Almanacco del 27 Febbraio:
Bertha Pappenheim, 1882. |
Bertha
Pappenheim nasce a Vienna il 27 Febbraio 1859
da Sigmund e Recha, membri di una famiglia benestante ebrea.
La
sua infanzia è contraddistinta dalla diversità con cui i genitori trattano lei, e le sue altre due sorelle maggiori,
dal fratello Wilhelm, da come si occupano e preoccupano di lui, il solo a cui
sarà riservata un’educazione formale.
Ma
Bertha in realtà, forse, e più dotata di una brillante intelligenza che però
non può esprimersi. Quando il padre si ammala gravemente è chiamata ad assisterlo
perpetuamente al capezzale, come si richiedeva alle figlie femmine a cui,
soprattutto nella cultura ebraica dell’epoca, non si riconoscevano altri ruoli.
Questa esperienza sarà molto dura e la segnerà per gran parte della sua vita,
comincerà infatti a soffrire di allucinazioni e verrà portata a farsi curare da
uno dei maggiori specialisti dell’epoca, il
Dott. Breur.
La
sua esperienza come paziente della neofita psicoanalisi la consacrerà alla
storia di quest’ultima come Anna O., di cui si occuperà anche Freud.
Con
lei i due psicologi iniziarono quella che diventerà la moderna analisi, quella
per noi “classica”, del parlare sdraiati su di un lettino.
Ritratto giovanile di Bertha Pappenheim a Vienna, 1880. |
Bertha,
come detto, non ebbe un’istruzione che le permetteva, così come alle altre
donne, di arrivare ai massimi livelli ma pretese di studiare, arrivando a
conoscere con molta padronanza l’inglese, il
francese, e anche
l’italiano.
E la conoscenza di queste lingue sarà anche il suo tramite di espressione, quando, ormai guarita, volle tradurre dall’ebraico al tedesco testi rivolti alle donne: “La Bibbia delle donne” e testi e racconti dal Talmud[1].
E la conoscenza di queste lingue sarà anche il suo tramite di espressione, quando, ormai guarita, volle tradurre dall’ebraico al tedesco testi rivolti alle donne: “La Bibbia delle donne” e testi e racconti dal Talmud[1].
I
suoi disturbi riguardavano anche il linguaggio spesso infatti non riusciva a
parlare, altre volte si esprimeva in modo disconnesso, e in situazioni particolari
sostituiva il suo idioma originale con la lingua inglese, inventando addirittura
nuove parole. Dopo la terapia, in cui veniva ipnotizzata e in cui Breur in
questo modo cercava di far emergere i motivi del suo disagio, che la portavano
ad avere questi numerosi e debilitanti sintomi, Bertha riuscì a guarire,
diventando la prova dell’efficacia della nuova metodica della psicanalisi, il
metodo catartico.
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Di
lei il Dott. Breur scriveva: “Questa giovane, dalla esuberante vitalità intellettuale,
conduceva, nella sua famiglia, di mentalità puritana, un’esistenza estremamente
monotona […]” [2].
Quindi
Bertha rifiutava la sua condizione di donna, relegata in casa in attesa del
“buon partito” da sposare, rifiutava la sua cultura e di conseguenza l’idioma
che ne rappresentava l’identità.
Dopo
aver superato il malessere della sua condizione, dopo la morte del padre, si
trasferisce con la madre, le due sorelle erano già morte in età infantile, a
Francoforte sul Meno, città originaria della mamma.
Qui
trova nell’attività sociale la sua catarsi, iniziando un percorso che la
renderà paladina dei diritti delle donne, ebree, tedesche e non, dei bambini e
dei più poveri. Così con lo pseudonimo di Paul Berthold scrive una serie di
racconti sulla condizione sociale dei bambini più poveri, intitolati “Nel negozio di seconda mano”, edito nel
1890.
La
sua sensibilità verso la condizione delle parti sociali più deboli, nonché la
sua personale esperienza di figlia, la avvicinarono alle tematiche delle prime
femministe tedesche e la portarono a scrivere “I diritti delle donne” nel 1898 nonché a tradurre in lingua
tedesca la più famosa “Rivendicazione
dei diritti della donna” di Mary Wollstonecraft.
Comitato direttivo della Lega delle donne ebree, Bertha è la seconda seduta da sinistra, 1905. |
Viaggiando
per il paese si rende conto concretamente della condizione di povertà e di sfruttamento
a cui sono soggette le donne e nel 1900 scrive “Sullo stato della popolazione ebraica in Galizia” per denunciare lo
stato di indigenza della popolazione, decide anche di creare una Società per l’
assistenza della donna nel 1902 con scopi filantropici di educazione delle
donne nella cura dei figli e di procacciamento di un lavoro serio, contro lo
sfruttamento della prostituzione.
Nel 1904 fonda la Lega delle donne ebree per emancipare la presenza e l’importanza del ruolo femminile nella cultura della sua fede, e a carico di questo istituto rimarrà per ben 20 anni, riuscendo a far ammettere le donne di fede all’ente supremo della fede ebraica il Gemeinde. Nel 1912 in un congresso tenutosi a Roma dalle rappresentanti delle organizzazioni delle donne ebree degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Germania, dopo aver ritenuto necessario la creazione di un’organizzaione mondiale delle donne ebree, fu votato e creato il Concilio Internazionale delle donne ebree con a capo Bertha Pappenheim come sua prima presidente.
Della Lega delle donne ebree scriverà: “Abbiamo cercato nella Federazione ebraica femminile di sottolineare la decadenza della nostra comunità e allo stesso tempo di sottolineare però più e più volte anche la via principale da rispettare”.[3]
Nel 1904 fonda la Lega delle donne ebree per emancipare la presenza e l’importanza del ruolo femminile nella cultura della sua fede, e a carico di questo istituto rimarrà per ben 20 anni, riuscendo a far ammettere le donne di fede all’ente supremo della fede ebraica il Gemeinde. Nel 1912 in un congresso tenutosi a Roma dalle rappresentanti delle organizzazioni delle donne ebree degli Stati Uniti, dell’Inghilterra e della Germania, dopo aver ritenuto necessario la creazione di un’organizzaione mondiale delle donne ebree, fu votato e creato il Concilio Internazionale delle donne ebree con a capo Bertha Pappenheim come sua prima presidente.
Della Lega delle donne ebree scriverà: “Abbiamo cercato nella Federazione ebraica femminile di sottolineare la decadenza della nostra comunità e allo stesso tempo di sottolineare però più e più volte anche la via principale da rispettare”.[3]
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Si
rese conto che la povertà era la causa di miseria e di conseguenza sfruttamento
del corpo femminile che si estendeva ben oltre i confini territoriali, con la
famosa tratta delle bianche.
A nome della Lega, Bertha viaggerà in Europa, nei Balcani, in Russia, in Egitto, in Turchia, per cercare di sensibilizzare quella che oggi chiameremo opinione pubblica e molto di più appellandosi e incontrando sovrani a cui sottoporre la realtà degenerata della società. Come in Romania dove si appellerà direttamente alla Regina, nel 1909, prospettandole la condizione del suo popolo, delle donne e la loro schiavitù alla tratta: “ […] dal momento che sappiamo che vi è una schiavitù “bianca”, è dovere e compito delle donne di tutte le classi, consacrare tutte le nazioni e tutte le fedi, per combattere con tutte le forze, la tratta delle donne […]”[4] , e ancora appellandosi alla sovrana, amplia la sua visione partendo dalla similitudine delle condizioni cristiane e di quelle ebree, arrivando a parlare di un’unica umanità, quale siamo, da salvare: “ […] anche se come organizzazione di un gruppo relativamente piccolo, parliamo anche per le donne e ragazze rumene. Il destino della rumena cristiana che è costretta al vizio, è lo stesso di quella rumena ebrea, la distruzione mentale e morale dell’individuo”[5].
A nome della Lega, Bertha viaggerà in Europa, nei Balcani, in Russia, in Egitto, in Turchia, per cercare di sensibilizzare quella che oggi chiameremo opinione pubblica e molto di più appellandosi e incontrando sovrani a cui sottoporre la realtà degenerata della società. Come in Romania dove si appellerà direttamente alla Regina, nel 1909, prospettandole la condizione del suo popolo, delle donne e la loro schiavitù alla tratta: “ […] dal momento che sappiamo che vi è una schiavitù “bianca”, è dovere e compito delle donne di tutte le classi, consacrare tutte le nazioni e tutte le fedi, per combattere con tutte le forze, la tratta delle donne […]”[4] , e ancora appellandosi alla sovrana, amplia la sua visione partendo dalla similitudine delle condizioni cristiane e di quelle ebree, arrivando a parlare di un’unica umanità, quale siamo, da salvare: “ […] anche se come organizzazione di un gruppo relativamente piccolo, parliamo anche per le donne e ragazze rumene. Il destino della rumena cristiana che è costretta al vizio, è lo stesso di quella rumena ebrea, la distruzione mentale e morale dell’individuo”[5].
Non
occorre dire quanto ostracismo avesse incontrato, in un’epoca di morale e
perbenismo, senza contare la realtà religiosa da cui proveniva che la tacciò di
mentire sulle tematiche del lassismo in cui versava la società perfino quella
ebrea.
Essa
stessa riporterà la documentazione di questi viaggi nell’opera edita nel 1924
che appunto chiamerà “Sisyphus”
proprio per sottolineare l’immane fatica.
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Nel
1910 pubblica ancora una volta un resoconto, aggiornato, della situazione del
problema ebraico nella regione della Galizia con “Il problema ebraico in Galizia” evidenziando la condizione
particolarmente misera della popolazione della zona, con un’attenzione particolare alle
ragazze e alle donne ebree che per la miseria in cui vivevano erano costrette
ad espatriare andando incontro a misere condizioni di vita anche
all’estero, spesso cadendo vittime della
prostituzione. Di fronte a questa situazione Bertha invita a non sottovalutare
il problema dell’emigrazione che è strettamente legato al problema sociale
della prostituzione e prospetta delle soluzioni: “ […] Per eliminare questa avventura e tutte queste combinazioni, con i
suoi pericoli, suggerisco che la ragazza che vuole emigrare sia messa provvisoriamente in quella che chiamerei la
scuola per emigranti[…]”[6]
e passa a descrivere questa scuola da lei pensata: “ In una piccola, ma non troppo modesta, casa si raccoglieranno un certo
numero di ragazze che hanno l’intenzione di emigrare. Il soggiorno, che deve
essere programmato secondo una stima approssimativa di 4 o 6 mesi, deve essere
dedicato alla preparazione del viaggio e alle nuove condizioni. Le ragazze
devono imparare in primo luogo a scrivere e leggere.
E’ necessario prestare attenzione
alla loro salute e ad istruirle sui primi rudimenti di pulizia e cura personale. Dovranno anche imparare cucito
e a prendersi cura della casa, e durante la seconda metà del soggiorno in
collegio, imparare la lingua inglese e tedesca.”[7] .
Uno dei volantini distribuiti dalle associazioni alle emigranti |
Per
far rendere conto gli emigranti dei pericoli a cui vanno incontro pensa ad un volantino da distribuire in varie
lingue e soprattutto : “Particolarmente
prezioso sarebbe se si potesse ottenere il permesso di distribuire un volantino
tra i passeggeri di terza classe del grande piroscafo e delle navi di emigranti
senza distinzione tra i tipi di viaggiatori”.
Ma
non solo rendendosi conto che: “Qualsiasi
cosa si può proporre per migliorare la situazione degli ebrei in Galizia ed
iniziarla, ma abbiamo bisogno, per il successo del piano, di un’intesa preliminare
tra le persone stesse che può essere realizzata grazie all’educazione,
attraverso la diffusione della lettura sana, libera, di materiale didattico che
manca quasi completamente” propone quindi la sua idea di istruzione, quella
che a lei era stata negata, almeno formalmente, ed era tanto mancata: “Spero di essere riuscita chiaramente a
definire nella mia relazione della situazione in Galizia, che è necessario in
primo luogo la cultura, vale a dire l’Istruzione e le condizioni igieniche da portare
nel paese, e che si dovranno garantire come base essenziale per i bambini e per
i giovani adolescenti, così per i neonati. Quindi in primo luogo asili nido e
scuole materne! […]”. Propone quindi che le ragazze si istruiscano alla
cura dei bambini per poterne fare un domani anche una professione, ma aggiunge:
“[…] Questo non vuol dire che guardo alla
professione di maestra d’asilo o di “baby-sitter” per le ragazze come unica
cosa desiderabile”.
E
conclude appellandosi a chi tra gli enti può attuare questo suo suggerimento: “Mentre le mie proposte sono idonee ad
influenzare la cultura generale, e la popolazione galiziana indirettamente,
queste scuole per emigranti sono uno strumento diretto, molto efficace per
combattere la tratta delle donne che sta sviluppandosi. Ecco perché vi chiedo
di prendere in considerazione, in uno studio concreto, questa mia idea, che non
è ancora realizzata da nessun’altra parte, come una priorità.”[8].
La Principessa von Hessen visita un asilo nido nel 1905 a Francoforte. |
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Il
femminismo proposto da Bertha rientra appieno nella visione della cultura
tedesca strettamente legata all’industrializzazione, al progresso, e in questa
chiave ci regala la sua analisi: “Principalmente
è l’industrializzazione della produzione che ha creato nuovi valori
trasformando l’attività economica.” e ancora: “Uno
dei metri più interessanti e importanti con cui leggere l’ascesa e la caduta
dei valori della vita, è lo sviluppo che interessa la gioventù”, “I profondi cambiamenti che ha portato il
tempo moderno, causano la disintegrazione della vita familiare, non solo nello
strato proletario della popolazione urbana, ma anche negli ambienti della
piccola borghesia.” . E ritrova la causa della disgregazione sociale nel
cambiamento dei ruoli all’interno della famiglia, infatti: “La ragione più ovvia di ciò, è che il
vettore principale del nucleo familiare, padre e madre, hanno sperimentato
l’alterazione della ripartizione degli oneri in casa. E’ significativo che il
luogo di lavoro del capo della famiglia non è più, come in passato, vicino alla
casa di famiglia. La fabbrica, l’officina, il negozio, l’ufficio oggi sono
lontani, e spesso si allunga così la loro assenza da casa. […] L’influenza del
padre sulla vita dei bambini è quindi ridotta al minimo, e la sua autorità
viene condizionata a priori dalla semplice mancanza di tempo.”
Non
dimentichiamo infatti l’epoca in cui Bertha scrive e vive né la sua personale
vicenda familiare in cui il padre era l’intransigente capo-famiglia, però
sappiamo che è sempre attenta al ruolo anche femminile e infatti aggiunge: “E la madre? La donna negli ambienti a cui dobbiamo pensare soprattutto oggi, deve
aiutare a guadagnare da vivere per la famiglia, rubando le proprie forze di
madre alla cura e all’educazione dei bambini”.
Bertha
abbiamo detto non riceverà mai formalmente un’educazione e lei ne soffrirà
molto, arrivando a definirla un nutrimento spirituale insufficiente[9],
ora riutilizza questa espressione per parlare della condizione femminile delle
ragazze nelle città, per sottolineare da dove, secondo lei, deriva il disagio: “[…] Soprattutto è la mancanza di armonia
tra crescita spirituale e le condizioni esterne della gioventù urbana femminile
che parla forte e chiaro […]. E’ l’inconscio, toccante, l’aspettativa forte che
qualcosa arrivi, le differenzi dal diluvio della monotonia giornaliera,
qualcuno, un esterno. Ci si aspetta avidamente un cambiamento esterno e da parte
di nessun altro perché sono giovani!” e così: “Molti errori, passi falsi, possono essere spiegati da questo desiderio
seppur legittimo di avere una qualche forma di vita propria ” *.
Bertha
passerà la sua vita a dedicare il suo impegno agli altri, alle donne
soprattutto, e morirà per un tumore alla gola, il 28 Maggio 1936 a Neu Isenburg, pochi
mesi dopo aver sostenuto un interrogatorio da parte della Gestapo.
Nelle
sue ultime volontà, scritte nel 1930, lascerà scritto che chiunque passasse a
visitare la sua tomba potrà lasciarvi sopra un piccolo sasso a simboleggiare la
promessa di servire coraggiosamente e risolutamente il proprio dovere nei
confronti delle donne e della loro gioia.
Bertha
è sepolta a Francoforte sul meno, nel cimitero ebraico.
* traduzione dei testi riportati da "Sisyphus" a cura di Silvia Palandri
Alcune
opere di Bertha Pappenheim:
“Nel negozio di seconda mano”, 1890 (con lo pseudonimo di Paul Berthold);
“I diritti delle donne”, 1898;
“Sisyphus”, 1924.
Biografia:
AA.VV,
“Letteratura e femminismi: teorie della
critica in area inglese e americana”,
Napoli, Ed. Liguori, 2000.
[1].HUNTER DIANNE, “Isteria, Psicoanalisi, e femminismo: il
caso di Anna O.”, in “ Letteratura e
femminismi: teorie della critica in area inglese e americana”, AA.VV., Napoli, Ed. Liguori, 2000, pag. 155.
[2] Ivi, pag. 146.
[3] PAPPENHEIM BERTHA;
“Sisyphus”, 1924.
[4] Ibidem.
[5] Ibidem.
[6] Ivi.
[7] Ibidem.
[8] Ibidem.