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martedì 28 maggio 2019

Assorbenti, tampon tax e cose nostre...





Installazioni nei bagni delle Facoltà romane
del Collettivo 'Le Nostre Cose'
Instagram





Potrà sembrare strano ma in Italia è campo di dibattito una realtà esclusivamente femminile: le mestruazioni. Sì perché qui sono considerate un privilegio.
Se ne è iniziato a parlare nel 2017 quando si è messo in evidenza che ci sono prodotti con un'imposta d'IVA molto elevata, beni non considerati primari ma che invece lo sono. Essenziali in quei giorni gli assorbenti sono uno strumento necessario ma sono molto più costosi di quello che potrebbero essere con un'IVA inferiore di quella ora applicata. Gli assorbenti sono costosi perché c'è alla base un'IVA applicata come fossero beni voluttuari, un dvd ad esempio e pensare invece che la schiuma da barba è ritenuta un bene di prima necessità ed è perciò tassata con un'aliquota minore che rende il prezzo finale al consumo accettabile.
Questo differente approccio di genere rispetto ad alcuni prodotti commerciali, la cosiddetta “Pink Tax” , è stato ripreso nel tempo qua e là da tv e altri media ma mai in modo eclatante come meriterebbe visto la disparità che crea.

Fonte: Webstagram
In questi giorni tuttavia la questione della cosiddetta Tampon Tax è arrivata in Parlamento per essere affrontata. Depositata nel 2016 la tampon tax con cui si evidenziava la necessità di applicare agli assorbenti una aliquota da bene primario al 4% e non più al 22% dell'IVA, è stata discussa solo in questi giorni con un esito però negativo perché non ci sono i fondi per supportare l'abbassamento dell'imposta ed in più, sembra quasi una beffa, è stato sottolineato e ricordato alle donne che questa pratica, l'uso di assorbenti usa e getta, inquina l'ambiente! 

Molte sono state ovviamente le reazioni a queste dichiarazioni, rilasciate in un'intervista televisiva da un esponente del maggior partito ora al governo, e alla mancata considerazione del corpo femminile al quale si imputano pretese “naturali”, e questa lo è davvero, ma non evidentemente abbastanza da essere considerate basilari.

Qui puoi leggere il post su
  Red on White
Le migliori risposte però stanno arrivando dalla società civile con iniziative come quella di una farmacia umbra che ha deciso di applicare uno sconto del 22% sulle marche di assorbenti in vendita o da varie istallazioni nei bagni di alcuni atenei romani che invitano a lasciare un assorbente per chi è in difficoltà e ne ha bisogno, una sorta di "assorbente sospeso" come il caffè a Napoli, pensate da un collettivo ideato da cinque ragazze "Le Nostre Cose" oppure ancora da un documentario proprio sulle mestruazioni pensato per educare a questo tema ragazze e ragazzi nelle scuole. 

Red on White così si chiama il film documentario dopo aver completato la raccolta fondi per il post produzione ha visto la luce ed ora é a disposizione di chi  vorrà contribuire, con la conoscenza e l'educazione, a cambiare la percezione delle funzionalità del corpo delle donne ancora  evidentemente ritenute un tabù seppur di lusso! 


COPYRIGHT dei contenuti dove non diversamente specificato

giovedì 31 gennaio 2019

Le Eroine di Botticelli in mostra


"La leggenda di Lucrezia" Sandro Botticelli, 1510 circa, Firenze.
Licenza Isabella Stewart Gardner Museum, Boston.


A febbraio la mostra su Botticelli e le sue Eroine ed eroi.



A Boston, al Gardner Museum  per la prima volta la mostra renderà omaggio alle eroine che il famoso pittore italiano del Rinascimento ha saputo raccontare con una narrativa nuova, adattando il mito romano alle esigenze della sua epoca; una rilettura che oggi grazie anche al contributo del graphic novel Karl Stevens sembra essere attuale anche per i nostri giorni. Partendo infatti dalle due opere al centro della mostra "La leggenda di Lucrezia" e  "La leggenda di Virginia", sono tanti gli avvenimenti che verranno organizzati per esaltare queste due figure di donne esemplari che con la loro vita e soprattutto morte hanno combattuto contro la tirannide. Così letture, danze, concerti, rappresentazioni saranno messe in scena per accompagnare questo evento ispiratore per dar voce ad altre storie di donne contemporanee e non, emblema di forza femminile seppur vittime di tirannide ed ingiustizie.

Il concerto "La città delle Dame" del 17 febbraio darà luce sì alle protagoniste della mostra con danze a loro ispirate ma sarà l'occasione anche per sentire la storia di Cristina di Pisan
Qui puoi leggere il post su Cristina di Pisan
di Suor Juan Ines de la Cruz 
o ancora letture di Malala Yousafzai o in memoria di Sandra Bland, la afroamericana fermata dalla polizia texana per non aver messo la freccia mentre svoltava con la sua auto, arrestata, malmenata e ritrovata cadavere nella sua cella tre giorni dopo il fermo, nel 2015. 


Al centro della mostra appunto i due capolavori di Botticelli, "La leggenda di Virginia" che è qui presente dall' Accademia di Carrara di Bergamo e "La leggenda di Lucrezia" la prima opera botticelliana mai arrivata prima sul territorio statunitense nel 1894 grazie ad Isabella Stewart Gardner che la acquistò convinta di voler creare un museo per la sua fiorente collezione di capolavori.
La stanza del Gardnermuseum dove è conservato il dipinto
"La leggenda di Lucrezia" di Botticelli, 1510.

I due dipinti furono pensati insieme  da Botticelli, entrambi furono infatti commissionati dalla famiglia Vespucci, probabilmente da Giovanni di Guidantonio Vespucci e da Namicina di Benedetto Nerli per il loro palazzo di Firenze a via de' Servi. Nei secoli furono però divise tra  diversi proprietari e solo oggi ritrovano la loro dimensione originaria.
Qui puoi leggere
 il post susu
Isabel Stewart Gardner

La mostra si compone di altre opere del grande pittore italiano provenienti dall'Europa e dagli Stati Uniti come "I tre miracoli di San Zanobi" dalla National Gallery di Londra o "L'adorazione dei Magi" dagli Uffizi di Firenze ma sono proprio le due opere delle eroine che hanno ispirato l'intera mostra, notare il titolo "Eroine ed eroi", e intorno a cui gira la riflessione ancora attuale del messaggio delle loro esistenze, per quanto leggendarie, a cui perfino un grande maestro come Botticelli volle rendere omaggio facendole diventare appieno protagoniste del Rinascimento.






Boston, Gardner Museum, Hostetter Gallery,
25 Ewans Way,
dal 14 Febbraio al 19 Maggio 2018: "Botticelli: Heroines+Heroes"







COPYRIGHT dei contenuti dove non diversamente specificato

venerdì 16 marzo 2018

Fiera dell'editoria delle donne- feminism









La Fiera dell'editoria delle donne- feminism si è svolta la scorsa settimana dall'8 all'11 marzo, per celebrare la Giornata Internazionale delle donne, a Roma alla Casa Internazionale delle donne.

Alla Fiera hanno partecipato quasi settanta case editrici provenienti da tutta Italia che pubblicano libri su o di donne o approcciano tematiche di genere, che si occupano di studi di settore come l'editrice Viella che pubblica le ricerche e gli studi della Società Italiana delle Storiche o DWF.

Ma ci sono anche libri di editori maggiori come Mondadori o Rosenber&Sellier o chi ha delle collane dedicate in una più ampia proposta di offerte come “Le Ginestre”, la collana “fiorita” dalla scelta editoriale della Herald Editore o ancora come le guide di Iacobelli editore “Roma percorsi di genere femminile” voll. I-II per scoprire proprio partendo dalla Casa Internazionale delle Donne i luoghi più significativi della città, sulle tracce delle donne che hanno fatto la storia di Roma.

E c'è stato spazio anche per i bambini con case editrici come Milena edizioni che propone, tra le altre, la fiaba “Il segreto delle principesse” in cui una delle sorellastre di Cenerentola, Genoveffa, è triste perché convinta che solo la bellezza possa portarle l'amore ma quando invece decide di reagire e di dedicare un po' di tempo a se stessa con lunghe passeggiate, costruendosi una bicicletta...scoprirà che “la vera bellezza che porta all'amore e alla gioia è solo quella interiore” e non nei falsi miti e aspettative sociali.


Ci sono poi delle case editrici minori delle vere e proprie chicche come l'Ortica edizioni (ne avevamo già parlato qui) o Editoria&Spettacolo che si occupa di pubblicazioni artistiche su teatro, cinema, musica...ma ci sono anche le edizioni “storiche” come Eidos o Leggendaria.


Tante poi le novità editoriali come il libro “Tinissima” di Elena Poniatowska su Tina Modotti, edito da Nova Delphi o la nuova rivista letteraria “Didala” di Del Bucchia editore o ancora i divertenti libri epistolari de L'Ombra che si presentano con copertina richiudibile, affrancabile e spedibile e che sono particolari anche nei temi proposti da Jean Austen a Virginia Woolf a Anna Kulisciov e le sue lettere d'amore a Turati “Io in te cerco la vita”, presentato proprio in fiera l'8 marzo.

E tante altre sono state le presentazioni in questa tre giorni editoriale da “Austenmania” con Ginevra Bompiani e Lidia Ravera, alle anticipazioni di libri come “Piuttosto m'affogherei. Storia vertiginosa delle zitelle” di Valeria Palumbo per L'enciclopedia delle donne o ancora “Scrivere con inchiostro bianco” di Maria Rosa Cutrufelli per Iacobelli editore, presentato da Mariastella Luppolis presente anch'essa con il suo ultimo romanzo “Raccontami tu” edito da L'Iguana, espositrice presente alla fiera.

E poi ancora tanti approfondimenti giornalieri con ospiti del settore editoriale e letterario per parlare e confrontarsi sui perché e sui per come: perché puntare sulle donne per fare libri? L'importanza delle biblioteche ma anche delle traduzioni. 

Ma anche momenti di confronto su temi da sempre presenti alla Casa come la violenza maschile sulle donne con la presentazione della raccolta italiana de #quellavoltache Storie di molestie, i cui brani sono stati letti anche da Asia Argento o l'incontro sul libro di Naomi Alderman "Ragazze elettriche. Il mondo nelle mani delle donne" curato da Nottetempo e InQuiete Festival di scrittrici a Roma con Barbara Leda Kenny e Laura Marzi.


Insomma una tre giorni ricca di spunti, argomenti per lettrici, lettori e personale del settore editoriale.

Un'esperienza che ha coinvolto realtà editoriali e visitatrici venute da tutto il paese e che si spera venga ripetuta e ampliata ancora di più per un prossimo anno con l'augurio che possa svolgersi sempre nei locali e nel chiostro della Casa che ha visto affluire ai suoi piani donne che abituate a cercare un aiuto e un conforto in quei giorni hanno potuto trovare anche quello di un buon libro dedicato a loro.








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martedì 23 gennaio 2018

Tutto il mondo (dello stereotipo) è paese...











L'immaginario collettivo, ormai si sa ampiamente, si forma attraverso anche un simbolismo che una società crea e alimenta. E in una società basata sull'immagine grande rilievo assumono i mass-media che si basano su questa, prima fra tutti la Tv, ormai il mezzo di comunicazione più diffuso e quindi potente perché raccoglie in se' vari strumenti di comunicazione dalle trasmissioni, ai film, alle pubblicità e tutti usano sapientemente le immagini, ognuno in base al proprio pubblico di riferimento e al proprio obiettivo. In più la Tv ha un potere ulteriore, quello di amplificare il messaggio che veicola, in gergo “reificare”, un aspetto che sembra però sfuggire a chi invece, usandola perché la fa, dovrebbe ben conoscerlo e tenerlo a mente quando progetta programmi, servizi, video, scrive trame e sceneggiature.

In effetti ha fatto scalpore la puntata d'esordio di una delle fiction più longeve della tv italiana, Don Matteo 11 in cui a guidare la stazione dei Carabinieri quest'anno è una donna. Bene si dirà, e quindi dove è il problema? Di per se' nessuno, le donne sono entrate relativamente poco tempo fa nelle Forze armate e hanno fatto carriera rapidamente per cui anzi questa innovazione rispecchia solo la realtà dei fatti. Il problema che è sorto è che nonostante questa presa di coscienza e di relativa trasposizione scenica le aspettative sono state deluse ma non per motivi recitativi come si potrebbe pensare. Durante un dialogo infatti la dirigente del Comando pretende di essere chiamata CapitanO correggendo chi tra i suoi sottotenenti la chiamava, correttamente, CapitanA. Insomma la Capitana pretendeva di essere appellata al maschile adducendo che il termine al femminile non esiste, ergo...qui effettivamente di pensiero non ce ne è stato molto da parte di chi ha scritto la sceneggiatura come
non ce ne è stata di grammatica italiana o meglio chi ha scritto la sceneggiatura non ha usato il pensiero se non ha usato e rispettato la grammatica italiana, declinando semplicemente il termine al maschile, non usando un linguaggio di genere.

Questa mancanza ha suscitato polemiche e giuste rimostranze con pensieri e reclami lasciati sulla pagina facebook della fiction.

A prendere l'iniziativa è stata proprio la linguista che spesso collabora con l'Accademia della Crusca, Cecilia Robustelli che ha lanciato l'allarme e ha richiesto l'intervento di tutte e tutti per focalizzare l'attenzione sull'importanza del linguaggio e del suo rispetto, che in questo episodio è venuto decisamente a mancare.

Si è trattato di un gesto gratuito, con un po' di malizia si potrebbe pensare che sia stato provocatorio ma sicuramente si è trattato solo di superficialità condita però da abbondante pregiudizio che vuole il maschile essere più prestigioso nelle cariche e funzioni elevate. Si è voluto fissare e rimarcare il fatto che alcune professioni esistono solo se al maschile, senza considerare la lingua italiana e le sue regole, che nella fattispecie erano proprio regole di base e senza tener conto poi dell'aspetto sociale delle parole e del mezzo usato per divulgarle.

Una mancanza da un punto di vista linguistico, semantico e sociologico importante visto che chi lavora con questi elementi dovrebbe invece avere ben chiaro gli effetti che si possono produrre, divulgare, rinforzare, costruire e demolire.

Si è creato in realtà una palese discrasia per cui si è voluto una nota di rottura col passato, introducendo una donna a capo di un Comando militare ma poi non le si è voluta dare la dignità di essere, cioè non le si è riconosciuta dignità di essere nominata, quindi di esistere.

Ma cosa succederebbe mi chiedo se fosse al contrario? Se nella precedente serie il Comandante venisse sempre e solo chiamato CapitanA? Ovviamente non andrebbe ugualmente bene proprio perché si verrebbe meno alla regola grammaticale di declinazione in base al genere e poi per questioni meramente culturali per cui suonerebbe molto strano, troppo, che un uomo venga appellato al femminile visto che appunto le professioni più importanti sono concepite solo se declinate al maschile ma altrettanto strano non pare se riguarda una donna, perché, ed è quello che è sfuggito agli-alle sceneggiatori, sceneggiatrici, il linguaggio è cultura, veicola e crea significati contribuendo a creare l'immaginario collettivo, e non è solo mere regole grammaticali, che comunque qui in ogni caso non sono state rispettate.




La campagna "In a Parallel Universe" di Eli Rezkallah
In questa faccenda ci può venire in aiuto un pubblicitario, produttore, fotografo, artista israeliano che proprio per scardinare gli stereotipi a danno delle donne ha reinterpretato alcune pubblicità delle più importanti aziende americane degli anni '40-'50 al maschile. Lo spunto gli è arrivato dallo zio che durante il giorno del Ringraziamento sosteneva che alcune faccende domestiche erano esclusivo appannaggio delle donne; da qui l'idea del progetto fotografico " In a Parallel Universe" in cui Eli Rezkallah reinterpreta al femminile pubblicità sessiste dello scorso secolo sperando di far cambiare la mentalità di quelle persone che la pensano come suo zio ed effettivamente riesce a veicolare sì l'assurdità e il ridicolo dei messaggi misogini dell'epoca anche se a quanto pare, come visto non interessano solo periodi passati ma gli stereotipi rimangono e si perpetuano e si celano subdoli, come solo gli stereotipi sanno fare, ancora nei meandri moderni e contemporanei per cui sì al capo femmina purché rimanga un'Innominabile.
















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martedì 7 novembre 2017

Lo sguardo di Artemisia Gentileschi



Un anno fa si inaugurava a Roma, "Artemisia Gentileschi e il suo tempo" una delle mostre più importanti dedicate ad Artemisia Gentileschi perché per la prima volta il fulcro di tutta l'analisi artistica partiva da lei, era lei infatti l'artista a cui si sono ispirati altri pittori della sua epoca, a lei molti allievi hanno dovuto la loro tecnica per la prima volta è stata lei, la sua arte, ad essere celebrata e ricordata anche nella maestria altrui quale anello propulsore di artisti a venire.

Artemisia Gentileschi
Foto tratta
dalla riproduzione
del pannello d'entrata,
 introduttivo alla mostra.
OG non poteva perdersi una mostra così e solo ora ma dedica questo post alle sensazioni e riflessioni di quella visita alla mostra  in cui ho potuto incontrare lo sguardo di Artemisia...





Artemisia Lomi Gentileschi rappresenta la pittrice più nota di tutti i tempi ed è tale perché seppe crescere, nonostante una vita che la mise a dura prova, non solo come donna ma anche come artista, seppe coniugare l'esperienza esistenziale con quella pittorica.
Spesso la vita privata di Artemisia la condizionò ma sempre riuscì a ricavare del buono dalle nuove situazioni per quanto complicate e a far si che la sua arte seguisse la sua evoluzione.

Artemisia, nasce a Roma dove uno dei libri più famosi sul suo conto* la vuole testimone dell'esecuzione di un'altra donna romana con una storia per alcuni versi simile alla sua: Beatrice Cenci. Una giovane aristocratica vittima, come tutti gli altri membri della sua famiglia, della violenza paterna a cui un giorno cercano di porre fine ma vengono ferocemente accusati e giustiziati, anche Beatrice condannata alla decapitazione per decisione di Papa Clemente VIII in realtà interessato non tanto a far giustizia ma ad accaparrarsi gli averi di questa nobile famiglia romana. Beatrice verrà tenuta in carcere in attesa dell'esecuzione, la stessa carcere che vedrà qualche anno dopo la stessa Artemisia reclusa.
E' già brava Artemisia e la sua 'Susanna e i vecchioni' lo dimostra apertamente, mostra al mondo la sua bravura con i nudi femminili, una scena che racconta e che in qualche modo anticipa il suo destino. Dipinto solo un anno prima dello stupro che subirà, il quadro infatti narra di una giovane che è sconcertata, impaurita e infastidita dalle attenzioni di due uomini che la guardano nella sua totale intimità. L'anno dopo vede Artemisia contro il suo stupratore Agostino Tassi, famoso pittore anch'egli anzi fin troppo apprezzato visto che nonostante la condanna all'esilio dalla città eterna, costata ad Artemisia la reclusione alla Corte Savella e la tortura per dimostrare la veridicità delle accuse, non sconterà neanche un giorno grazie all'appoggio dei suoi illustri estimatori e protettori.

Artemisia quindi si vede costretta da una parte a prendere marito, il fiorentino Stiattesi, e dall'altra ad abbandonare Roma. Ma come detto, di necessità virtù, Firenze diventerà per Artemisia un'opportunità per crescere e farsi un nome, perfezionarsi nel disegno che non solo sarà comunque ben proporzionato ma anche giustamente narrativo ed ancora 'Susanna e i vecchioni' nella versione del 1622 lo dimostra, come lo dimostra la sua ammissione quale prima donna all'Accademia del Disegno di Firenze.
Artemisia cerca di superare lo stupro tramite il dipinto che realizza sul tema di Giuditta e Oloferne proprio l'anno dopo la denuncia in cui però la protagonista appare essere sempre e comunque lei anche nella versione di molti anni dopo (quello del 1622 agli Uffizi rispetto alla versione del 1613 a Capodimonte).
Che questa scena che sa ridarci così veritiera sia data dai suoi ricordi di Piazza Tor di Nona quando da bambina assistette alla decapitazione di Beatrice Cenci? Giuditta forse allora non è solo Artemisia ma è la vendicatrice di quelle donne che come lei erano state vittime di violenza maschile che per lei si chiamava Agostino ma che prendeva nella vita quotidiana di molte donne sue contemporanee, altri nomi e altre forme come quella che per Beatrice Cenci fu quella di un padre.
E Artemisia con suo padre, che le insegnò fin da piccola tutti i segreti tenendola a bottega a lei sola escludendo invece i suoi fratelli, ebbe anch'essa un rapporto difficile, tormentato dopo il processo se Artemisia infatti se ne dovette andare da Roma anche Orazio cercò riparo dall'onta altrove e mentre sua figlia viaggiando ora di ritorno a Roma, a Venezia, a Napoli ormai era diventata una pittrice nota ed apprezzata, la potè rivedere solo dopo molti anni in Inghilterra quando Artemisia accettò di andare dopo le insistenze del fratello Francesco.
A Londra Artemisia rivide suo padre, il grande artista ormai al tramonto dei suoi giorni e talenti, ammalato e affaticato ma pur sempre artista, impegnato comunque al servizio del Re Carlo I che anche Artemisia onorò aiutando suo padre negli impegnativi lavori commissionatigli.
Artemisia ormai è cittadina del mondo, artista internazionale, affermata pittrice che non teme più per la sua reputazione tanto meno per quella artistica quando torna di nuovo in Italia, costretta a fuggire dopo la decapitazione di Carlo I nel 1640, sceglie di andare nella città in cui si sente libera, Napoli.
La sua pittura ormai riflette la sua vita, matura, intensa come i suoi tratti, ormai Artemisia è affermata, affermatissima e accetta commissioni su commissioni ma non per se' ma per le sue figlie; sì perché nel frattempo suo marito è sparito, alla macchia ed è nata un'altra figlia, tutta sua nessuno tranne lei sa e saprà chi è il padre. Ma per lei le sue figlie sono uguali, sue e basta e a loro dedica i suoi ultimi anni di lavoro e di vita per garantire loro, come sarà, un buon matrimonio e una posizione sociale che le protegga e le garantisca.

Mostra di Artemisia Gentileschi, pannello espositivo d'entrata
Artemisia morirà a Napoli nel 1656 e la sua tomba sarà una fossa comune. A ricordarla ci pensano però le sue magistrali opere d'arte. 













* Il testo a cui mi riferisco è quello ormai "classico" di Alexandra Lapierre.





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martedì 24 ottobre 2017

Dagli Stati Uniti all'Italia. L'attualità delle 'Raccomandazioni' di Alma Sabatini




Un recente studio di una laureata statunitense Alice H. Wu ha messo in luce quanto il linguaggio sia connesso agli stereotipi o meglio quanto gli stereotipi di genere si trovino nel linguaggio e di come questo influenzi la condizione femminile soprattutto nel settore lavorativo.

La tesi di Wu1 si è concentrata sull'analisi delle espressioni usate con riferimento al genere femminile all'interno di un sito riservato a professionisti del campo economico usato per scambiarsi opinioni ed informazioni sul loro ambiente professionale e nel tempo è diventato un vero e proprio punto di riferimento non solo per “addetti ai lavori” ma anche semplicemente per coloro che vogliono conoscere gli argomenti sui quali i professionisti economici si confrontano.
La laureanda, oggi dottoranda alla Harvad University, identificando il testo quando riferito ad una donna grazie a pronomi come “lei, di lei...”, ha potuto evidenziare che le espressioni relative alle colleghe erano tutt'altro che afferenti l'economia ma piuttosto al turpiloquio con termini come: sesso, “baby”, appetitosa, focosa, bella, sexy, prostituta...
In parallelo ha poi usato la stessa tecnica per svolgere la ricerca prendendo questa volta in esame le espressioni riferite agli uomini ed i risultati sono stati esattamente l'inverso, infatti ha trovato associate al genere maschile parole estremamente professionali come amministratore, matematico e il contesto in cui venivano usate profondamente positivo, riferito agli obiettivi e perfino al Nobel.
Analizzando poi più in generale le discussioni legate al genere maschile e a quello femminile, Wu ha notato che i discorsi riferiti agli uomini si incentravano sulla carriera e sui colloqui mentre quelli riferiti alle donne si basavano sulla situazione personale, sentimentale o sull'apparenza fisica.


L'aspetto più interessante di questo studio, che ha suscitato parecchio scandalo negli Stati Uniti con l'interessamento di tv e giornali2, è il nesso che Wu ha notato tra i termini legati alla valutazione delle donne in ambito economico e la loro sotto-rappresentanza in questo ambiente, risultato estremamente sessista e in cui appunto le donne non solo sono numericamente inferiori ma non occupano posizioni apicali neanche nelle Facoltà di materie economiche. 


Il problema della scarsa presenza delle donne nell'ambito economico è in realtà ben nota e monitorata fin dal 1973 grazie all'iniziativa dell'American Economic Association, secondo cui non solo in un ventennio la percentuale di dottorande in materie economiche non è aumentata ma addirittura la frazione di laureate in economia sta diminuendo.
Eppure questa constatazione linguistica che Wu é riuscita ad evidenziare rispetto alla valutazione e quindi alla posizione delle donne americane nel settore economico ha suscitato tante critiche e sollevato malcontento, per una condizione invece suffragata da tempo anche da dati e ricerche e sorprende soprattutto perché si riferisce ad una società da sempre un esempio sull'evoluzione delle tematiche legate alle donne ma è pur vero che questo ci dimostra quanto gli stereotipi nel linguaggio siano permeati nella realtà anche di quelle società culturalmente avanzate.
D'altronde Alma Sabatini nelle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” già ci diceva che “L'uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell'atteggiamento di chi lo pronuncia e di chi lo ascolta3 e infatti la realtà femminile anche in Italia non è migliore degli stessi Stati Uniti. 
In effetti le donne italiane lo sanno bene visto che a guardare il punto di vista economico, le donne a parità di mansione guadagnano meno come un recente studio del CENSIS ha ben messo in evidenza e secondo cui in media una lavoratrice guadagna il 16% in meno rispetto ad un suo collega e la percentuale sale al 33% in meno di guadagno se si guarda alle manager ai vertici.
L'aspetto che lo studio americano ha messo in luce, ed è l'aspetto che più ha creato sconcerto, è proprio la relazione tra il linguaggio usato nei confronti delle donne e la loro valutazione professionale che viene penalizzata dal pensiero sessista dietro le parole usate e che impedisce loro di poter far carriera negli ambienti economici, di poter arrivare ai vertici, a oltrepassare il così detto “soffitto di cristallo”.

In Italia ugualmente abbiamo avuto fino ad ora una mancanza di rappresentatività anche in alcune cariche istituzionali come le amministrazioni comunali o parlamentari che hanno generato, e generano, difficoltà ad usare termini professionali declinati al femminile, basta ricordarsi all'indomani delle più recenti elezioni amministrative, ad esempio nelle città di Roma e Torino, il vocabolo di 'Sindaca' che ancora dopo un anno risulta di difficile assimilazione anche per gli addetti alla comunicazione come giornalisti e giornaliste di tv o giornali4. D'altronde la presenza delle donne nei mass media  sottolinea un gap di rappresentanza femminile, soprattutto in tv dove la presenza femminile in qualità di esperte di tematiche specifiche e soprattutto di argomenti ritenuti prettamente appannaggio di discernimento maschile come materie economiche, scientifiche e politiche è irrisoria rispetto a quella degli uomini chiamati a dare opinioni e consigli5.
La presenza di una donna in interviste, trasmissioni tv infatti supera di poco la percentuale del 30% rispetto a quella di un uomo spesso invitato in qualità di esperto: nei telegiornali la presenza femminile è pari al 22% quando si tratta di opinion maker o intervistate e al 25% se la si considera come protagonista della notizia o solo al 14% come esperta nei Telegiornali, mentre è del 28% se si considerano i soli programmi di approfondimento informativo dove le donne vengono proposte come intervistate o newsmaker, secondo lo studio, commissionato dalla Rai, che l'Osservatorio di Pavia ha evidenziato in una ricerca di due anni fa 6.

Come si vede quindi anche in Italia la scarsa presenza delle donne in settori apicali che siano istituzionali o manageriali o in generale nel mondo del lavoro, è strettamente legata al linguaggio con cui ci si riferisce alle donne, con cui si interagisce con le donne perché come Patrizia Violi7 ci insegna il genere manifesta un profondo simbolismo, le parole quindi veicolano significato e simbolismo che a loro volta creano e alimentano significati e simbolismi contribuendo pienamente a sviluppare l'immaginario collettivo.La parola è una materializzazione, un'azione vera e propria8 ci ammoniva Sabatini nel 1987 ma a leggere queste ricerche possiamo dire che di azioni ne abbiamo fatte poche e che ci manca tanto da fare per attuare quei cambiamenti anche linguistici specchio di una realtà sociale che ad oggi dopo trent'anni dal lavoro di Alma Sabatini fatica a rivolgersi alle Istituzioni più importanti del Paese come alla Presidente, alla deputata o più semplicemente alla Avvocata o Notaia perchè non é stata recepita una dimestichezza con questi termini, perchè le donne non hanno mai ricoperto se non da poco e in alcuni casi da pochissimo tempo quei ruoli occupati esclusivamente dagli uomini fino a un non breve tempo fa e che fanno “suonare male” la concordanza quando ad una professione, che tanto più è in alto più tanto suona strana, si associa il genere femminile.
Non solo, in questi anni  si è verificata  per di più quella che Giuliana Giusti9 chiama "la china peggiorativa", infatti spesso con il tempo parole che si riferiscono a categorie svantaggiate, di cui indubbiamente fanno parte le donne soprattutto in campo lavorativo, hanno assunto una connotazione peggiorativa, negativa che ne evita l'uso in favore, spesso, di un maschile inclusivo ritenuto più prestigioso.

Trent'anni fa in Italia si é cercato di analizzare l'importanza del linguaggio nel suo impatto nella società rispetto alla condizione femminile e accanto al lavoro di Alma SabatiniIl sessismo nella lingua italiana”, infatti incontriamo altre opere attente alla questione linguaggio-donne pensiamo a Elena Gianini Bellotti con “Dalla parte delle bambine” in cui analizza attraverso il linguaggio come ci si rivolge alle bambine e ai bambini, evidenziando preconcetti e stereotipi che poi condizionano le aspettative riservate all'uno o all'altro genere fin dall'infanzia. Una disamina che poi riguarderà anche i libri di testo scolastici con il progetto Polite in cui gli editori erano chiamati a prestare attenzione agli stereotipi che i testi per le scuole proponevano, purtroppo un progetto a lungo disatteso.
Alma Sabatini con la sua opera propulsiva e ancora capo saldo di riferimento attuale, ci invitava quindi all'azione tramite il linguaggio, ci invitava al cambiamento, un invito però a tutt'oggi ancora poco accolto e quindi sempre attuale e che riguarda tutte e tutti ed a lungo auspicato10.






Note:

1 La Tesi “Gender Stereotyping in Academia: Evidence from Economics Job Market Rumors Forum” è reperibile all'indirizzo 
https://www.dropbox.com/s/v6q7gfcbv9feef5/Wu_EJMR_paper.pdf?dl=0


3 Sabatini A., “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, estratto da “Il sessismo nella lingua italiana” a cura di A. Sabatini, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987.

4 L'associazione di giornaliste Gi.ULiA da anni rivendica la necessità di un linguaggio di genere per la categoria giornalistica; a luglio del 2014 ha presentato una guida, curata da Cecilia Robustelli, in collaborazione con l'Accademia della Crusca su “Donne, grammatica e media”: 
http://www.accademiadellacrusca.it/sites/www.accademiadellacrusca.it/files/page/2014/12/19/donne_grammatica_media.pdf

5 Per una più ampia considerazione dell'immagine della donna in tv e nei mass media in Italia e all'estero, si veda l'articolo: http://www.ingenere.it/articoli/il-gender-gap-dellinformazione

6 Si veda a tal proposito il documento “Monitoraggio sulla rappresentazione femminile 2015” dell' Osservatorio di Pavia http://www.osservatorio.it/rai-monitoraggio-sulla-rappresentazione-femminile-2015/

7 Patrizia Violi è Professora ordinaria di Semiotica all'Università di Bologna.

8 Sabatini A., “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, estratto da “Il sessismo nella lingua italiana” a cura di A. Sabatini, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987.


Giuliana Giusti è Professora ordinaria di Linguistica all'Università di Venezia Ca' Foscari.

10 Si vedano i tanti richiami anche da parte dell'Accademia della Crusca, come ad esempio:
e il volume di Cecilia RobustelliSindaco e sindaca: il linguaggio di genere” , volume n.4 della collana “l'Italiano, conoscere e usare una lingua formidabile” dell'accademia della Crusca in collaborazione con  il Gruppo GEDI (La Repubblica, La Stampa...); in edicola dal 14/10/2017.
o L'Enciclopedia Italiana Treccani:




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martedì 17 ottobre 2017

Non solo Rosa...





Molte grandi scrittrici erano anche appassionate di giardino, dei propri giardini che curavano con passione e attenzione proprio come le loro opere letterarie.
Virginia Woolf ad esempio e il suo a Monk's House o ancora Beatrix Potter nella sua tenuta del Distretto dei Laghi o ancora Vita Sackville West che oltre a scrivere raffinati romanzi impiegò la sua attività creativa anche progettando veri e propri giardini, come quello della sua residenza di Sissinghurst Castle meritandosi l'elogio e l'ammirazione di molti professionisti giardinieri (oggi diremmo paesaggisti). Tenne anche una rubrica settimanale di giardinaggio per l'Observer e per quindici anni si impose al pubblico anche come esperta giardiniera tanto che ancora oggi è un punto di riferimento anche per i vivaisti contemporanei.

A lei si deve la riscoperta nel giardino abbandonato quando acquistò il Castello nel 1931, di una rosa molto antica che ora porta il nome della sua tenuta, Sissinghurst Castle appunto. Il suo giardino divenne infatti fonte di ispirazione anche per i suoi contemporanei appassionati, coltivatori, fiorai tra cui Costance Spry, la flower designer talmente brava che ricevette l'incarico nel 1956 per gli addobbi per i festeggiamenti dell'incoronazione di Elisabetta II d'Inghilterra.

Costance iniziò la sua carriera casualmente come vetrinista di una profumeria di un amico negli anni '20 ma il suo successo fu immediato e costante, infatti rivoluzionò le regole della composizione floreale. Oggi è praticamente normale trovare centritavola, addobbi, bouquet con diversi elementi ma ciò che per noi è ormai acquisito in realtà lo dobbiamo a lei, alla sua creatività e al coraggio che ebbe di sfidare le regole che fino ad allora si usavano per il flower design.
Costance infatti ideò, per la prima volta, composizioni che contemplavano oltre ai fiori di stagione anche tutti gli altri elementi che il periodo stagionale offriva come frutti, ortaggi e foglie, abbinamenti che riscossero subito molto consenso e l'avviarono con successo al mestiere di flower design a cui ancora oggi dobbiamo molto. 
Alla sua morte, nel 1960 David Austen, un istituzione tra i creatori di rose inglesi, le dedicò una sua nuova creazione, una rosa a coppa dal colore chiaro e profumatissima che appunto chiamò Costance Spry. Lo stesso Austen quest'anno ha dedicato la sua nuova creazione ad un'altra artista: Vanessa Bell, arredatrice e pittrice di fine ottocento, nonché sorella di Virginia Woolf.

E poteva mancare una rosa dedicata a Jane Austen nel suo duecentesimo anniversario? No di certo ed infatti dall'Inghilterra ecco la rosa Jane Austen dal colore pastello, un albicocca delicato e dal profumo intenso.

Ma anche il nostro paese, altrettanto dedito ed apprezzato per i suoi giardini e giardiniere-i, deve molto alle donne.


A Roma, il noto roseto comunale è stato ideato dalla Contessa Mary Gayley Senni che sul Colle Oppio negli anni trenta del '900 dedicò acri alle rose più preziose e istituì in quell'occasione il prestigioso premio di Roma nel quale la rosa più bella tra le nuove create viene, ancora oggi, premiata da una giuria internazionale.
Il roseto però fu poi distrutto durante il conflitto mondiale e solo successivamente ripristinato nella sua sede attuale all'Aventino e impreziosito da nuove e rare specie di rose, ad oggi ci sono più di mille esemplari da tutto il mondo.

Rosa tipo Tudor, "Lea" Renaissance.



Quest'anno ecco la rosa dedicata ad Anna Molinari, pensata in onore della fondatrice del noto marchio di moda Bluemarine che da quarant'anni fa grande il nome del Made in Italy anche all'estero.
Nel 2011 un vivaista di San Remo, e dove senno?, ha dedicato una sua rosa alle madri costituenti per festeggiare i 150 anni della Repubblica italiana, chiamandola “Donne d'Italia”; nello stesso anno in Veneto un innestatore ha dedicato una sua nuova creazione alla giornalista Ilaria Alpi e quest'anno ha pensato di omaggiare una delle poete più importanti del panorama italiano per quanto purtroppo poco nota.


Rosa "Mamma mia" Courtyard.
Moderata Fonte, Modesta Pozzo de' Zorzi, infatti fu una poeta molto apprezzata e nota nella Repubblica Veneziana del '500. Sua il Merito delle donne in cui un gruppo di amiche si ritrova a casa di una di loro, Leonora che vedova le ospita nella sua casa, una villa ereditata da una zia che non aveva mai voluto sposarsi e lì lontane da occhi e orecchie indiscrete le amiche si sentono libere di confidarsi e parlare. Così si apprende quanto la condizione femminile è sacrificata e subordinata ai voleri e condizionamenti degli uomini, fossero essi padri, fratelli o mariti e la mancanza di un'istruzione é ciò che pregiudica loro una vera libertà. Leonora, ad un certo punto auspica addirittura il ritorno delle amazzoni ma la più anziana smorza ogni richiamo alla guerra e le riporta alle loro riflessioni che si possono racchiudere nella frase che Corinna, la più rivoluzionaria tra le amiche, ad un certo punto afferma: Libero cor nel mio petto soggiorna, non servo alcun, né d'altri son che mia”.*
La rosa Moderata Fonte, la novità del 2017 è di un rosa intenso e delicato.



* M. Fonte, “Merito delle Donne. Ove chiaramente si scuopre quanto siano esse degne e più perfette de gli uomini”, 1600, pag. 12.





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