Continua la pubblicazione della ricerca con cui nel 2007 ho ricostruito sinteticamente la nascita e lo sviluppo del fenomeno della violenza maschile sulle donne per la comunità internazionale fino alla recezione nel nostro paese e in Spagna. In questa terza parte il Consiglio d'Europa affronta la questione della violenza sulle donne.
...Buona lettura
Dalla
Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di
Silvia Palandri
Il Consiglio
d’Europa
La Raccomandazione
Rec (2002)5 del Consiglio d’Europa (C.d.E.) rappresenta l’impegno
più importante che questo organismo ha preso nei confronti del
fenomeno della “violenza contro le donne”; in questo documento,
che riguarda la protezione delle donne contro la violenza, si delinea
un approccio globale al problema.
Le attività di
monitoraggio dell’attuazione di questa Raccomandazione nei diversi
Stati membri hanno messo in evidenza quanto la violenza contro le
donne, nelle sue diverse forme, è ancora largamente diffusa in tutti
i paesi europeii.
Il C.d.E. quindi ne auspica l’eliminazione
anche per l’enorme ‘costo’ che questa rappresenta per le
società, poiché la violenza di genere non riguarda solo le vittime,
ma anche la società nel suo insiemeii.
Il C.d.E. arriva a stimare una spesa media compresa tra i 20 ed i 60
euro per abitante (Se prendessimo, ad esempio, un paese di soli dieci
milioni di abitanti avremmo un costo sociale elevatissimo), da cui si
deduce l’urgenza, per gli Stati, di rimuovere questo problema e
quanto la violenza, nella fattispecie quella domestica, non è da
considerare come un problema privato ma come una questione pubblicaiii.
Per arrivare a
questo obiettivo il C.d.E. sottolinea la necessità di approntare dei
piani nazionali multisettoriali, che possano effettivamente dare
quell’aiuto concreto alle donne che subiscono questa violenza e che
si trovano spesso in situazioni estremamente complesse che richiedono
una serie di supporti sanitari, finanziari e giuridici. Il C.d.E.
evidenzia anche l’esigenza di pensare e attuare dei piani di
recupero degli autori delle violenze, all’interno di un percorso
che mira a scardinare le basi culturali e le motivazioni valoriali
che supportano ed alimentano la violenza contro le donne. Dovrebbero
quindi essere previsti dei piani di recupero sia a livello di terapia
psicologica che di risocializzazione.
Il C.d.E.
mette poi in risalto un aspetto, ossia che
la violenza contro le donne ha degli effetti anche sui/sulle
bambini/e; in quanto testimoni diretti delle violenze familiari sono
marcati psicologicamente, traumatizzati e corrono il rischio a loro
volta di essere oggetti di violenza, senza contare inoltre che, i
bambini maschi testimoni di violenza sulle loro madri, corrono più
rischi di diventare essi stessi autori di violenza in età adulta,
mentre le bambine hanno più possibilità di diventare a loro volta
vittime di violenza nelle loro relazioni affettive in età adulta.
Questo aspetto non viene però sufficientemente preso in
considerazione nei percorsi di sostegno e
aiuto che vengono prestati in favore delle donne che hanno subito
violenza, i cui figli vengono assistiti
solo quando la madre ne fa richiesta e per
il periodo in cui essa stessa viene soccorsa.
Il problema
sottolineato dal C.d.E. è proprio quello della mancanza di strutture
per l’infanzia “testimone di violenze” con personale
qualificato per far fronte a queste esigenze. Il C.d.E. evidenzia,
quindi, la necessità di approntare servizi all’infanzia in questo
senso, poiché è vero che gli Stati membri elaborano ed attuano
delle politiche per l’infanzia ma spesso però, queste deficiano
nell’aspetto dell’ assistenza all’infanzia testimone di
violenze. Da
qui viene anche l’esigenza, secondo il C.d.E., di formare personale
specializzato in centri qualificati, siano essi centri di accoglienza
o strutture del settore sanitario nei quali c’è il bisogno di
individuare la violenza al di là dei problemi sanitari più
evidenti, di tutelare l’aspetto della sicurezza della vittima da
cui dipende anche la certezza della denuncia dell’aggressore, che
molto spesso, soprattutto per quello che riguarda la violenza
domestica, risulta essere il marito o il convivente che diventa
difficile da denunciare per la paura di minacce e ritorsioni ma anche
per i vincoli affettivi sussistenti nella relazione tra i due
soggetti.
E’ fondamentale
dunque, secondo il C.d.E., essere in grado di fornire quella
sicurezza che porta le vittime ad essere disposte a denunciare il
proprio aggressore. Il C.d.E. quindi invita gli Stati a sviluppare
reti di assistenza e centri di accoglienza che sono presenti nei
paesi membri ma ancora in modo non sufficientemente capillare sul
proprio territorio nazionale.
Il C.d.E. sprona poi
gli Stati membri a dotarsi di studi e ricerche per analizzare questo
fenomeno in modo da poter avere dei riferimenti da cui partire e poi
attivare quelle politiche specifiche necessarie a contrastare questo
fenomeno tramite piani d’azione nazionali, specchio della volontà
degli stati di debellare la “violenza di genere”.
i
Combattre la violence à l’égard
des femmes, Etude du bilan des
mesures et actions prises dans les Etats membres du Conseil de
l’Europe, pag. 7, Direction générale
des droits de l’homme Strasbourg, 2006.
ii
Ivi, pag. 8.
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