Il Global Gender Gap e il mito dei Paesi Nordici
di Francesca Vitelli
Presidente di EnterprisinGirls, Associazione nazionale di imprenditrici e libere professioniste
L’ Islanda va alle urne e - per una manciata di ore - sembra
che il numero delle elette superi quello degli eletti, poi il riconteggio dei
voti ridimensiona il numero e le donne elette tornano ad essere meno degli
uomini, di poco, lo stacco è minimo. Ma se i risultati avessero mostrato una
maggioranza di donne elette cosa sarebbe cambiato? Il Global Gender Gap
elaborato dal World Economic Forum vede, nel 2021, al primo posto l'Islanda
seguita dalla Finlandia. Per trovare l'Italia bisogna far precipitare il cursore
lungo la colonna giù fino al 63simo posto. Il mito dei Paesi nordici lo abbiamo
coltivato leggendo - negli anni - le statistiche, era un po’ come lo scudetto
del campionato calcistico, si sapeva già chi lo avrebbe vinto, se la battevano
in pochi. Fondamentale è partire da un
assunto: il Global Gender Gap si propone di stilare una classifica dei Paesi in
base alla parità di condizione tra gli uomini e le donne e non di porre in cima
quelli in cui le donne vivono meglio. Sembra scontato, basta leggere dice
qualcuno, ma non lo è, ribadirlo aiuta a focalizzare l’argomento. Altrettanto
importante è tener presente che stiamo leggendo una elaborazione basata su dati
forniti dai singoli Stati che scelgono i loro set di indicatori, le modalità di
rilevazione, di trattamento e di analisi dei dati, le fondamenta della
costruzione sono, pertanto, poggiate su un terreno scivoloso perché eterogeneo.
Il sistema, inoltre, è regolato dall’attribuzione di punteggi che risulta
penalizzante per alcune nazioni, è il caso dell’Italia dove il maggior numero
di ragazze laureate - in tempi brevi e con ottimi risultati – non può spostare
la bilancia più di un tot facendo da contrappeso alla scarsa presenza di donne
in ruoli istituzionali.
Il terreno scelto dal
World Economic Forum è suddiviso
in aree di indagine chiamate dimensioni latenti composte da indicatori
elementari. Le dimensioni latenti sono: partecipazione e opportunità
economiche, educazione – nel senso inglese del termine quindi istruzione,
salute e presenza nell’agone politico. È tanto evidente, a guardar bene, la
scivolosità, che simulando un ricalcolo che tenga presente alcune delle eterogeneità
il risultato scompiglia la classifica. I numeri, le statistiche, vanno
interpretate e la ricerca sul campo - arricchita dal confronto con i soggetti
che vi operano - aiuta a comprendere. In Islanda e Finlandia c'è il maggior
numero di donne elette e questo le fa svettare in cima però... però vanno
considerati altri indicatori - come i contratti di lavoro atipici e il ricorso
al part time, i percorsi e le progressioni di carriera, i casi di violenza
domestica, la presenza di migranti - e non bisogna dimenticare la ponderazione
rispetto alla popolazione. Già la popolazione, l’Islanda ha 369.000 abitanti,
la Finlandia 5.538.000
e l’Italia 59.258.000
Di ritorno da un seminario tenutosi ad Helsinki, nell’ambito di un progetto
Erasmus sullo scambio di buone prassi in materia di parità di genere, una
domanda mi si è parata innanzi: data l'alta percentuale di donne che ricoprono
ruoli istituzionali e la contenuta numerosità della popolazione non dovremmo, in
Finlandia, aspettarci una maggior capacità di incisività da parte delle donne
nelle politica? Non dovremmo trovarci di fronte a un mercato del lavoro
caratterizzato da minor segregazione - verticale e orizzontale - femminile?
Se hai la possibilità di scendere in campo ad
osservare, ascoltare, intervistare e approfondire puoi scoprire dinamiche,
caratteristiche e monoliticità che aiutano a comprendere. Incontrare alcune
delle attrici istituzionali - e non - dell’ambito del mercato del lavoro,
dell’associazionismo, del supporto ai migranti, dell’assistenza alle vittime di
violenza domestica di Finlandia, Italia, Francia, Romania e Olanda ha
significato aggiungere una lente attraverso la quale guardare al campionato del
Global Gender Gap, campionato che ha l’indubbio merito di aver posto sul tavolo
la parità di genere intesa come driver di sviluppo. Non è cosa da donne, è roba
economica. Parlarne significa ragionare su punti di PIL.
Ho deciso, perciò,
nelle mie giornate finlandesi di tracciare un ideale perimetro dato dal
rapporto tra l’estensione territoriale
e la popolosità entro il quale considerare variabili chiave come la
legislazione vigente nei settori d’interesse, il livello di infrastrutturazione
del territorio, la natura e la misura dello sviluppo delle aree metropolitane e
di quelle periferiche, la tipologia di servizi sociali, la presenza di soggetti
del Terzo settore, la mobilità sociale e il/i modello culturale prevalente di
riferimento.
Allontanando il punto d’osservazione, inserendo una lente altra di
lettura e ascoltando le esperienze concrete la fotografia è cambiata, la
classifica si è rimescolata e se non vinciamo la coppa, per quanto mi riguarda,
non meritiamo neanche il 63esimo posto. Questo non vuol dire che in Italia
abbiamo raggiunto la parità di genere, il traguardo rimane lontano, ma ci sono
aspetti sui quali non siamo così indietro come si potrebbe pensare guardando la
classifica. Penso, ad esempio, all’obbligo dell’adozione del bilancio di genere,
alla vivacità del dibattito sul linguaggio di genere, al proliferare di
iniziative e la nascita di comitati, associazioni e organismi informali che
approfondiscono e divulgano aspetti legati al dibattito di genere e alla
collettiva, meticolosa, attenta opera di “scavo” che scrittrici, giornaliste,
ricercatrici e cultrici della materia stanno compiendo per riportare alla luce
la vita e la storia di donne sepolte sotto la polvere dei secoli. Scienziate,
musiciste, compositrici, pittrici, scultrici, danzatrici, atlete, architette,
poete, scrittrici, drammaturghe, giornaliste, esploratrici, botaniche, inventrici,
attiviste politiche, amministratrici della giustizia, filosofe, astronome,
matematiche, guerriere e donne che - in ogni ambito e settore - hanno compiuto
scelte coraggiose e contro corrente sostenute dalla tenacia e la determinazione
stanno emergendo dall’oblio in cui erano state relegate. C’è una pattuglia di
donne competenti che impegna tempo, energia e risorse per restituire memoria e
dignità ad altre donne. A questo pensavo quando in aereo ritornavo dal Nord
Europa. Abbiamo molto lavoro da fare ma tante sono le persone, le idee e i
progetti in movimento. La parità di genere è un percorso da fare insieme con
tutte/i coloro che vogliono partecipare a un processo di cambiamento culturale,
un processo dinamico che richiede tempo, pazienza, costanza, competenza,
passione e concretezza.
COPYRIGHT dei contenuti dove non diversamente specificato
Beh, mi rassicura sapere che non siamo al 63 posto ma un poco più su...
RispondiEliminaIn effetti ci buttiamo forse troppo giù!
Elimina