Almanacco del 04 Aprile:
Il Primo Numero del giornale fondato da Jeanne Desirée nel 1832. |
Ci troviamo in Francia, dove è da
poco terminata l’esperienza rivoluzionaria che ha visto il sacrificio di una
donna, tra molte, che voleva “solo essere qualcuno” e che tuttavia nonostante la sua coraggiosa morte, non è riuscita a portare quell’uguaglianza tra i sessi,
quell’ egalité tanto acclamata dalla Rivoluzione, così Jeanne Desirée, anch’essa
figlia della Rivoluzione si trova ereditiera di una società affatto cambiata per le donne, e si vede quindi raccogliere la sfida “de-gougesniana” con un nuovo
vigore.
Jeanne Desirée nasce a Parigi
il 04 Aprile 1810 da un umile famiglia di operai e lei stessa è ricamatrice,
affiancherà la sua esistenza da lavoratrice ad una militanza femminista.
Accostatasi alle idee saintsimoniane,
e dopo un periodo di lavoro a Londra dove conoscerà la dottrina di Owen e quello
che diventerà suo marito, Julles Gay, tornata in Francia e poi in seguito proprio
a Parigi, decide insieme ad una collaboratrice, Marie-Reine Guindorf, di
fondare il primo giornale femminista “La
Femme libre” formato e diretto da sole donne.
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Esaltante è la premessa del primo numero,
uscito nel 1832: “ Nel momento in cui
tutti I popoli si agitano in nome della Libertà, e che il proletariato reclama
il suo affrancamento, noi,donne, resteremo, passive davanti questo grande movimento d’emancipazione
sociale che si svolge sotto i nostri occhi. La nostra sorte è così felice che
non abbiamo nulla da reclamare? La donna, fin’ora, è stata sfruttata,
tirannizzata. Questo sfruttamento, questa dittatura deve cessare. Noi nasciamo
libere come gli uomini e la metà del
genere umano non può, senza commettere ingiustizia, asservire l’altra.
Conosciamo dunque i nostri diritti. Comprendiamo la nostra
potenza.”[1]
E’ necessario quindi “Alzate la voce, reclamiamo il nostro posto nella città, nel tempo nuovo che riconosce alla donna dei diritti paritari all’uomo”.[2]
E’ necessario quindi “Alzate la voce, reclamiamo il nostro posto nella città, nel tempo nuovo che riconosce alla donna dei diritti paritari all’uomo”.[2]
E conscia, forse anche
dell’esempio della De Gouges, che non si può agire da sole come corpi singoli
ma ci vuole unità d’intenti ma anche d’azione al di là anche di quella classe
sociale ancora troppo preminente “[...] Noi
non possiamo ottenerlo se non alla condizione di unirci in un solo fascio, non
formiamo più due campi separati quello delle donne del popolo e quello delle
donne privilegiate poiché il nostro interesse ci unisce.”[3]
E quale è quindi questo grande interesse comune che va al di là di ogni singola
comodità, di ogni singolo interesse, quell’obiettivo più grande di ogni
individualità, un bene superiore di quelli che la Rivoluzione stessa si
prefiggeva ma che è ancora ben lontano soprattutto per le donne, la libertà
innanzitutto, sinonimo di uguaglianza, ideali grandi che sono indispensabili
però alla vita dell’individuo: “Libertà,
uguaglianza, ...vale a dire libera e uguale possibilità di sviluppo delle
nostre facoltà, voilà la nostra conquista, quella che dobbiamo fare”[4].
Se è vero che come ci
sprona all’inizio nell’appello dobbiamo conoscere la nostra potenza, e i nostri
diritti ecco che comincia a introdurceli, piano piano ma con una forza comunque
dirompente, la società è cambiata, non siamo più in quella che Hobbes chiama “Homo homini lupus” o meglio la meno nota
“Homo moglieribus lupus” e quindi non
ha più quel ruolo di difensore femminile, la società ormai è una società dell’intelletto,
e ce lo dice in maniera molto chiara e diretta “ora che è ben noto che il potere brutale è scomparso per essere rimpiazzato
dal potere morale, è utile che noi prendiamo di conseguenza, di diritto il
posto che occupiamo nei fatti. La protezione dell’uomo non è più che una vana
parola”[5];
poiché ancora evidentemente è vivida e sanguinante la ferita di quelle vite di
donna spezzate dalla ghigliottina, non parla di nomi, non le nomina ma chiaro
è, ancora uan volta, il suo messaggio, e il suo ringraziamento a quelle donne
che sono perite sotto il mero arbitrio maschile, colpevole di tanta violenza
che li rende vili da una parte ma dall’altra evidenzia invece, proprio come nel
più classico modello di carnefice e vittima, l’aulicità delle loro morti “Gloria alle donne che, [...], hanno sacrificato
ad una nobile fierezza, i battiti di un cuore
che non poteva essere compreso da un mondo che si gioca della virtù più vera, e
che la relega nella fredda riserva e nella mollezza dell’uniformità. Esse hanno
conservato questa dignità, risultato di una soddisfazione della coscienza che deriva dal sentimento di
aver portato a termine un dovere. Esse hanno sugli uomini questo ascendente che
pretende rispetto, e che, fa loro conoscere la superiorità della nostra morte”[6]
.
Si scaglia netta contro
il servilismo del corpo femminile, la prostituzione è un orrore, di cui tutte
le donne, le cattoliche per prime, si devono rendere conto, le donne, tutte
trasversalmente, devono capire di essere un tutto unico e che insieme, tutte,
si deve lottare per l’affrancamento della posizione di ciascuna, “la comunità femminile è lì dove è una parte
di esse che sono una proprietà utile al piacere degli uomini, e sulla quale lo
Stato preleva un’imposta, e autorizza, con spostamenti di denaro, questo
traffico oltraggioso, che cede la più bella a chi offre di più.”[7]
Dal quinto numero si
leggerà sul frontespizio del giornale “libertà
per le donne, libertà per il popolo per una nuova organizzazione familiare e
industriale” così seguono proprio articoli su come, secondo Desirée, si
dovrebbe organizzare la società innanzitutto si richiama, da buona seguace saintsimoniana,
appunto all’ideatore di questa filosofia che raccoglie l’eredità rivoluzionaria
anche se finisce per coinvolgere una élite ma che sarà comunque pregnante per
lo sviluppo di idee moderne che saranno alla base anche dello sviluppo
industriale, e qui subentra l’altro ispiratore Fourier che con le sue teorie “rendendo l’industria attraente, impiega gli
individui con le loro passioni che, nell’ordine sociale diventano un mezzo
potente per l’ abbellimento del globo e la ricchezza del genere umano”[8].
Ma c’è chi la critica per aver apertamente fatto riferimento al capo della “setta”,
non tutte le donne si ritrovano in questo capo, ognuna ha una sua religione,
cattolica per lo più, ma lei risponde così: “Se volete relegarmi ad un nome, sarà certamente il loro che prenderò”
ma, specifica e avverte, “ma sento di
avere un’opera diversa da compiere. Per me tutte le questioni sociali dipendono
dalla libertà delle donne, che le risolverà tutte. E’ quindi verso questo scopo
che tenderanno tutti i miei sforzi, è alla felicità delle donne nuove che rapporterò
tutto quello che farò per la nostra emancipazione: la causa delle donne è
universale, e non è affatto solo saintsimoniana”[9].
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Dopo la nascita del suo
primo figlio, tenta di aprire una scuola per bambini a cui dare un’educazione fin
dalla nascita ma il tentativo fallisce per mancanza di fondi.
Nel frattempo la
situazione politica francese è in continuo mutare, con la Rivoluzione del 1848,
Desirée esce allo scoperto ancor di più e prende posizioni pubbliche
appellandosi direttamente al governo provvisorio sollevando problematiche per
migliorare la condizione delle lavoratrici e per la sovvenzione finanziaria di
ristoranti e stirerie, occupazioni specificatamente femminili, che avrebbero
reso quindi più facile alle donne avere una loro indipendenza economica. Grazie
al suo impegno viene eletta, per il secondo arrondissement, Delegata alla
Commissione del Lavoro che ha sede al Palazzo del Lussemburgo, proprio quello
stesso palazzo che pochi anni prima aveva visto prigioniera un'altra donna che durante la Rivoluzione aveva lottato per i diritti delle donne, Claire Lecombe.
Diviene anche capo della
divisione Fontane, nell’ambito degli ateliers Nazionali creati dal governo per
creare lavoro ai disoccupati, anche se gli ateliers vengono aperti solo alle
donne che lavorano nel tessile e riescono a garantire loro una paga misera. Nel
frattempo Desirée continua però anche il suo impegno editoriale collaborando
con la rivista “La Voce delle Donne”
che riesce ad uscire sperò solo per qualche mese, quindi Desirée forte della sua
prima esperienza con la “Libertà della
donna”, fonda ancora una volta il giornale “La politica delle Donne” che ha vita brevissima, solo due numeri, e
che viene sostituita dal giornale “L’Opinione
delle Donne”. Decide allora di fondare con, Jeanne Deroin, la fondatrice
del giornale La Voce delle Donne, un’associazione
di mutuo soccorso per le donne che riceverà dall’Assemblea Nazionale un
cospicuo fondo ma che nonostante questo non vedrà più il coinvolgimento di
Desirée che preferirà ritirarsi e riprendere il suo lavoro da cucitrice.
Finisce nel 1849 il
coinvolgimento militante di Jeanne Desirée Véret Gay, che da ora in avanti si
dedicherà esclusivamente al suo lavoro e fonderà una merceria i cui lavori
saranno apprezzatissimi all’Esposizione Universale del 1855 proprio a Parigi, dove i suoi manufatti saranno premiati.
La situazione però si
complica quando suo marito a causa della censura, vede messo in pericolo il suo
lavoro di tipografo ed editore e quindi la famiglia decide di spostarsi in
Belgio, a Bruxelles nel 1865, dove partecipano alla I Internazionale
Socialista, che vede Desirée ancora una volta, nonostante la sua decisione
passata, in prima fila, diventando nel 1866 Presidente della Sezione Femminile.
Sempre attenta all’emancipazione
femminile, che caratterizzerà comunque anche gli ultimi anni della sua vita
nonostante si fosse ufficialmente ritirata dalla “lotta” in prima linea, nel
1868, scrive e pubblica il libro, indirizzato alle donne: “Educazione razionale della prima infanzia”, un manuale per giovani
madri.
Dopo un breve
trasferimento a Ginevra e a Torino, torna stabilmente a Bruxelles, dove Jeanne
Desirée subirà pesanti perdite, prima il marito nel 1883, e poi anche i due
figli, divenuta cieca, morirà presumibilmente nel 1891.
.
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