Almanacco del 13 Marzo:
Ritratto della Contessa Chiara, Clara, Maffei, di Francesco Hayez. |
Fu donna dotta e seppur non scrisse
mai opere se non epistole per i suoi più intimi familiari ed amici, fu una
figura essenziale nel Risorgimento italiano, per la politica ma anche per le
Arti.
La contessa Chiara Carrara
Spinelli, all’anagrafe Elena Chiara Maria Antonia, nacque il 13 Marzo 1814 a
Bergamo dal Conte Battista Carrara Spinelli, poeta e pedagogista illustre e da
Ottavia Gambara, discendente della famosa poetessa cinquecentesca Veronica
Gambara, come anche fu poetessa sua nonna, Chiara Trinali.
Nel 1823 fu mandata al Collegio
degli Angeli a Verona per essere educata sotto la guida della Contessa Mosconi,
con la cui figlia strinse una affettuosa e duratura amicizia, mentre il padre
si trasferiva a Milano dopo essere stato lasciato dalla moglie fuggita per
seguire un altro uomo. Chiara nonostante l’abbandono materno sarà sempre legata
alla mamma a cui vorrà sempre bene e svilupperà anzi una sorta di adorazione
quando anni dopo riprese a frequentare l’abitazione dove Chiara abitava anche
se poi morì di lì a poco.
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Terminati gli studi raggiunse
il padre a Milano per perfezionare la sua educazione ma qui incontrò un poeta
molto noto ed apprezzato di cui si innamorò, scegliendo perfino di cedere il suo titolo
aristocratico di Contessa, pur di sposarlo. Il giovane poeta era Andrea Maffei,
anch’egli di nobili origini ma non di lignaggio pari alla Contessa che
sposandolo decadeva dal titolo.
Purtroppo però Maffei non era uomo portato al matrimonio e si
dimostrò più volte poco attento alle esigenze della moglie, della vita
coniugale e al rispetto che questa meritava, una volta arrivò perfino a
dimenticarla ad una festa dove erano giunti insieme ma dalla quale lui si era
allontanato avendo probabilmente “altri impegni”.
Il loro matrimonio naufragò qualche anno più tardi dopo la morte della loro unica figlia, Ottavia, nel 1846. Chiara rimarrà sempre molto toccata a questo rapporto e affranta dalla fine del suo matrimonio, del suo sogno d’amore e anche se avrà poi un compagno che le rimarrà accanto per molti anni, in lei rimarrà sempre una profonda delusione per non aver potuto crearsi una famiglia: “Non illudetevi sull’isolamento degli affetti legittimi e domestici; nulla li sostituisce. Nulla li sostituisce, ve lo dico io, che fui e sono circondata di tanta società, di non pochi veri amici, che tanto intensamente amai, e trovai forti e forse eccezionali affezioni! Mi chiamano madre, sorella; ma pur troppo, vi è sempre qualche cosa che vi avverte non essere che amorosi inganni e illusioni quei dolci nomi. L’amicizia è molto, ma non è tutto!”[1]. La loro separazione tuttavia avverà in ottimi rapporti, Chiara infatti gli scriverà: “Addio, Andrea mio: esco da questa casa coll’animo addolorato, ma almeno tranquillo, poiché so che ci lasciamo con dell’affetto e della stima reciproca. Addio; vivi coi nostri amici, con quelli che in questa circostanza furono il nostro sostegno e santificarono, quasi, col loro ajuto un passo per sé stesso fatale, ma per me inevitabile e necessario se non alla felicità, almeno alla soddisfazione di tutti e due. Ricordati ch’io ti lascio ma non t’abbandono, e che in ogni circostanza triste della tua vita io ti sarò vicina come una sorella. Non dubitare di queste mie parole poiché sai che non ho mai mentito e che posso garantire della profondità de’ miei sentimenti”[2].
Il loro matrimonio naufragò qualche anno più tardi dopo la morte della loro unica figlia, Ottavia, nel 1846. Chiara rimarrà sempre molto toccata a questo rapporto e affranta dalla fine del suo matrimonio, del suo sogno d’amore e anche se avrà poi un compagno che le rimarrà accanto per molti anni, in lei rimarrà sempre una profonda delusione per non aver potuto crearsi una famiglia: “Non illudetevi sull’isolamento degli affetti legittimi e domestici; nulla li sostituisce. Nulla li sostituisce, ve lo dico io, che fui e sono circondata di tanta società, di non pochi veri amici, che tanto intensamente amai, e trovai forti e forse eccezionali affezioni! Mi chiamano madre, sorella; ma pur troppo, vi è sempre qualche cosa che vi avverte non essere che amorosi inganni e illusioni quei dolci nomi. L’amicizia è molto, ma non è tutto!”[1]. La loro separazione tuttavia avverà in ottimi rapporti, Chiara infatti gli scriverà: “Addio, Andrea mio: esco da questa casa coll’animo addolorato, ma almeno tranquillo, poiché so che ci lasciamo con dell’affetto e della stima reciproca. Addio; vivi coi nostri amici, con quelli che in questa circostanza furono il nostro sostegno e santificarono, quasi, col loro ajuto un passo per sé stesso fatale, ma per me inevitabile e necessario se non alla felicità, almeno alla soddisfazione di tutti e due. Ricordati ch’io ti lascio ma non t’abbandono, e che in ogni circostanza triste della tua vita io ti sarò vicina come una sorella. Non dubitare di queste mie parole poiché sai che non ho mai mentito e che posso garantire della profondità de’ miei sentimenti”[2].
La loro casa tuttavia, prima
della deriva della loro unione, fu teatro di un’élite di intellettuali ed
artisti di fama internazionale a cui Chiara, che continuava tuttavia ad essere
chiamata Contessa, dava ospitalità e si rivolgeva comunque da pari, perché se
non scriveva aveva comunque un retaggio culturale familiare assai importante e
il suo modo di essere e di porsi lo manifestava per lei.
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"Valenza Gradenigo davanti al padre inquisitore", F. Hayez, 1835. Fondazione Cariplo. |
I suoi modi e le sue maniere ma
anche la sua cultura, affascinarono artisti del calibro di Hayez che la dipinse
in tutto la sua delicatezza e bellezza, e che le regalò un quadro che avrà sempre un
posto speciale in tutte le dimore che Chiara cambierà nel corso della sua
sfaccettata vita. Ma
c’erano anche Massimo d’Azeglio e Tommaso
Grossi, Emilio Broglio, Carlo Cattaneo a emblema di quello che diventerà poi il salotto, il famoso e
prestigioso Salotto Maffei, un ritrovo di patrioti dei più alti livelli.
Una
bella descrizione ci rivela la affabilità e le capacità della Contessa: “La contessa non perdeva d’occhio neppur uno
degl’invitati. Quell’esile, aristocratica personcina, vestita, secondo il
solito di nero, con signorile semplicità, penetrava in tutti i crocchi. Su quel
volto dai finissimi lineamenti, subitamente acceso da una febbre di
contentezza, illuminato da un sorriso- quel mite sorriso tutto suo- ogni
visitatrice, ogni amico leggeva un augurio. Ella rivolgeva a ciascuno una
parola, una domanda premurosa...”[3].
Così il suo Salotto vedrà tanti
illustri artisti, musicisti, scrittori e politici tra cui Antonio Bazzini,
Gaetano Coronaro di Vicenza, direttore dell’orchestra della Scala, lo stesso
Verdi dopo il trionfo del Nabucco, e sua moglie Giuseppina Strepponi, che
diventerà una carissima amica della Contessa, Alessandro Manzoni, Giovanni Verga, Ippolito Nievo solo per citarne alcuni.
l'opera "La Fausse Maitresse" di Balzac dedicata alla Contessa. |
Nel 1838 ne farà parte anche
Honoré de Balzac che rimase affascinato dalla Contessa al punto che la loro
amicizia continuerà anche dopo il suo ritorno in Francia e documentata da
numerose epistole anche quando lo scrittore sarà in giro per l’Italia. A lei
dedicherà nel 1841 il suo racconto “La fausse maîtresse”, che andrà poi a far parte del romanzo “La Commedia Umana”, si
dice anche che proprio nel salotto Maffei, sorseggiando un buon tè, ebbe l’ispirazione
per la commedia teatrale “Vautrin” messa in scena a Parigi nel 1840.
L’anno seguente, non
curante dello scandalo, accolse nel suo salotto il musicista Liszt con la sua amante,
la Contessa Marie, nota scrittrice col nome di Daniel Stern, che viaggiava
liberamente con il musicista anche se era sposata con figli. Forse rivide la
situazione di sua madre, e non seppe dar retta alle rigide etichette e
perbenismi dell’epoca ma sopraffatta dal ricordo amorevole di sua madre non ebbe scrupoli ad accoglierli in casa anche
se i loro non celati atteggiamenti affettivi, forse troppo, disgustarono
letteralmente la Contessa che in ogni caso non diede a vedere il suo biasimo.
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Non mancò certo poi il
suo appoggio anche alle donne intellettuali e accolse nel suo famosissimo
Salotto scrittrici e artiste da Caterina Percoto, novellista friulana molto
nota ed amata, a Emilia Viola Ferretti, meglio conosciuta come Emma, famosa per
i suoi studi su Goethe, Zola Flaubert e per questo una delle autrici più lette della
Nuova Antologia, alla Marchesa Colombi, alias Maria Antonietta Torriani, altra
autrice dell’Antologia e di numerosi romanzi “sold-out”, o ancora a Virginia Treves Tedeschi, ovvero
Cordelia, l’autrice di numerosi romanzi tra cui Il regno della donna, e
perfino a Matilde Serao che nel 1881 fu gradita ospite della contessa in
occasione della memorabile Esposizione Nazionale.
Non mancarono però anche cantanti celebri come Teresa Stolz, cantante lirica “verdiana”, o l’attrice Adelaide Tessero. Era sempre attenta poi e felice di poter mettere all’attenzione dei suoi ospiti e dei più grandi scrittori, nuovi talenti come quando, nel 1859, incoraggiò la “poetessa della rivoluzione”, Giannina Milli, ad improvvisare nel suo salotto, ricevendo applausi commossi che le valsero poi l’incontro, fortemente voluto, con il Manzoni organizzato dalla stessa contessa Chiara.
Non mancarono però anche cantanti celebri come Teresa Stolz, cantante lirica “verdiana”, o l’attrice Adelaide Tessero. Era sempre attenta poi e felice di poter mettere all’attenzione dei suoi ospiti e dei più grandi scrittori, nuovi talenti come quando, nel 1859, incoraggiò la “poetessa della rivoluzione”, Giannina Milli, ad improvvisare nel suo salotto, ricevendo applausi commossi che le valsero poi l’incontro, fortemente voluto, con il Manzoni organizzato dalla stessa contessa Chiara.
Era ancora la Signora Maffei
quando nel suo famoso ed ambito salotto entrò agli onori un giovane patriota
Carlo Tenca nel 1844, che diventerà il suo compagno di vita per molti lunghi
anni.
Appassionatasi alla causa
italiana, che la vedeva contrapposta alle idee filo asburgiche del marito, la
Contessa Chiara, dopo la separazione, tornata a Milano, vuole riprendere a dar
vita al suo salotto che diventerà da ora in avanti un punto di riferimento di
quelle personalità che faranno la Storia d’Italia, e la faranno anche grazie al
contributo di donne come Chiara Maffei che con la loro cultura seppero creare e
mettere a disposizioni di menti e animi elevati, luoghi adatti al loro incontro
ed espressione.
Così il suo salotto vide
personalità quali Manfredo Camperio,
Carlo Cattaneo, Emilio ed Enrico
Dandolo, Emilio Morosini, il Generale Carini, e ancora rappresentanti del
governo provvisorio come Cesare Correnti e Anselmo Guerrieri Gonzaga. Incontrò
anche il più noto e fervente, forse, patriota, l’inventore della “Giovine
Italia” quando il suo compagno, dopo le Cinque giornate di Milano, fu costretto
a riparare in Svizzera, lì Chiara volle incontrare il suo beniamino politico, Mazzini anche se poi non rimarranno
impressioni positive e il loro incontro non ne porterà di altri. In questa
occasione il suo Salotto divenne anche il luogo per raccogliere segretamente
sovvenzioni per far espatriare coloro che erano coinvolti con le Cinque
Giornate, nobili o meno che fossero.
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Tornata in città continuò però
il suo proselitismo “mazziniano” che vedeva crescere la presenza di noti
esponenti politici nel suo salotto che, di tanto in tanto, andava spostandosi
con l’abitazione di Chiara.
A mano a mano grazie anche alle nuove frequentazioni politiche, la stessa Chiara appoggiò una nuova visione politica che vedeva nei Savoia i giusti reggenti dell’Italia e dopo il 1859, divenne convinta savoiarda e accolse festosa quei francesi caritatevoli, Ernesto Legouvé, Enrico Martin che avevano riportato a Venezia le spoglie dell’eroe Daniele Manin in quella prima collaborazione tra francesi e “italiani”, così come il Capitano di Stato Maggiore Teodoro Joung, il Luogotenente Rayat, Emilio Saigey, non meno dei garibaldini Carlo Cristoforis, suo amico carissimo, o Giacomo Battaglia ma anche il conte ungherese, arruolato tra i garibaldini, Alessandro Teleki. Importanti saranno poi le presenza femminili in questa seconda “vita” salottiera che vedrà, ad esempio, la presenza anche di Cristina di Belgiojoso e della Marchesa D’Adda, Laura Scaccabarozzi Visconti- Venosta.
A mano a mano grazie anche alle nuove frequentazioni politiche, la stessa Chiara appoggiò una nuova visione politica che vedeva nei Savoia i giusti reggenti dell’Italia e dopo il 1859, divenne convinta savoiarda e accolse festosa quei francesi caritatevoli, Ernesto Legouvé, Enrico Martin che avevano riportato a Venezia le spoglie dell’eroe Daniele Manin in quella prima collaborazione tra francesi e “italiani”, così come il Capitano di Stato Maggiore Teodoro Joung, il Luogotenente Rayat, Emilio Saigey, non meno dei garibaldini Carlo Cristoforis, suo amico carissimo, o Giacomo Battaglia ma anche il conte ungherese, arruolato tra i garibaldini, Alessandro Teleki. Importanti saranno poi le presenza femminili in questa seconda “vita” salottiera che vedrà, ad esempio, la presenza anche di Cristina di Belgiojoso e della Marchesa D’Adda, Laura Scaccabarozzi Visconti- Venosta.
Come si presentava l'accogliente ed elegante salotto della Contessa. |
La sua opera più grande non la
si trova edita da qualche tipografo, chiusa in qualche biblioteca ma fu piuttosto
il suo sapere accogliere e creare un ambiente ideale all’incontro dei vari talenti
anche se dalle sue lettere si evince la natura di questa donna e si capisce
come sia riuscita ad affascinare e a tessere legami duraturi di stima ed
affetto con i più grandi della sua epoca: “...scrivete,
miei giovani: ve lo ripeto, scrivete. Ogni anno abbia i suoi studii, ogni
giorno la sua occupazione, ogni pensiero la sua meta. [...]”[4] o ancora: “lo spirito deve non solo studiare, ma anche
piacevolmente distrarsi per conservare quella specie di leggerezza che fa
accettare anche il parlare serio da tutti perché scevro da pedanteria (che
uccide qualunque influenza amabile) e forse utile sugli altri. Manzoni quanto
era piacevole anche quando diceva cose e pensieri sublimi!..La sua santa
altissima memoria è un precetto intellettuale e morale per l’anima mia; e quante
volte rimpiango che alcuni non l’abbiano avvicinato: avrebbero conosciuto il
vero spirito che crea e non distrugge, con l’essere serii ma con disinvoltura e
amabilità ed alla portata di tutti. L’ho sempre nell’anima quel santo grand’uomo!”[5]. E nelle epistole che scriverà soprattutto al nipote, Cesare,
ritroviamo i pensieri di una donna effettivamente di una tempra elevata, capace
di pensieri alti: “...Lasciati sempre dominare dalla responsabilità del tuo animo.
Moralmente, siamo quello che vogliamo essere. Non bisogna abbandonarsi al caso,
ma tener la via retta e illuminata”.[6]
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Amava la natura e rifugiarsi
nella sua tenuta a Clusone
dove pure la seguivano i suoi amici, parenti ed intellettuali “La
vita che qui conduco è proprio deliziosa. La passo fra il sole ed i fiori: m’occupo
della casa che m’è tanto simpatica; dei miei lavori, della lettura, de’ miei scolari, amici, conoscenti; de’ miei
poverelli che mi danno gioja immensa
e mi fanno assai più bene ch’ io non possa farne ad essi. Dichiaro che nessuna
visita mi fa tanto bene quanto quella a’ miei poverelli. Queste mi riposano,
quelle altre mi stancano. Sono un originale forse; ma sento così”[7] .
Morirà nel 1886, il 13 Luglio, di meningite a Milano e sarà seppellita con i
più grandi nel Cimitero Monumentale di Milano seppur volle un funerale semplice
e lasciò una ingente somma per l’asilo di carità per l’infanzia creato nella
sua amatissima dimora di Clusone, con la preghiera: “Lascio alla maestra che custodirà l’asilo a Clusone la preghiera d’amare
quelle povere creaturine e crescerle nella fede di Dio, nell’amore del bene”[8].
Sempre attenta ai suoi ospiti,
delicata e intelligente sarà sempre ricordata per i suoi modi raffinati e
colti, per gli spunti che seppe dare ai più importanti artisti ed intellettuali
della sua epoca e per il suo ruolo fondamentale quale catalizzatrice di vita
colta, riformata, a volte anti conformista ma sempre libera da ogni pregiudizio
che nulla aveva a che fare con la cultura e l’intelletto: “Io volli almeno acquistare la completa indipendenza delle mie azioni e
del mio vivere, e potermi dire: ‘io appartengo a me medesima, e solo io voglio
essere giudice del mio operare’. E vinsi, almeno, la schiavitù delle cose
convenzionali. E’ a duro prezzo ch’io
acquistai tale libertà; pure è qualche cosa anch’essa quando non si vuole
usarla che pel bene”.[9]
E proprio l’autore de “Il salotto della Contessa Maffei”, amico
intimo di Chiara, conclude il libro con un commuovente ricordo, il suo: “ A noi pareva che una parte della nostra vita
disparisse con quella creatura, la quale, indovinando spesso gli altri dolori,
li consolava con parole profonde; e che tanto aveva amato la patria e onorato i
forti caratteri e i forti ingegni, facendo rifiorire nelle sue affollate
adunanze l’antica ospitalità e gentilezza italiana; primo suo merito codesto,
sua splendida corona. Tramontava con lei una cara luce. Ma il ricordo della sua
bontà dura tuttavia, come il profumo d’un lento, ricco convoglio di fiori che
sia appena passato”[10].
Ho sempre subito il fascino dei salotti ottocenteschi e della loro miscela di letteratura e politica. Grazie al tuo post ho potuto sostare per un po’ in quello, a me finora sconosciuto, della contessa Maffei.
RispondiEliminaHai ragione hanno un fascino particolare, sarebbe stato davvero memorabile poterci andare anche una sola volta.
EliminaSempre interessante scoprire nuove storie di grandi donne della nostra storia, che sono riuscite a lasciare un segno, magari anche dal salotto di casa! Può essere un'idea, visti i tempi in cui viviamo...
RispondiEliminaAh ah certo, di questi tempi è un esempio una volta di più!
EliminaTu hai la capacità di invitare le persone dentro una storia e fare in modo che poi si sentano parte di essa. Grazie davvero!
RispondiEliminaGrazie a te per queste splendide parole. Ricompensano la fatica e la costanza ❤️
EliminaLa storia è costellata di donne che ne hanno modificato il corso o hanno evitato guerre e colpi di stato. Sono sempre figure schive, spesso nascoste dietro uomini potenti. Anche oggi sono spesso le donne che gestiscono interi stati o comunque muovono i fili di interi partiti politici. Ora sono più esposte, ma hanno avuto sempre un grande peso. Non conoscevo questa contessa, ma non mi sorprende, che abbia gestito eventi e situazioni muovendo solo il cucchiano del tè. Non serve forza ma intelligenza.
RispondiEliminaSì e grande cultura. La Contessa aveva anche grandi doti umane e d'animo, davvero raro.
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