedeva nel 1899.

Durante una villeggiatura presso le ville di famiglia a Quarrata, rimane colpita dall’indigenza della popolazione al punto tale da prendere una decisione che caratterizzerà la sua futura esistenza ma anche quella di numerose famiglie e addirittura di tutta una provincia, e per secoli.
Ricamo sfilato, su tela, di tradizione pistoiese
praticata dalle donne di Quarrata
Destina infatti la sua villa di Quarrata, a Lucciano, a scuola di ricamo e filet , senz’altro per valorizzare quest’arte ma soprattutto per valorizzare il lavoro femminile da una parte, e dare, dall’altra, una speranza concreta di un miglioramento delle condizioni sociali. Chiamò inizialmente a lavorare cinque artigiane a cui garantì uno stipendio e soprattutto anche i contributi previdenziali. Ben presto l’iniziativa si diffuse fino a toccare una quota superiore alle cinquecento lavoranti agli inizi del '900. L’attività si era ingrandita a tal punto che la scuola strinse una collaborazione con l’impresa Navone di Firenze che riuscì a far arrivare ad una clientela più vasta l’artigianalità di alta qualità dei manufatti ricamati e dei filati.

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Nacque così quel prestigio che noi tutti conosciamo e apprezziamo e che coinvolge estimatori anche internazionali. Difatti questi lavorati vennero venduti perfino negli Stati Uniti e vennero premiati proprio all’Esposizione Universale del 1904 a St. Louis, consolidando la stima estera verso questi manufatti.

La Contessa Gabriella era riuscita a valorizzare una tradizione femminile portandola ai massimi livelli, portando soprattutto il rispetto del lavoro, garantito da contributi previdenziali e  salariali, alle lavoratrici come all’epoca non era possibile pensare.

Forte della sua esperienza che le aveva dimostrato la fattibilità delle sue idee che nulla erano se non quelle che ancora oggi, purtroppo, dovrebbero essere attuate: equità salariale, contributi previdenziali e sicurezza sul lavoro, era fortemente convinta della necessità di essere unite e così ispirandosi all’esempio di altri club internazionali, soprattutto dell’International Women Council, creò il Consiglio Nazionale Donne Italiane, CNDI, nel 1903 di cui divenne presidente fino alla sua morte. Il Consiglio era d’ispirazione laica e in favore della rivendicazione e affermazione dei diritti del lavoro della donna: parità giuridica, sociale, familiare e lavorativa.
Cercò con il Consiglio di portare quella giustizia sociale che così scarsamente interessava il lavoro femminile e che aveva attuato con successo a Quarrata.
Durante il terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908 , attraverso il Consiglio, CNDI, organizza il Comitato a Sostegno delle vittime che venne riconosciuto direttamente dalla Regina Elena che faceva così di lei, con regio decreto, la prima donna investita dell’incarico di protettrice dei minori.
Nello steso anno organizza a Roma il I Congresso Nazionale delle Donne Italiane.
La Contessa Gabriella Spalletti Trivelli nei primi del '900.
Tramite il Consiglio Nazionale Donne Italiane, in qualità di presidente, attua delle iniziative rivoluzionarie, in favore delle donne e dei minori, istituendo tra le altre cose, biblioteche itineranti per le maestre, segretariati per la tutela delle donne e dei fanciulli emigranti, casse maternità, assistenza scolastica e un servizio domiciliare di ostetriche.

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Il Consiglio Nazionale, CNDI, riusciva a garantire una certa capillarità nella sua azione poiché organizzato a livello locale anche se nel 1910 elementi cattolici lasciarono il Consiglio  Nazionale Donne Italiane per formare l’Unione Donne Cattoliche.

L’impegno della Contessa tuttavia era importante anche nella Capitale dove, con la nomina del marito a Senatore, si era trasferita con la famiglia. Qui i Conti acquistarono un terreno vicino al Quirinale per edificare la loro dimora, la Villa Spalletti Trivelli che diventerà ogni giovedì sera uno dei più illustri ed ambiti salotti intellettuali e culturali che vedranno tra gli altri personaggi anche politici come Minghetti, Sidney Sonnino o letterati quali il premio nobel Tagore.

La Contessa Gabriella Bonanzi Spalletti Trivelli si spegnerà a Roma, nel 1930, il 30 Settembre . Le sue, seppur ormai attempate, prime lavoranti le vollero dedicare la creazione di una fontana in pietra che  posero sulla piazza antistante la Chiesa di San Lucciano.

Dopo la sua scomparsa la sua azione non cesserà tanto che ancora è viva e attuale la fama internazionale dei filet di questa zona della Toscana che solo oggi per le critiche condizioni dell’economia mondiale, vive un periodo di crisi che ci auguriamo si risolva e possa risollevare una delle eccellenze italiane che tutti ammirano e cercano nel mondo, chissà se toccherà riuscire a farlo ad un’altra eccellente donna.
Quello che si sa, ed è certo, è che l’opera della Contessa Gabriella Spalletti Trivulzio continua nel suo impegno ed esempio vivo: la scuola da lei creata, che porta il suo nome “Scuola di Modano e ricamo Contessa Gabriella Spalletti, Lucciano, Quarrata”, è ancora attiva nell'iniziativa della Scuola Media Statale di Quarrata che organizza un laboratorio di filet e merletto, così come é attivo il   Consiglio Nazionale Donne Italiane con le sue iniziative.


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venerdì 20 settembre 2013

Hedwig Dohm- La prima femminista tedesca



Hedwig Dohm fu una delle prime rappresentanti del pensiero femminista tedesco. Rivendicò sia la parità di Istruzione che di formazione per le donne e per le ragazze. Era convinta che non era necessario per una donna finire nella gabbia delle aspettative sociali per quanto allettanti e l’unico elemento che garantiva la parità di ruoli tra uomo e donna era l’indipendenza economica che la donna  doveva conquistare.
Su queste tematiche tra il 1872 e il 1879 scrive ben quattro saggi femministi talmente radicali e rivoluzionari da farle valere una fama immediata ma anche le più feroci critiche anche da parte delle sue connazionali. 

 Come ancora fossimo nel pieno della "querelle des femmes" Dhom  in queste opere oltre a rivendicare pari istruzione, formazione e condizione economica tra uomini e donne, reclama nell’opera “L'emancipazione scientifica delle donne” del 1874 anche pari dignità “umana” per le donne criticando e svilendo le teorie “medico-scientifiche” dell'epoca sulla naturale inferiorità della donna.
Le sue rivendicazioni negli anni si concentrarono oltre che sui diritti sociali anche su quelli politici, fu tra le prime che, nel 1873, chiese il diritto di voto per le donne in Germania, fondando e partecipando a numerose associazioni, anche di stampo radicale, per la rivendicazione del suffragio femminile.
Fu membro, nel 1888, del Comitato dell'Associazione Donne della Riforma con Hedwig Kettler (successivamente Associazione dell'Educazione Femminile e degli Studi delle Donne), che promosse campagne per la riforma del sistema educativo in generale e degli studi delle donne in particolare. Intorno agli stessi anni, con il rafforzamento dell’ala radicale del movimento femminista, riprese a scrivere opere ed articoli sulla necessità delle donne di avere il diritto al voto, si unì alla Società del Bene Femminile della radicale Minna Cauers nel 1889 e all'età di 74 anni prese parte quale membro alla riunione inaugurale dell'Associazione per la maternità e la riforma sessuale di Helene Stöckers. 
Ristampò quindi articoli e opere degli anni passati sul tema del suffragio femminile è infatti del 1876 la ristampa di alcuni saggi socio-politici di alcuni anni prima (1870) sotto il titolo generale de “La natura delle donne e del diritto. La questione femminile. Due trattati di proprietà e il suffragio femminile”. Riprende con vigore la sua azione come attivista per i diritti femminili e scriverà più di 100 articoli l’ultimo risale a pochi giorni prima della sua morte, diventando nei primi anni del ‘900 una figura di primo piano nelle associazioni e nella vita sociale e culturale tedesca.
Nel 1904 nasce la Fondazione della DVF - Associazione tedesca per il suffragio femminile di cui Hedwig Dohm è Presidente onoraria e che si batte, tra le altre cose, per il diritto al congedo di maternità.

Muore a 88 anni ed è sepolta nel cimitero di San Matteo, nella fossa comune insieme al marito, a Berlino la città che il 20 Settembre 1831 le diede i natali.



Nacque da una famiglia di origini ebraiche, il padre, produttore di tabacco, Gustav Adolph Gotthold Schlesinger non poté però sposare la madre di Hedwig, Wilhelmine Henriette Jülich, in quanto figlia illegittima. Il padre di Gustav infatti rimase talmente scandalizzato da non dare il permesso per le nozze, di fatto impedendole fino alla sua morte nel 1838.
Il padre di Hedwig, Gustav, si convertì al protestantesimo nel 1817 e nel 1851 mutò il proprio cognome in Schleh.

Marianne Adelaide Hedwig Dohm, nata Schlesinger fu terza di diciotto figli, come i primi rimase illegittima fino al matrimonio dei genitori portando per i primi anni il cognome della madre Jülich. Non ebbe un’istruzione completa e fu autodidatta per alcune materie come lo spagnolo che apprese durante un viaggio della famiglia nel paese iberico e dopo il quale scrisse, da autodidatta, il suo primo libro "La letteratura nazionale spagnola nel suo sviluppo storico" del 1867 e nel quale conobbe quello che divenne poi suo marito, Ernst Dohm.
Ebbero cinque figli e la loro casa divenne un prestigioso salotto che vide i più importanti personaggi intellettuali berlinesi dell’epoca da Franz Liszt a Theodor Fontane, da Ferdinand Lassalle alla contessa Hatzfeld.
Sarà la nonna della moglie di Thomas Mann, Katharina "Katia" Pringsheim nonchè del musicista Klaus Pringsheim, i figli della sua primogenita Anna Gertrud Edvige.

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale sarà tra i pochi  e poche intellettuali che prenderà una posizione netta contro la guerra e si definirà una pacifista intransigente supportando la sua posizione con articoli che scriverà per lo più sulla rivista pacifista L’Azione e nel suo il saggio L'abuso della Morte del 1915.
Visse abbastanza per vedere riconosciuto il diritto di voto alle donne in Germania nel 1918, morì infatti nell'estate dell’anno seguente, nel 1919.

Nel 2007 la Federazione dei Giornalisti le ha dedicato un memoriale.


In Italia la sua opera è stata tradotta e divulgata da una delle più grandi studiose germaniste Maria Teresa Morreale. 



Qui puoi leggere il post su
Maria Teresa Morreale 

Bibliografia:

Opere socio- politiche:
Che i pastori pensano delle donne 1872
Gesuitismo nelle case professionali 1873
L'emancipazione scientifica delle donne 1874
La natura delle donne e del diritto. La questione femminile. Due trattati di proprietà e il suffragio femminile 1876
Gli anti-femministe. Un libro di difesa 1902
Le madri. Un contributo alla domanda di istruzione 1903
L’abuso della Morte 1915

Prose:
• "Diventa chi sei!" Come sono le donne. Due novelle, 1894
Sibilla Dalmar 1896
Il destino di un'anima 1899
Christa Ruland, 1902





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mercoledì 5 maggio 2010

Anna Maria Mozzoni

Almanacco del 5 maggio 2010:






Anna Maria Mozzoni nasce a Rescaldina, il 5 maggio 1837, da una famiglia alto- borghese di Milano.
Di temperamento fuori dal comune rispetto al quadro femminile italiano, ricorda più l’attivismo e l’entusiasmo inglese sarà che tra i suoi ispiratori intellettuali ritroviamo J. Stuart Mill, di cui tradurrà nel 1870 “Subjection of Women” e a cui si ispirerà per basare la sua attività in favore delle donne sull’iniziativa delle donne stesse, organizzate così da renderle un soggetto al pari livello degli altri attori sociali capaci di relazionarsi con le istituzioni.
Così nel 1878 fonda la 'Lega promotrice degli interessi femminili' mentre l’anno prima era stata la rappresentante italiana a Parigi al Congresso internazionale per i diritti delle donne.
Definita la più grande femminista dell’Ottocento è la prima figura di donna che presenta in effetti un’azione ed un pensiero che si ritrovano concretizzati in modo pianificato e coerente.
Fulcro dell’azione politica di Mozzoni sarà il riconoscimento del voto alle donne, quale massima espressione di riconoscimento giuridico e base dell’emancipazione femminile. Presentò quindi al Parlamento già nel 1877 una prima mozione che non ebbe gran successo ma che ispirò a sua volta il deputato Salvatore Morelli, grande sostenitore della causa femminista (
Almanacco del 22 ottobre ).
Anna Maria Mozzoni riprovò allora con una mozione questa volta firmata da ben venti donne tra cui Maria Montessori e Teresa Labriola senza però, anche questa volta, riuscire nei suoi sforzi, la riforma elettorale del 1912, infatti, oltre a non includere le donne al voto le escludeva esplicitamente.
Solo nel 1919 il Parlamento approvò il voto alle donne con una votazione segreta ma ne rimandava l’applicazione alle elezioni future e non a quelle che di lì a poco si sarebbero tenute ma l’avvento del fascismo non rese possibile tale auspicio.

Anna Maria Mozzoni poté tuttavia vedere realizzato almeno formalmente questo diritto basilare che, insieme all’educazione femminile e al miglioramento delle condizioni lavorative delle donne, era ritenuto alla base dell’emancipazione femminile.

Altro nodo essenziale, infatti, per il miglioramento della condizione femminile erano le condizioni lavorative in cui versavano le donne; Anna Maria Mozzoni si dimostrò ancora una volta una fine osservatrice sociale accorgendosi che l’evoluzione industriale aveva un enorme peso sulle pessime condizioni lavorative specchio della più ampia e scarsa considerazione sociale della donna.
Anna Maria Mozzoni infatti riteneva che l’emancipazione femminile non dovesse essere subordinata a nessun’altra causa principale né avvenire per effetto della risoluzione di altre “primarie” cause, come invece riteneva il Partito Socialista a cui nei primi del ‘900 si era avvicinata.
Ne scaturì una dura presa di posizioni tra Mozzoni e Kuliscioff; Mozzoni infatti nell’articolo “
Legislazione a difesa delle donne lavoratrici. “Dagli amici mi guardi Iddio!” del 1898 sull’Avanti, sosteneva che la politica socialista sul lavoro femminile riproponesse esclusivamente i ruoli sociali contenitivi in uso nella società, infatti la legge non poteva, secondo Mozzoni, limitare il lavoro delle donne ma erano le donne stesse a doversi conquistare i loro diritti al pari dei lavoratori, partendo però dallo stesso piano mentre la proposta socialista era quella di evitare alle donne i turni notturni, gli straordinari... Kuliscioff a sua volta la accusò nel suo “In nome della libertà delle donne. “Laissez faire, laissez aller” di fare il gioco dei padroni, ritenendo opportuno la regolamentazione del lavoro femminile per evitarne lo sfruttamento.
La frattura con il partito socialista la confinerà in un isolamento dalla scena politica che la riguarderà fino alla sua morte avvenuta a Roma nel giugno del 1920.
Anna Maria Mozzoni rimane la femminista più importante dell’800, fonte di ispirazione oggi come allora: partecipa ed ispira la rivista “La Donna” nel 1868, che si occupava dei problemi lavorativi delle operaie, delle maestre e delle impiegate; diresse la “Roma del Popolo” di ispirazione mazziniana, collaborò con Turati alla sua “Critica Sociale” e con lo stesso Turati e Lazzari fondò la 'Lega socialista milanese' nel 1889.
Scrisse anche opere di tema sociale, come: “
La donna e i suoi rapporti sociali" del 1864, "La donna in faccia al progetto del nuovo codice civile italiano" del 1865.


Bibliografia:
Murari Stefania, “L'idea più avanzata del secolo. Anna Maria Mozzoni e il femminismo italiano”, Aracne, 2008.
Nicolaci Elisabetta, “
Il «coraggio del vostro diritto». Emancipazione e democrazia in Anna Maria Mozzoni”, Centro Editoriale Toscano, 2004.




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