L'immaginario collettivo, ormai si sa ampiamente, si forma attraverso anche un simbolismo che una società crea e alimenta. E in una società basata sull'immagine grande rilievo assumono i mass-media che si basano su questa, prima fra tutti la Tv, ormai il mezzo di comunicazione più diffuso e quindi potente perché raccoglie in se' vari strumenti di comunicazione dalle trasmissioni, ai film, alle pubblicità e tutti usano sapientemente le immagini, ognuno in base al proprio pubblico di riferimento e al proprio obiettivo. In più la Tv ha un potere ulteriore, quello di amplificare il messaggio che veicola, in gergo “reificare”, un aspetto che sembra però sfuggire a chi invece, usandola perché la fa, dovrebbe ben conoscerlo e tenerlo a mente quando progetta programmi, servizi, video, scrive trame e sceneggiature.
In effetti ha fatto scalpore la puntata d'esordio
di una delle fiction più longeve della tv italiana, Don Matteo 11 in
cui a guidare la stazione dei Carabinieri quest'anno è una donna.
Bene si dirà, e quindi dove è il problema? Di per se' nessuno, le
donne sono entrate relativamente poco tempo fa nelle Forze armate e
hanno fatto carriera rapidamente per cui anzi questa innovazione
rispecchia solo la realtà dei fatti. Il problema che è sorto è che
nonostante questa presa di coscienza e di relativa trasposizione
scenica le aspettative sono state deluse ma non per motivi recitativi
come si potrebbe pensare. Durante un dialogo infatti la dirigente del
Comando pretende di essere chiamata CapitanO correggendo chi tra i
suoi sottotenenti la chiamava, correttamente, CapitanA. Insomma la
Capitana pretendeva di essere appellata al maschile adducendo che il
termine al femminile non esiste, ergo...qui effettivamente di
pensiero non ce ne è stato molto da parte di chi ha scritto la
sceneggiatura come
non ce ne è stata di grammatica italiana o meglio chi ha scritto la sceneggiatura non ha usato il pensiero se non ha usato e rispettato la grammatica italiana, declinando semplicemente il termine al maschile, non usando un linguaggio di genere.
non ce ne è stata di grammatica italiana o meglio chi ha scritto la sceneggiatura non ha usato il pensiero se non ha usato e rispettato la grammatica italiana, declinando semplicemente il termine al maschile, non usando un linguaggio di genere.
Questa mancanza ha suscitato polemiche e giuste
rimostranze con pensieri e reclami lasciati sulla pagina facebook
della fiction.
A prendere l'iniziativa è stata proprio la
linguista che spesso collabora con l'Accademia della Crusca, Cecilia
Robustelli che ha lanciato l'allarme e ha richiesto l'intervento di tutte e tutti per focalizzare l'attenzione sull'importanza del
linguaggio e del suo rispetto, che in questo episodio è venuto
decisamente a mancare.
Si
è trattato di un gesto gratuito, con un po' di malizia si potrebbe
pensare che sia stato provocatorio ma sicuramente si è trattato solo
di superficialità condita però da abbondante pregiudizio che
vuole il maschile essere più prestigioso nelle cariche e funzioni
elevate. Si è voluto fissare e rimarcare il fatto che alcune
professioni esistono solo se al maschile, senza considerare la lingua
italiana e le sue regole, che nella fattispecie erano proprio regole di base e senza tener conto poi dell'aspetto sociale delle parole e del mezzo usato per
divulgarle.
Una mancanza da un punto di vista linguistico, semantico e
sociologico importante visto che chi lavora con questi elementi dovrebbe
invece avere ben chiaro gli effetti che si possono produrre,
divulgare, rinforzare, costruire e demolire.
Si è creato in
realtà una palese discrasia per cui si è voluto una nota di rottura
col passato, introducendo una donna a capo di un Comando militare ma
poi non le si è voluta dare la dignità di essere, cioè non le si è
riconosciuta dignità di essere nominata, quindi di esistere.
Ma
cosa succederebbe mi chiedo se fosse al contrario? Se nella
precedente serie il Comandante venisse sempre e solo chiamato
CapitanA? Ovviamente non andrebbe ugualmente bene proprio perché si
verrebbe meno alla regola grammaticale di declinazione in base al
genere e poi per questioni meramente culturali per cui suonerebbe
molto strano, troppo, che un uomo venga appellato al femminile visto
che appunto le professioni più importanti sono concepite solo se
declinate al maschile ma altrettanto strano non pare se riguarda una
donna, perché, ed è quello che è sfuggito agli-alle sceneggiatori,
sceneggiatrici, il linguaggio è cultura, veicola e crea significati
contribuendo a creare l'immaginario collettivo, e non è solo mere
regole grammaticali, che comunque qui in ogni caso non sono state
rispettate.
La campagna "In a Parallel Universe" di Eli Rezkallah |
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