venerdì 4 aprile 2014

Jeanne Desirée, la femminista ricamatrice utopica



Almanacco del 04 Aprile:


Il Primo Numero del giornale fondato da Jeanne Desirée nel 1832.




Ci troviamo in Francia, dove è da poco terminata l’esperienza rivoluzionaria che ha visto il sacrificio di una donna, tra molte, che voleva “solo essere qualcuno” e che tuttavia nonostante la sua coraggiosa morte, non è riuscita a portare quell’uguaglianza tra i sessi, quell’ egalité tanto acclamata dalla Rivoluzione, così Jeanne Desirée, anch’essa figlia della Rivoluzione si trova ereditiera di una società affatto cambiata per le donne, e si vede quindi raccogliere la sfida “de-gougesniana” con un nuovo vigore.

Jeanne Desirée nasce a Parigi il 04 Aprile 1810 da un umile famiglia di operai e lei stessa è ricamatrice, affiancherà la sua esistenza da lavoratrice ad una militanza femminista.
Accostatasi alle idee saintsimoniane, e dopo un periodo di lavoro a Londra dove conoscerà la dottrina di Owen e quello che diventerà suo marito, Julles Gay, tornata in Francia e poi in seguito proprio a Parigi, decide insieme ad una collaboratrice, Marie-Reine Guindorf, di fondare il primo giornale femminista “La Femme libre” formato e diretto da sole donne.

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 Esaltante è la premessa del primo numero, uscito nel 1832: “ Nel momento in cui tutti I popoli si agitano in nome della Libertà, e che il proletariato reclama il suo affrancamento, noi,donne, resteremo,  passive davanti questo grande movimento d’emancipazione sociale che si svolge sotto i nostri occhi. La nostra sorte è così felice che non abbiamo nulla da reclamare? La donna, fin’ora, è stata sfruttata, tirannizzata. Questo sfruttamento, questa dittatura deve cessare. Noi nasciamo libere come gli uomini e  la metà del genere umano non può, senza commettere ingiustizia, asservire l’altra.
Conosciamo dunque i nostri diritti. Comprendiamo la nostra potenza.”[1]
E’ necessario quindi “Alzate la voce, reclamiamo il nostro posto nella città, nel tempo nuovo che riconosce alla donna dei diritti paritari all’uomo”.[2]
E conscia, forse anche dell’esempio della De Gouges, che non si può agire da sole come corpi singoli ma ci vuole unità d’intenti ma anche d’azione al di là anche di quella classe sociale ancora troppo preminente “[...] Noi non possiamo ottenerlo se non alla condizione di unirci in un solo fascio, non formiamo più due campi separati quello delle donne del popolo e quello delle donne privilegiate poiché il nostro interesse ci unisce.[3] E quale è quindi questo grande interesse comune che va al di là di ogni singola comodità, di ogni singolo interesse, quell’obiettivo più grande di ogni individualità, un bene superiore di quelli che la Rivoluzione stessa si prefiggeva ma che è ancora ben lontano soprattutto per le donne, la libertà innanzitutto, sinonimo di uguaglianza, ideali grandi che sono indispensabili però alla vita dell’individuo: “Libertà, uguaglianza, ...vale a dire libera e uguale possibilità di sviluppo delle nostre facoltà, voilà la nostra conquista, quella che dobbiamo fare[4].

Se è vero che come ci sprona all’inizio nell’appello dobbiamo conoscere la nostra potenza, e i nostri diritti ecco che comincia a introdurceli, piano piano ma con una forza comunque dirompente, la società è cambiata, non siamo più in quella che Hobbes chiama “Homo homini lupus” o meglio la meno nota “Homo moglieribus lupus” e quindi non ha più quel ruolo di difensore femminile, la società ormai è una società dell’intelletto, e ce lo dice in maniera molto chiara e diretta “ora che è ben noto che il potere brutale è scomparso per essere rimpiazzato dal potere morale, è utile che noi prendiamo di conseguenza, di diritto il posto che occupiamo nei fatti. La protezione dell’uomo non è più che una vana parola[5]; poiché ancora evidentemente è vivida e sanguinante la ferita di quelle vite di donna spezzate dalla ghigliottina, non parla di nomi, non le nomina ma chiaro è, ancora uan volta, il suo messaggio, e il suo ringraziamento a quelle donne che sono perite sotto il mero arbitrio maschile, colpevole di tanta violenza che li rende vili da una parte ma dall’altra evidenzia invece, proprio come nel più classico modello di carnefice e vittima, l’aulicità delle loro morti “Gloria alle donne che, [...], hanno sacrificato ad una nobile  fierezza, i battiti di un cuore che non poteva essere compreso da un mondo che si gioca della virtù più vera, e che la relega nella fredda riserva e nella mollezza dell’uniformità. Esse hanno conservato questa dignità, risultato di una soddisfazione della coscienza che deriva dal sentimento di aver portato a termine un dovere. Esse hanno sugli uomini questo ascendente che pretende rispetto, e che, fa loro conoscere la superiorità della nostra morte[6]  . 

Si scaglia netta contro il servilismo del corpo femminile, la prostituzione è un orrore, di cui tutte le donne, le cattoliche per prime, si devono rendere conto, le donne, tutte trasversalmente, devono capire di essere un tutto unico e che insieme, tutte, si deve lottare per l’affrancamento della posizione di ciascuna, “la comunità femminile è lì dove è una parte di esse che sono una proprietà utile al piacere degli uomini, e sulla quale lo Stato preleva un’imposta, e autorizza, con spostamenti di denaro, questo traffico oltraggioso, che cede la più bella a chi offre di più.”[7]

Dal quinto numero si leggerà sul frontespizio del giornale “libertà per le donne, libertà per il popolo per una nuova organizzazione familiare e industriale” così seguono proprio articoli su come, secondo Desirée, si dovrebbe organizzare la società innanzitutto si richiama, da buona seguace saintsimoniana, appunto all’ideatore di questa filosofia che raccoglie l’eredità rivoluzionaria anche se finisce per coinvolgere una élite ma che sarà comunque pregnante per lo sviluppo di idee moderne che saranno alla base anche dello sviluppo industriale, e qui subentra l’altro ispiratore Fourier che con le sue teorie “rendendo l’industria attraente, impiega gli individui con le loro passioni che, nell’ordine sociale diventano un mezzo potente per l’ abbellimento del globo e la ricchezza del genere umano[8]. Ma c’è chi la critica per aver apertamente fatto riferimento al capo della “setta”, non tutte le donne si ritrovano in questo capo, ognuna ha una sua religione, cattolica per lo più, ma lei risponde così: “Se volete relegarmi ad un nome, sarà certamente il loro che prenderò” ma, specifica e avverte, “ma sento di avere un’opera diversa da compiere. Per me tutte le questioni sociali dipendono dalla libertà delle donne, che le risolverà tutte. E’ quindi verso questo scopo che tenderanno tutti i miei sforzi, è alla felicità delle donne nuove che rapporterò tutto quello che farò per la nostra emancipazione: la causa delle donne è universale, e non è affatto solo saintsimoniana[9].

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Dopo la nascita del suo primo figlio, tenta di aprire una scuola per bambini a cui dare un’educazione fin dalla nascita ma il tentativo fallisce per mancanza di fondi.
 
"Campagna presidenziale del 1848".
Nel frattempo la situazione politica francese è in continuo mutare, con la Rivoluzione del 1848, Desirée esce allo scoperto ancor di più e prende posizioni pubbliche appellandosi direttamente al governo provvisorio sollevando problematiche per migliorare la condizione delle lavoratrici e per la sovvenzione finanziaria di ristoranti e stirerie, occupazioni specificatamente femminili, che avrebbero reso quindi più facile alle donne avere una loro indipendenza economica. Grazie al suo impegno viene eletta, per il secondo arrondissement, Delegata alla Commissione del Lavoro che ha sede al Palazzo del Lussemburgo, proprio quello stesso palazzo che pochi anni prima aveva visto  prigioniera un'altra donna che durante la Rivoluzione aveva lottato per i diritti delle donne, Claire Lecombe.
Diviene anche capo della divisione Fontane, nell’ambito degli ateliers Nazionali creati dal governo per creare lavoro ai disoccupati, anche se gli ateliers vengono aperti solo alle donne che lavorano nel tessile e riescono a garantire loro una paga misera. Nel frattempo Desirée continua però anche il suo impegno editoriale collaborando con la rivista “La Voce delle Donne” che riesce ad uscire sperò solo per qualche mese, quindi Desirée forte della sua prima esperienza con la “Libertà della donna”, fonda ancora una volta il giornale “La politica delle Donne” che ha vita brevissima, solo due numeri, e che viene sostituita dal giornale “L’Opinione delle Donne”. Decide allora di fondare con, Jeanne Deroin, la fondatrice del giornale La Voce delle Donne, un’associazione di mutuo soccorso per le donne che riceverà dall’Assemblea Nazionale un cospicuo fondo ma che nonostante questo non vedrà più il coinvolgimento di Desirée che preferirà ritirarsi e riprendere il suo lavoro da cucitrice.
 

Finisce nel 1849 il coinvolgimento militante di Jeanne Desirée Véret Gay, che da ora in avanti si dedicherà esclusivamente al suo lavoro e fonderà una merceria i cui lavori saranno apprezzatissimi all’Esposizione Universale del 1855 proprio a Parigi, dove i suoi manufatti saranno premiati.

La situazione però si complica quando suo marito a causa della censura, vede messo in pericolo il suo lavoro di tipografo ed editore e quindi la famiglia decide di spostarsi in Belgio, a Bruxelles nel 1865, dove partecipano alla I Internazionale Socialista, che vede Desirée ancora una volta, nonostante la sua decisione passata, in prima fila, diventando nel 1866 Presidente della Sezione Femminile.
Sempre attenta all’emancipazione femminile, che caratterizzerà comunque anche gli ultimi anni della sua vita nonostante si fosse ufficialmente ritirata dalla “lotta” in prima linea, nel 1868, scrive e pubblica il libro, indirizzato alle donne: “Educazione razionale della prima infanzia”, un manuale per giovani madri.

Dopo un breve trasferimento a Ginevra e a Torino, torna stabilmente a Bruxelles, dove Jeanne Desirée subirà pesanti perdite, prima il marito nel 1883, e poi anche i due figli, divenuta cieca, morirà presumibilmente nel 1891.


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[1]Apostolat des Femmes”, Numero 1, dall’Appello alle donne, pag.1.
[2] Ibidem.
[3] Ivi, pag. 3
[4] Ibidem.
[5] Ivi, pag. 4.
[6] Ivi, pag. 5.
[7] Numero 3, pag. 2.
[8] Numero 5,  pag. 39.
[9] Numero 6,  pag. 69.

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