venerdì 11 febbraio 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni Pratiche- parte 1


Questo testo ebbi modo di scriverlo per un Istituto di ricerca privato con cui collaboravo e i cui risultati di ricerca ebbi modo di presentarli al CNR dove frequentavo il Corso di Alta formazione in "Cooperazione internazionale, diritti umani e condizione femminile" nel 2007.
Nonostante siano passati un pò di anni ho voluto condividere questa mia ricerca perché penso sia ancora purtroppo attuale e sempre utile in quanto ripercorre il cammino istituzionale che ha portato ad una sensibilizzazione governativa e popolare sul tema della violenza maschile sulle donne.

Per ragioni di scorrevolezza del testo, il contribuito è stato suddiviso in vari post a seconda dell'argomento.

Buona lettura



Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri





La Conferenza di Pechino

In seguito alle efferate violazioni della dignità umana verificatesi nel secondo conflitto mondiale, si sentì la necessità di riaffermare a livello internazionale la centralità dei diritti umani.
Furono così create la Commissione per i Diritti Umani e una Sotto-Commissione sullo Status delle Donne (CSW) il cui mandato prevedeva, tra l’altro, la facoltà di elaborare Raccomandazioni riguardo i vari aspetti della vita femminile che richiedevano di essere tutelati con lo scopo di sviluppare il principio secondo cui gli uomini e le donne godono di pari diritti. La Commissione promosse varie Convenzioni per la salvaguardia dei diritti delle donne e approdò, nel 1967, alla Dichiarazione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, anche se purtroppo non erano vincolanti per gli Stati che le sottoscrivevano.
Pochi anni più tardi quindi, la Commissione decise di adottare un testo che fosse normativo, la Convenzione per l’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) che fu emanata nel 1979 e che entrò in vigore solo nel 1981 dopo la ratifica dei primi 20 Stati.
Negli stessi anni si assiste ad una progressiva attuazione di diverse iniziative internazionali in favore delle donne tra cui la convocazione della Prima Conferenza Mondiale delle Donne di Mexico City nel 1975 e la contemporanea proclamazione del successivo Decennio della Donna con un Piano d’Azione che prevedeva una seconda Conferenza mondiale a Copenaghen per il 1980. In quest’ultima occasione si decise poi di tenere una terza conferenza mondiale delle donne a Nairobi nel 1985 a conclusione del Decennio dedicato alla Donna da parte delle Nazioni Unite. Nel 1995 si tiene a Pechino la IV Conferenza delle Donne. Sulla base dei principi dettati dalla precedente Conferenza Mondiale sui Diritti Umani di Vienna (1993), in cui per la prima volta si parla espressamente di violenza contro le donne e se ne sottolinea lo stretto legame con la violazione dei diritti umani in quanto la violenza annulla o pregiudica il godimento di tali diritti e libertà da parte delle donne che la subiscono.
Nel corso del dibattito si dichiara inoltre che le pratiche tradizionali che violano i diritti delle donne devono, non solo essere proibite ma definitivamente eliminate, così come tutte le forme di violenza legate all’estremismo religioso ma non solo, anche queste espressamente indicate come tali per la prima volta.
Nel seguente follow-up di Pechino questi temi saranno ripresi e sviluppati nel documento finale in cui si riafferma che la violenza contro le donne, sia che si verifichi nella vita privata sia che si verifichi in quella pubblica, rientra nelle violazioni dei diritti umani e gli Stati hanno quindi l’obbligo di prevenire, indagare e punire tali atti nonché fornire tutta la protezione necessaria alle vittime. Gli stessi Stati s’impegnano a considerare tutte le forme di violenza perpetrate a danno delle donne e delle bambine quali atti penali e come tali punibili, compresa qualsiasi forma di discriminazione, concepita anch’essa quindi quale forma di violenza.
Vengono anche riconosciuti come tali, per la prima volta, delitti orribili, e come tali da perseguire, i così detti delitti “d’onore”, quelli passionali e le deturpazioni fisiche causate con l’acido.
Ma la Piattaforma di Pechino rileva, e mette in evidenza, anche un altro fattore estremamente importante: l’ inesistenza di dati e ricerche che indaghino sul fenomeno della violenza contro le donne ed invita, quindi, allo studio ed alla diffusione di ricerche indirizzate ad analizzare le diverse forme di violenza, in modo particolare quella domestica, così da poter conoscere e soprattutto contrastare questo fenomeno con programmi di intervento specifici.


mercoledì 5 maggio 2010

Anna Maria Mozzoni

Almanacco del 5 maggio 2010:






Anna Maria Mozzoni nasce a Rescaldina, il 5 maggio 1837, da una famiglia alto- borghese di Milano.
Di temperamento fuori dal comune rispetto al quadro femminile italiano, ricorda più l’attivismo e l’entusiasmo inglese sarà che tra i suoi ispiratori intellettuali ritroviamo J. Stuart Mill, di cui tradurrà nel 1870 “Subjection of Women” e a cui si ispirerà per basare la sua attività in favore delle donne sull’iniziativa delle donne stesse, organizzate così da renderle un soggetto al pari livello degli altri attori sociali capaci di relazionarsi con le istituzioni.
Così nel 1878 fonda la 'Lega promotrice degli interessi femminili' mentre l’anno prima era stata la rappresentante italiana a Parigi al Congresso internazionale per i diritti delle donne.
Definita la più grande femminista dell’Ottocento è la prima figura di donna che presenta in effetti un’azione ed un pensiero che si ritrovano concretizzati in modo pianificato e coerente.
Fulcro dell’azione politica di Mozzoni sarà il riconoscimento del voto alle donne, quale massima espressione di riconoscimento giuridico e base dell’emancipazione femminile. Presentò quindi al Parlamento già nel 1877 una prima mozione che non ebbe gran successo ma che ispirò a sua volta il deputato Salvatore Morelli, grande sostenitore della causa femminista (
Almanacco del 22 ottobre ).
Anna Maria Mozzoni riprovò allora con una mozione questa volta firmata da ben venti donne tra cui Maria Montessori e Teresa Labriola senza però, anche questa volta, riuscire nei suoi sforzi, la riforma elettorale del 1912, infatti, oltre a non includere le donne al voto le escludeva esplicitamente.
Solo nel 1919 il Parlamento approvò il voto alle donne con una votazione segreta ma ne rimandava l’applicazione alle elezioni future e non a quelle che di lì a poco si sarebbero tenute ma l’avvento del fascismo non rese possibile tale auspicio.

Anna Maria Mozzoni poté tuttavia vedere realizzato almeno formalmente questo diritto basilare che, insieme all’educazione femminile e al miglioramento delle condizioni lavorative delle donne, era ritenuto alla base dell’emancipazione femminile.

Altro nodo essenziale, infatti, per il miglioramento della condizione femminile erano le condizioni lavorative in cui versavano le donne; Anna Maria Mozzoni si dimostrò ancora una volta una fine osservatrice sociale accorgendosi che l’evoluzione industriale aveva un enorme peso sulle pessime condizioni lavorative specchio della più ampia e scarsa considerazione sociale della donna.
Anna Maria Mozzoni infatti riteneva che l’emancipazione femminile non dovesse essere subordinata a nessun’altra causa principale né avvenire per effetto della risoluzione di altre “primarie” cause, come invece riteneva il Partito Socialista a cui nei primi del ‘900 si era avvicinata.
Ne scaturì una dura presa di posizioni tra Mozzoni e Kuliscioff; Mozzoni infatti nell’articolo “
Legislazione a difesa delle donne lavoratrici. “Dagli amici mi guardi Iddio!” del 1898 sull’Avanti, sosteneva che la politica socialista sul lavoro femminile riproponesse esclusivamente i ruoli sociali contenitivi in uso nella società, infatti la legge non poteva, secondo Mozzoni, limitare il lavoro delle donne ma erano le donne stesse a doversi conquistare i loro diritti al pari dei lavoratori, partendo però dallo stesso piano mentre la proposta socialista era quella di evitare alle donne i turni notturni, gli straordinari... Kuliscioff a sua volta la accusò nel suo “In nome della libertà delle donne. “Laissez faire, laissez aller” di fare il gioco dei padroni, ritenendo opportuno la regolamentazione del lavoro femminile per evitarne lo sfruttamento.
La frattura con il partito socialista la confinerà in un isolamento dalla scena politica che la riguarderà fino alla sua morte avvenuta a Roma nel giugno del 1920.
Anna Maria Mozzoni rimane la femminista più importante dell’800, fonte di ispirazione oggi come allora: partecipa ed ispira la rivista “La Donna” nel 1868, che si occupava dei problemi lavorativi delle operaie, delle maestre e delle impiegate; diresse la “Roma del Popolo” di ispirazione mazziniana, collaborò con Turati alla sua “Critica Sociale” e con lo stesso Turati e Lazzari fondò la 'Lega socialista milanese' nel 1889.
Scrisse anche opere di tema sociale, come: “
La donna e i suoi rapporti sociali" del 1864, "La donna in faccia al progetto del nuovo codice civile italiano" del 1865.


Bibliografia:
Murari Stefania, “L'idea più avanzata del secolo. Anna Maria Mozzoni e il femminismo italiano”, Aracne, 2008.
Nicolaci Elisabetta, “
Il «coraggio del vostro diritto». Emancipazione e democrazia in Anna Maria Mozzoni”, Centro Editoriale Toscano, 2004.




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lunedì 21 dicembre 2009

Valentine de Saint-Point La più futurista





Valentine de Saint-Point




Cento anni fa veniva proclamato un movimento che si prefiggeva l’azione, la velocità, la forza e l’opposizione all’antico, alle Accademie.
Nella sua costituzione, immancabile, un riferimento sprezzante alla donna: “noi vogliamo glorificare la guerra, [...] il militarismo, il patriottismo, [...], e il disprezzo della donna”*. Ma anche la donna è futurista e lei glielo ricorda nei panni di Valentine de Saint-Point, che con il suo Manifesto della Donna Futurista, saprà vedere molto più in là di quello che era forse nel suo stesso intento.
Al Marinetti rispose che: “E’ assurdo dividere l’Umanità in uomini e donne. Essa è composta solo di femminilità e di mascolinità. Ogni superuomo, ogni eroe, ogni genio, [...], è composto ad un tempo di elementi femminili e maschili [...] ossia è un essere completo”.
Valentine è futurista perché riesce ad accogliere i proclami e gli ideali del Futurismo ma riesce anche allo stesso tempo ad andarvi oltre.
Li accoglie quando dice allo stesso Marinetti, quasi ad educarlo, proprio a lui, il fondatore, ai principi futuristi: “Ciò che manca alle donne, come agli uomini, è la virilità. Ecco perché il Futurismo, [...], ha ragione”,
quindi, 
Bisogna imporre a tutti, uomini e donne, ugualmente deboli, un nuovo dogma di energia”.
E li supera quando si appella non più ad una dicotomia tra l’uno e l’altra, non parla più di uomini e di donne ma di un’unica umanità in cui “la donne non è né superiore né inferiore all’uomo. Meritano entrambi lo stesso disprezzo”, è vero ma l’aspetto femminile e quello maschile si possono bilanciare perfettamente in un individuo completo che rende l’Umanità superiore.
Infatti la donna, angelo del focolare, come sino ad allora era stata cantata, concepita e forgiata era solo una femmina come però un uomo solo virile era semplicemente un bruto.
Quindi bisognava liberare la donna dall'oppressione poiché: “per istinto la donna non è saggia, non è pacifista, non è buona” “Le donne sono le Erinni, Le Amazzoni; le Semiramidi, le Giovanne d’Arco, le Jeanne Hachette; Le Giuditte e le Carlotte Corday; le Cleopatre e le Messaline; le guerriere che combattono con più ferocia dei maschi, le amanti che incitano, le distruttrici che, spezzando i più deboli, agevolano la selezione attraverso l’orgoglio e la disperazione, “la disperazione che dà al cuore tutto il suo rendimento”.
Valentine de Saint Point fu anche danzatrice,
qui in una sua performance
“Smettiamo di predicare la giustizia spirituale, verso cui si è sforzata invano. Donne, tornate ad essere sublimi ed ingiuste, come tutte le forze della natura!”.
ecco perché nessuna rivoluzione deve escluderla. Ecco perché invece di disprezzarla bisogna rivolgersi a lei
E nonostante gridi che: “ Da secoli si contrasta l'istinto della donna, se ne apprezzano solo il fascino e la tenerezza. L’uomo anemico, avaro del suo sangue, gli chiede solo di fargli da infermiera. E lei si è lasciata domare”,
quindi,
Basta con le donne infermiere, [...], basta con le donne che fanno figli solo per se stesse...”.
Essa tuttavia rifiuta il femminismo poiché da futurista inneggia alla rivolta e il femminismo invece eleverebbe solamente, a suo dire, la donna allo stesso livello dell’uomo, creando una mera stabilizzazione del sistema esistente: “niente femminismo[...] Non bisogna dare alla donna nessuno dei diritti reclamati dalle femministe. Accordarglieli non porterebbe a nessuno dei disordini auspicati dai Futuiristi ma anzi ad un eccesso di ordine”** .
Più rivoluzionaria di Marinetti stesso che invece afferma: “[...] noi difendiamo col massimo fervore il diritto delle suffraggette[...] affrettiamoci dunque ad accordare alle donne il diritto di voto” ***.
A favore di un’emancipazione femminile uno quanto contraria l’altra ma se da un lato, quello di Marinetti, questo si traduce in un "no" ad una “donna-angelo” che non porta comunque ad un’emancipazione ma che le toglie solo l’ edulcorazione patinata che nei millenni è stata associata alla donna per diventare mero strumento di e a piacere dell’uomo, dall’altra parte, quella di Saint- Point, se essa rifiuta il femminismo parla tuttavia, spingendosi oltre, non più di sesso ma di individuo e lì dove, nell’individuo, c’è un equilibrio tra femminilità e virilità, c’è un individuo completo e un’umanità che si eleva.
Rivoluzionaria, esaltante quando abbatte la condizione che è stata creata per le donne e si richiama ad una donna naturalmente non buona, non pacifica, non saggia.
Lei che fu più femminista delle femministe, più futurista dei futuristi nell’intento ma anche forse nella sua inconsapevolezza.

* Punto 9 del “Manifesto Futurista”, F.T. Marinetti, 1909.
** “Manifesto della Donna futurista”, V. de Saint-Point, 1912.
***“ Contro l’amore e il parlamentarismo” , F. T. Marinetti, 1915.

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Manifesto della donna futurista Valentine de Saint Point


Prologo

Leggo proprio di recente dopo aver scritto l’articolo su Valentine de Saint-Point, su una rivista di editoria un articolo sulle donne futuriste dove si sostiene che il futurismo non fu misogino poiché invece diede come nessun altro movimento artistico, spazio e valorizzazione alla donna. A riprova di ciò si riportano le frasi di Marinetti in favore dell’uguaglianza dei sessi, del diritto di voto alle donne e di apprezzamento del genio delle sue colleghe. Ma gli auspici di Marinetti in favore delle donne tuttavia, se è vero che sono comunque contro l’immagine di una “donna del focolare”, sono comunque augurali per la “liberazione” maschile non più oppressa dall’amore soffocante e limitante delle donne educate al romanticismo. “Quest'odio, appunto, contro la tirannia dell'amore, noi esprimemmo con una frase laconica: "il disprezzo della donna.
Noi disprezziamo la donna, concepita come unico ideale, divino serbatoio d'amore, la donna veleno, la donna ninnolo tragico, la donna fragile, ossessionante e fatale, [...].
Noi disprezziamo l'orribile e pesante Amore che ostacola la marcia dell'uomo[...]”, e ancora rispetto al tema del voto in favore delle donne, la visione di Marinetti non risulta così benevola verso le donne perché è un sostegno alle suffraggette sì ma solo perché così “In questo nostro sforzo di liberazione, le suffragette sono le nostre migliori collaboratrici, poiché quanti più diritti e poteri esse otterranno alla donna, quanto più essa sarà impoverita d'amore, tanto più essa cesserà di essere un focolare di passione sentimentale o di lussuria". E inoltre anche perché: “Per questo, appunto, noi difendiamo col massimo fervore il diritto delle suffragette, pur compiangendo il loro entusiasmo infantile pel misero e ridicolo diritto di voto.
Infatti, siamo convinti che esse se ne impadroniranno con fervore e ci aiuteranno così involontariamente, a distruggere quella grande minchioneria, fatta di corruzione e di banalità, a cui è ormai ridotto il parlamentarismo” Poiché: “Noi che disprezziamo profondamente i mestieranti della politica, siamo felici di abbandonare il parlamentarismo agli artigli astiosi delle donne; poiché alle donne, appunto, è riservato il nobile còmpito di ucciderlo definitivamente” dato che, sostiene  Marinetti : “La donna, com'è stata formata dalla nostra società contemporanea, non può che far crescere in splendore il principio di corruzione inseparabile dal principio del voto” ° 
Nell’articolo stesso alla fine comunque l’autore arriva alla conclusione che “la critica alla misogenia del movimento emerge, [...], fin dai primi manifesti negli scritti di Rosa Rosà e Enif Robert” °°, che rifiutarono l’immagine di mero oggetto sessuale.
Valentine de Saint-Point in una sua
performance di danza
Quindi la presenza femminile nel movimento dovette dapprima, come per ogni settore, mettersi in evidenza da se’ per poi essere apprezzata senza comunque che questa valorizzazione abbia prodotto nei meccanismi della diffusione storica un’altrettanta notorietà artistica come quella riservata ai loro colleghi futuristi, oggi infatti solo grazie al centenario del movimento e ad una timida visione di genere della storia, dai suoi svariati punti di vista, si stanno riscoprendo queste figure e tuttavia se ne parla sempre come qualcosa di eccezionale e di sorprendente, in realtà le donne futuriste, lo furono più degli stessi futuristi, si veda la Saint- Point.


° “Contro l’Amore e il Parlamentarismo”, F.T. Marinetti, 1915.
°° “Donne e futurismo”, E. C. Mendoza Garofani, in “Terza Pagina- Trimestrale di editoria e cultura”, Ed. Sovera, Numero 20-21, 2009.


Bibliografia sulle donne futuriste:

"Le futuriste italiane nelle arti visive" di Mirella Bentivoglio, Franca Zoccoli, De Luca Editori d'Arte.

"Spirituale di dolcezza. Serpe di fascino. Scrittrici futuriste" a cura di C. Bello Minciacchi, Bibliopolis.

"Futuriste. Letteratura: Arte. Vita" a cura di Giancarlo Carpi, Edizioni Castelvecchi.

"Quando il futurismo è donna. Barbara dei colori" di Francesca Brezzi, Mimesis.

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