martedì 14 febbraio 2017

Le donne nella Grande Guerra


Operaia britannica a lavoro in una fabbrica
 durante la Grande Guerra.
fonte: Wikipedia


La scorsa settimana si è svolta alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma la presentazione di due volumi che riguardano la presenza delle donne nella Guerra: “La Grande Guerra delle italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni” a cura di Stefania Bartoloni* e il numero monografico di ‘Genesis’  XV/1, 2016, la rivista della Società Italiana delle Storiche, SIS, curata da Roberto Bianchi* e Monica Pacini*: “Donne ‘comuni’ nell’Europa della Grande Guerra”. 

All’incontro sono intervenute le storiche Marina d’Amelia**, Alessandra Staderini** ed Emilio Franzina**, coordinati da Rosanna De Longis**.

Entrambi i libri ci ridanno la differente natura dell’impegno bellico femminile rispetto a quello internazionale, soprattutto inglese; una differenza che rispecchia la diversa organizzazione sociale che in Italia vedeva le donne  nettamente subordinate agli uomini a differenza invece della situazione degli altri paesi europei come ad esempio l’Inghilterra. A queste differenze si devono le diverse conseguenze che ebbe il dopoguerra sulla condizione femminile che se fu propulsivo per le società già più inclusive, fu nullo o quasi in quella italiana in cui ad esempio le donne ‘comuni’: “In Italia a differenza che in altri paesi, le donne  comuni non sono in condizioni di fare di più che estendere alla sfera pubblica mansioni di cura[1]. E proprio l’aspetto di assistenza nel cause- study italiano è quello che più emerge nei saggi.

Spesso la maggior parte delle italiane, il ceto umile contadino e urbano, non si schiera a favore della Guerra con quelle èlite interventiste che invece rappresentano nel nostro paese l’associazionismo femminile, da Teresa Labriola, nazionalista, Beatrice Sacchi, maziniana, Margherita Sarfatti, socialista…, che arriveranno a propagandare, almeno in un primo momento, l’intervento armato suscitando il disprezzo delle suffragette inglesi, come chiaramente si ritrova in “La Grande Guerra delle italiane” in cui le attiviste inglesi usano parole mortificanti verso le femministe italiane, lasciate sole alla manifestazione davanti al Milite Ignoto a cui erano state invitate. Insomma una “sorellanza” difficile e controversa le cui difficoltà si evidenzieranno anche oltre il periodo bellico come sottolineato da D’Amelia nel suo intervento[2].

Margherita Sarfatti
fonte: Wikipedia
La Guerra quindi, si chiede Staderini, è stata un’opportunità di emancipazione per le donne? Come visto l’esperienza femminile nella Guerra si concretizza, in questi volumi, in un atto per lo più di cura ed assistenza che perderà d’importanza nel dopoguerra ma, secondo la storica, è proprio in questo momento che cambia comunque la società mentre a livello storiografico il salto di qualità è stato fatto con l’interessamento degli storici a queste tematiche. Come ricordano gli stessi curatori dell’opera  a questa domanda che per lungo tempo è stata affrontata in Italia e anche all’estero, si è risposto con la consapevolezza che è “caduta ogni illusione di giungere a una conclusione univoca”, l’unica realtà nel rapporto guerra-emancipazione è la ricchezza di nuovi punti di vista che l’elemento di genere introduce nella ricerca storica (visione sociale, culturale,…), (classi di età, classe sociale,…)[3]. Questo viene altrettanto sottolineato anche nell’introduzione de “La Grande Guerra delle italiane” dalla curatrice Stefania Bartoloni “Negli ultimi anni il rapporto tra le donne e il conflitto mondiale sembra divenuto più articolato. La prospettiva offerta dalla storia delle donne e di genere ha accresciuto la storia della Grande Guerra”.[4] In effetti il volume da lei curato affronta in modo comparativo da una parte la posizione delle pacifiste, soprattutto straniere, dall’altra delle interventiste italiane che in nome di un’unità nazionale, di un sentire comune spinsero per la resistenza belligerante con la speranza anche di una ricompensa sociale che tardò ad arrivare ed infine l’ultima parte del volume che affronta proprio gli effetti postumi della partecipazione femminile alla guerra nella società post-bellica.

Secondo Franzina ci sono ancora poche testimonianze di donne dopo la guerra un po’ per ragioni editoriali, sostanzialmente per la mancanza di un pubblico interessato, ma soprattutto perché per la maggior parte delle donne dell’epoca l’istruzione e quindi la capacità di trasporre in diari la propria esperienza era una abilità ancora per poche. Rimane così in ombra quindi proprio quella storia comune del femminile che andrebbe recuperata ma che per la mancanza di fonti è di difficile investigazione. In questa chiave di straordinarietà si inserisce il saggio in francese di Christine Daringe sul rapporto epistolare intercorso in una famiglia di contadini francesi durante la guerra tra moglie e marito, divenuto un prigioniero. Un’esperienza fattuale ritenuta, da tutti gli storici intervenuti, di difficile riproduzione nella storiografia italiana per le serie difficoltà di reperimento di fonti simili; difficoltà dovuta alle condizioni in cui da una parte erano i detenuti di guerra italiani e dall’altra quelle in cui versavano le famiglie contadine che non favorivano di certo scambi epistolari in una situazione complessiva già molto difficile.

Sita Meyer Campiero,
una delle fondatrici delle infermiere volontarie
 della CRI.
Fonte: Bibliografia
Possiamo concludere con l’auspicio e l’invito che i curatori delle due opere, Roberto Bianchi e Monica Pacini per “Donne ‘comuni’ nell’Europa della Grande Guerra”e Stefania Bartoloni per “La Grande Guerra delle italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni”, fanno a conclusione delle rispettive introduzioni. Un’esortazione non solo a studiare ad un livello verticale le relazioni sociali tra i vertici e il popolo (le élite e masse femminili) ma anche ad approfondire le relazioni interne ai gruppi (sociali, generazionali, …), così quelle tra i gruppi femminili/ femministi e la politica, l’esercito, le istituzioni dell’epoca per recuperare la più ampia prospettiva dei fatti nella Guerra e nelle sue conseguenze.  





[1] A. Molinari, “Donne sospese tra pace e guerra”, in “Donne comuni dell’Europa della Grande Guerra”, Roma, Ed. Viella, 2016, pag. 64.
[2] Si veda nello specifico il saggio di Ingrid Sharp “Una difficile ‘sorellanza’ L’internazionalismo come sfida e impegno (1914-1924), contenuto in “La Grande Guerra delle Italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni”, a cura di Stefania Bartoloni, Roma,  Ed. Viella Libreria Editrice, 2016.
[3] R. Bianchi “Donne ‘comuni’ nell’Europa della Grande Guerra. Saggio Introduttivo”, in “Donne ‘comuni’, Op. Cit., pag. 12.
[4] S. Bartoloni, “Introduzione” in “La Grande Guerra delle Italiane”, Op. Cit.


Testi:

- "Donne 'comuni' nell'Europa della Grande Guerra", a cura di Roberto Bianchi e Monica Pacini, Roma, Viella, 2016.
- "La Grande Guerra delle Italiane. Mobilitazioni, diritti, trasformazioni", a cura di Stefania Bartoloni, Roma, Viella, 2016.

*I Curatori:

Stefania Bartoloni insegna Storia Contemporanea all'Università di Roma Tre.
Roberto Bianchi insegna Storia Contemporanea all'Università di Firenze.
Monica Pacini insegna Storia Contemporanea all'Università di Firenze.


**I Presentatori:

Marina D'Amelia ha insegnato Storia Moderna all'Università Sapienza di Roma.
Alessandra Staderini ha insegnato Storia Contemporanea all'Università di Firenze
Emilio Franzina insegna Storia Contemporanea all'Università di Verona

Rosanna De Logis ha diretto la Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea di Roma



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