martedì 8 novembre 2022

La rete non ci salverà - Lilia Giugni. Longanesi.







La rete non ci salverà - Lilia Giugni. Longanesi.  Lilia Giugni in questo libro riesce a farci vedere una rete invisibile, non solo la rete che da decenni ci muove su internet ma quella rete invisibile che condiziona le nostre vite, soprattutto quelle delle donne e delle minoranze grazie all’approccio intersezionale che permea l’analisi. Riusciamo quindi a vedere mano a mano che proseguiamo nella lettura come la tecnologia che pensiamo di usare in realtà ci usi e non solo per quanto riguarda i dati personali o sensibili. Scopriamo infatti che c’è un rovescio dello schermo, un mondo che sfrutta, maltratta e violenta le donne che coinvolge l’intera catena di creazione, produzione e uso delle tecnologie che invece spesso diamo per neutre. Il problema, ci ammonisce più volte l’autrice, certamente non sono le tecnologie ma come esse sono concepite ed usate ma in una società patriarcale, capitalista e misogina non possiamo non evidenziarne l’ineguaglianza e lo sfruttamento ai danni delle donne che ne deriva.

Post sulle Donne indigene
La rete di tecnologie infatti non fa che amplificare con il suo potere di divulgazione ingiustizie e stereotipi di genere quando invece piuttosto siamo indotte a pensare che queste siano infallibili ed affidabili. Come per ogni settore il problema è che ci sono poche donne al vertice che coincide con il controllo; aspetto che è trasversale a molti settori non è un caso ad esempio se quando ci si è posto a livello internazionale il problema delle minoranze indigene, le donne non sono state interpellate e hanno ritenuto di doversi organizzare tra loro a livello internazionale.

Con questa opera l’autrice auspica di mettere noi donne di fronte alla realtà per rimboccarci le maniche ed agire su un sistema che va conosciuto per difenderci e soprattutto cambiarlo, così come Germaine Greer ci invitava a “voltarci e combattere”.

Accettiamo quindi la sfida che si rinnova con questa opera potente.

Le testimonianze e le storie di tante donne, italiane ed estere, bianche e non, lavoratici e non, ricostruiscono vivamente ai nostri occhi questa rete che il filosofo settecentesco invitava a squarciare per liberare la condizione delle donne da questi fili che ne pregiudicavano e guidavano le esistenze, anche noi ora pienamente coscienti possiamo iniziare a tirare i fili affinché  si dissolva la trama sottile che imprigiona le donne nelle nuove tecnologie. Da condizioni di lavoro sottopagato, dal lavoro in miniera per le materie prime necessarie all’assemblaggio e produzione degli strumenti che quotidianamente usiamo, alla violenza a cui sono sottoposte coloro che moderano i contenuti violenti dei social, che sono per la maggior parte donne. Così come giovani che loro malgrado ritrovano la loro vita privata su internet come il drammatico esempio di Tiziana Cantone, tutte donne a cui è dedicato il libro.

Ma ci sono anche i famosi algoritmi tramite i quali, senza rendercene conto, solo per il fatto di essere donne possiamo essere escluse o meno da posti di lavoro o da concessioni di mutui: “La transazione digitale ha portato con sé anche ingiustizie più sottili e incastonate nelle tecnologie d’avangaurdia”[1] , ingiustizie che inconsapevolmente contribuiamo a riproporre e diffondere anche solo usando, creando contenuti, mantenendo attive queste tecnologie. Siamo tutte ‘casalinghe digitali’[2]. L’autrice riesce bene a mettere in evidenza come questo circolo vizioso da ‘macchina  dalle uova d’oro’ ha ‘trasformato gradualmente ma inesorabilmente ogni aspetto della vita umana in risorsa economica, solitamente senza il nostro consenso’[3].

Come ci indica l’autrice c’è un filo invisibile che passa dalle risorse naturali che servono a far funzionare i nostri dispositivi high tech a chi nelle fabbriche li assembla fino a chi ci incappa involontariamente (si vedano i vari episodi di chi si è ritrovata su Hub-porn) perché come ci fa riflettere l’autrice questo mondo spesso ritenuto immateriale invece un riflesso materiale ce l’ha e guarda caso è a spese delle donne.

Un riflesso che non manca di toccare vari livelli come il digital gender gap o anche il linguaggio di genere. Esemplare è l’esempio che ci fornisce il maggior motore di ricerca online su cui se si digita la parola ‘donna’ si visualizzano quelli ritenuti sinonimi come capra, bagascia e via discorrendo. Mi viene in mente a questo proposito lo scandalo legato alla Treccani e al suo sito sul quale si presentava un uguale problema e a cui uomini e donne illustri cercarono di porre rimedio con una lettera aperta all’Istituzione della lingua italiana e firmata tra le altre da Laura Boldrini, Murgia, Imma Battaglia, Alessandra Kustermann e l’allora vice direttrice generale della Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli. Ad oggi Treccani però non ha modificato la voce anzi ha aggiunto semplicemente un’avvertenza finale con la quale sostanzialmente non ritiene di apportare cambiamenti poiché l’Istituto si limita a registrare queste espressioni per quanto ne riconosca il simbolismo misogino frutto di una società plurisecolare maschilista che è penetrata nel senso comune della concezione della donna.
Link al post sulla Tesi di Laurea
sul Linguaggio di genere
Come d’altronde scordarsi dello scandalo tutto inglese ma contiguo  nella sostanza a quello italiano appena descritto  e cioè quello del Vocabolario Oxford costretto, questo sì, a cambiare la voce misogina grazie alla segnalazione e intraprendenza dell’industriale italiana Maria Grazia Giovanardi. Mi ricordo inoltre di una tesi di laurea americana che metteva in luce quanto in alcuni settori, ritenuti prettamente maschili, le donne fossero concepite e quindi descritte, dai documenti ufficiali alle chat aziendali, con quella scarsa considerazione che abbiamo visto fino ad ora. 

Ma Lilia Giugni ci dà anche dei rimedi per  non cadere nella rete e anzi rialzarci e diventare attrici attive affinché qualcosa, molto, cambi.

Se per secoli si è attribuito alle donne la capacità di tessere  tele nelle quali catturare gli uomini, si pensi solo alle opere di Bouchet o di Aylic Langle[4]  a noi piace invece, alla luce della lettura de La rete non ci salverà di Lilia Giugni, pensare a l’unica filosofa e scrittrice che nel Seicento rivoltò questo simbolo contro le donne in positivo per reclamare la naturalezza del suo pensiero creativo, scardinando e rivoluzionando le regole intellettuali e sociali con il concetto di trama e scrittura: Margaret Cavendish. Così anche noi seguendo i consigli di Lilia Giugni potremo essere  novelle Cavendish ognuna con il proprio contributo che, goccia nel mare, anche questo piccolo blog cerca di fare da decenni.

 



[1] Lilia Giugni, La rete non ci salverà, Milano, Longanesi, pag. 51.

[2] Ivi, pag. 139.

[3] Ivi, pag. 118.

[4] A. Buchet, Les femmes qui savent souffrir avec une introduction sur les femmes dans la societè chrétienne: Une toile d’aragnée, Paris, 1862. E  Aylic Langle, La tolie d’aragnée, Paris, 1864.










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