mercoledì 6 aprile 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche- parte 2

Continua la pubblicazione della mia ricerca del 2007 che potete  trovare nella parte 1 sulla Conferenza di Pechino. In questa seconda parte L'OMS recepisce le direttive della Conferenza
...buona lettura.



Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri





L’Organizzazione Mondiale della Sanità

A raccogliere le raccomandazioni internazionali sulla necessità di indagare il fenomeno della violenza contro le donne, è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), convinta del fatto che tale violenza sia un’onta per quelle società che la tutelano e per quegli Stati che non la combattonoi. Negli anni, quindi, è stata creata una banca dati e sono stati pubblicati degli studi su questo tema dai quali si apprende che questa realtà appare sempre più preoccupante se si pensa che la principale causa di morte per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni è la violenza. L’OMS quindi, ponendo in evidenza la tragicità del fenomeno che è trattato in modo ancora inadeguato da parte degli Stati, sottolinea come la violenza contro le donne non sia affatto un’eccezione ma attenga piuttosto alla normalità. Viene infatti posta l’attenzione sul fatto che questa violenza si consuma nel luogo più tradizionalmente ritenuto sicuro: il focolare domestico, la famiglia, ed è perpetrata dalle persone meglio conosciute dalle vittime: mariti, conviventi, parenti. In queste relazioni violente spesso le percosse si accompagnano anche a violenze psicologiche e verbali di altrettanta gravità. In effetti, l’OMS mette in evidenza come la violenza di genere, oltre ad essere un costo in sé che interessa il settore sanitario, quello dei servizi sociali e quello giudiziario, produce nella realtà ulteriori effetti, danni, denominati “indiretti”, che sono poco quantificabili ma incidono pesantemente sull’intera società. Questi costi “indiretti” sono la sofferenza, la paura, i problemi psicologi e le malattie psicosomatiche che le vittime sviluppano in reazione ai traumi subiti.
Per l’OMS il settore sanitario, per quanto riguarda i paesi industrializzati, ha una funzione fondamentale nell’affrontare questa problematica, poiché è il primo ‘servizio’ con il quale le donne che hanno subito violenza si confrontano. Purtroppo, viene anche messo in evidenza come, molto spesso, questo ‘servizio’ non è in grado di sfruttare al meglio tutte le sue potenzialità; infatti, i medici stessi, gli infermieri e il personale paramedico non sono sufficientemente informati e formati sul fenomeno, così che spesso si fermano ai bisogni sanitari immediati senza saper riconoscere l’esistenza di una violenza quale causa di tali bisogni.
L’ OMS quindi sancisce come importantissimo l’intervento sanitario, ma sottolinea anche l’assoluta necessità di azioni multisettoriali per contrastare le violenze verso le donne, ritenendo che alla base di queste ci siano condizioni di disuguaglianza tra i sessi; riconosce inoltre come essenziale l’analisi delle cause, delle attitudini e delle credenze maschili su cui si basano e si alimentano le violenze nei confronti delle donne e la relativa necessità di coinvolgere e sensibilizzare gli uomini su questo tema. L’OMS sottolinea l’esigenza, da parte degli Stati, di fornire alle donne pari condizioni socio-economiche per colmare quella disparità ritenuta causa delle violenze e per questo fine invita gli Stati a collaborare con le Organizzazioni Internazionali e le ONG e ad applicare i trattati e gli accordi internazionali ratificati in tema di diritti umani poiché, ribadisce ancora una volta anche l’OMS, la violenza contro le donne fa parte delle violazioni dei diritti umani, e quindi invita gi Stati a modificare in tal senso le leggi, le politiche e i programmi nazionali.


i Etude Multipays de l’OMS sur la santé des femmes et la violence domestique à l’égard des femmes, Premier résultat concernant la prévalence, les effects sur la santé et le réaction des femmes, pag. 8, Switzerland, 2005.



venerdì 11 febbraio 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni Pratiche- parte 1


Questo testo ebbi modo di scriverlo per un Istituto di ricerca privato con cui collaboravo e i cui risultati di ricerca ebbi modo di presentarli al CNR dove frequentavo il Corso di Alta formazione in "Cooperazione internazionale, diritti umani e condizione femminile" nel 2007.
Nonostante siano passati un pò di anni ho voluto condividere questa mia ricerca perché penso sia ancora purtroppo attuale e sempre utile in quanto ripercorre il cammino istituzionale che ha portato ad una sensibilizzazione governativa e popolare sul tema della violenza maschile sulle donne.

Per ragioni di scorrevolezza del testo, il contribuito è stato suddiviso in vari post a seconda dell'argomento.

Buona lettura



Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri





La Conferenza di Pechino

In seguito alle efferate violazioni della dignità umana verificatesi nel secondo conflitto mondiale, si sentì la necessità di riaffermare a livello internazionale la centralità dei diritti umani.
Furono così create la Commissione per i Diritti Umani e una Sotto-Commissione sullo Status delle Donne (CSW) il cui mandato prevedeva, tra l’altro, la facoltà di elaborare Raccomandazioni riguardo i vari aspetti della vita femminile che richiedevano di essere tutelati con lo scopo di sviluppare il principio secondo cui gli uomini e le donne godono di pari diritti. La Commissione promosse varie Convenzioni per la salvaguardia dei diritti delle donne e approdò, nel 1967, alla Dichiarazione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, anche se purtroppo non erano vincolanti per gli Stati che le sottoscrivevano.
Pochi anni più tardi quindi, la Commissione decise di adottare un testo che fosse normativo, la Convenzione per l’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) che fu emanata nel 1979 e che entrò in vigore solo nel 1981 dopo la ratifica dei primi 20 Stati.
Negli stessi anni si assiste ad una progressiva attuazione di diverse iniziative internazionali in favore delle donne tra cui la convocazione della Prima Conferenza Mondiale delle Donne di Mexico City nel 1975 e la contemporanea proclamazione del successivo Decennio della Donna con un Piano d’Azione che prevedeva una seconda Conferenza mondiale a Copenaghen per il 1980. In quest’ultima occasione si decise poi di tenere una terza conferenza mondiale delle donne a Nairobi nel 1985 a conclusione del Decennio dedicato alla Donna da parte delle Nazioni Unite. Nel 1995 si tiene a Pechino la IV Conferenza delle Donne. Sulla base dei principi dettati dalla precedente Conferenza Mondiale sui Diritti Umani di Vienna (1993), in cui per la prima volta si parla espressamente di violenza contro le donne e se ne sottolinea lo stretto legame con la violazione dei diritti umani in quanto la violenza annulla o pregiudica il godimento di tali diritti e libertà da parte delle donne che la subiscono.
Nel corso del dibattito si dichiara inoltre che le pratiche tradizionali che violano i diritti delle donne devono, non solo essere proibite ma definitivamente eliminate, così come tutte le forme di violenza legate all’estremismo religioso ma non solo, anche queste espressamente indicate come tali per la prima volta.
Nel seguente follow-up di Pechino questi temi saranno ripresi e sviluppati nel documento finale in cui si riafferma che la violenza contro le donne, sia che si verifichi nella vita privata sia che si verifichi in quella pubblica, rientra nelle violazioni dei diritti umani e gli Stati hanno quindi l’obbligo di prevenire, indagare e punire tali atti nonché fornire tutta la protezione necessaria alle vittime. Gli stessi Stati s’impegnano a considerare tutte le forme di violenza perpetrate a danno delle donne e delle bambine quali atti penali e come tali punibili, compresa qualsiasi forma di discriminazione, concepita anch’essa quindi quale forma di violenza.
Vengono anche riconosciuti come tali, per la prima volta, delitti orribili, e come tali da perseguire, i così detti delitti “d’onore”, quelli passionali e le deturpazioni fisiche causate con l’acido.
Ma la Piattaforma di Pechino rileva, e mette in evidenza, anche un altro fattore estremamente importante: l’ inesistenza di dati e ricerche che indaghino sul fenomeno della violenza contro le donne ed invita, quindi, allo studio ed alla diffusione di ricerche indirizzate ad analizzare le diverse forme di violenza, in modo particolare quella domestica, così da poter conoscere e soprattutto contrastare questo fenomeno con programmi di intervento specifici.


mercoledì 5 maggio 2010

Anna Maria Mozzoni

Almanacco del 5 maggio 2010:






Anna Maria Mozzoni nasce a Rescaldina, il 5 maggio 1837, da una famiglia alto- borghese di Milano.
Di temperamento fuori dal comune rispetto al quadro femminile italiano, ricorda più l’attivismo e l’entusiasmo inglese sarà che tra i suoi ispiratori intellettuali ritroviamo J. Stuart Mill, di cui tradurrà nel 1870 “Subjection of Women” e a cui si ispirerà per basare la sua attività in favore delle donne sull’iniziativa delle donne stesse, organizzate così da renderle un soggetto al pari livello degli altri attori sociali capaci di relazionarsi con le istituzioni.
Così nel 1878 fonda la 'Lega promotrice degli interessi femminili' mentre l’anno prima era stata la rappresentante italiana a Parigi al Congresso internazionale per i diritti delle donne.
Definita la più grande femminista dell’Ottocento è la prima figura di donna che presenta in effetti un’azione ed un pensiero che si ritrovano concretizzati in modo pianificato e coerente.
Fulcro dell’azione politica di Mozzoni sarà il riconoscimento del voto alle donne, quale massima espressione di riconoscimento giuridico e base dell’emancipazione femminile. Presentò quindi al Parlamento già nel 1877 una prima mozione che non ebbe gran successo ma che ispirò a sua volta il deputato Salvatore Morelli, grande sostenitore della causa femminista (
Almanacco del 22 ottobre ).
Anna Maria Mozzoni riprovò allora con una mozione questa volta firmata da ben venti donne tra cui Maria Montessori e Teresa Labriola senza però, anche questa volta, riuscire nei suoi sforzi, la riforma elettorale del 1912, infatti, oltre a non includere le donne al voto le escludeva esplicitamente.
Solo nel 1919 il Parlamento approvò il voto alle donne con una votazione segreta ma ne rimandava l’applicazione alle elezioni future e non a quelle che di lì a poco si sarebbero tenute ma l’avvento del fascismo non rese possibile tale auspicio.

Anna Maria Mozzoni poté tuttavia vedere realizzato almeno formalmente questo diritto basilare che, insieme all’educazione femminile e al miglioramento delle condizioni lavorative delle donne, era ritenuto alla base dell’emancipazione femminile.

Altro nodo essenziale, infatti, per il miglioramento della condizione femminile erano le condizioni lavorative in cui versavano le donne; Anna Maria Mozzoni si dimostrò ancora una volta una fine osservatrice sociale accorgendosi che l’evoluzione industriale aveva un enorme peso sulle pessime condizioni lavorative specchio della più ampia e scarsa considerazione sociale della donna.
Anna Maria Mozzoni infatti riteneva che l’emancipazione femminile non dovesse essere subordinata a nessun’altra causa principale né avvenire per effetto della risoluzione di altre “primarie” cause, come invece riteneva il Partito Socialista a cui nei primi del ‘900 si era avvicinata.
Ne scaturì una dura presa di posizioni tra Mozzoni e Kuliscioff; Mozzoni infatti nell’articolo “
Legislazione a difesa delle donne lavoratrici. “Dagli amici mi guardi Iddio!” del 1898 sull’Avanti, sosteneva che la politica socialista sul lavoro femminile riproponesse esclusivamente i ruoli sociali contenitivi in uso nella società, infatti la legge non poteva, secondo Mozzoni, limitare il lavoro delle donne ma erano le donne stesse a doversi conquistare i loro diritti al pari dei lavoratori, partendo però dallo stesso piano mentre la proposta socialista era quella di evitare alle donne i turni notturni, gli straordinari... Kuliscioff a sua volta la accusò nel suo “In nome della libertà delle donne. “Laissez faire, laissez aller” di fare il gioco dei padroni, ritenendo opportuno la regolamentazione del lavoro femminile per evitarne lo sfruttamento.
La frattura con il partito socialista la confinerà in un isolamento dalla scena politica che la riguarderà fino alla sua morte avvenuta a Roma nel giugno del 1920.
Anna Maria Mozzoni rimane la femminista più importante dell’800, fonte di ispirazione oggi come allora: partecipa ed ispira la rivista “La Donna” nel 1868, che si occupava dei problemi lavorativi delle operaie, delle maestre e delle impiegate; diresse la “Roma del Popolo” di ispirazione mazziniana, collaborò con Turati alla sua “Critica Sociale” e con lo stesso Turati e Lazzari fondò la 'Lega socialista milanese' nel 1889.
Scrisse anche opere di tema sociale, come: “
La donna e i suoi rapporti sociali" del 1864, "La donna in faccia al progetto del nuovo codice civile italiano" del 1865.


Bibliografia:
Murari Stefania, “L'idea più avanzata del secolo. Anna Maria Mozzoni e il femminismo italiano”, Aracne, 2008.
Nicolaci Elisabetta, “
Il «coraggio del vostro diritto». Emancipazione e democrazia in Anna Maria Mozzoni”, Centro Editoriale Toscano, 2004.




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