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lunedì 27 settembre 2021

Paolina Leopardi Ultima Parte- Leggere tradurre scrivere, una ragione di vita


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Paolina Leopardi Ultima Parte- Leggere tradurre scrivere, una ragione di vita




PAOLINA LEOPARDI
di
ELISABETTA BENUCCI




L’atto del tradurre innalzò la sua passione su una soglia di consapevolezza, di difesa dall’incantamento passivo. Fu grazie alla traduzione e alla sorvegliata scrittura delle lettere, che Paolina si sottrasse all’effetto incantatorio delle avventure e delle descrizioni dei romanzi.

Paolina si indirizzò quindi verso il porto relativamente sicuro dell’attività di traduzione, la quale diventò il mezzo per non rinunciare, a dispetto della sua identità di donna, ai piaceri della scrittura, alle sue possibilità di svago e conforto. Rispetto alla semplice lettura, infatti, la traduzione, che spesso è resa volontariamente “infedele” rispetto al testo di partenza, le offriva una straordinaria opportunità espressiva: nella scelta dei testi e delle parole la traduttrice aveva modo di comunicare al pubblico di lettori il proprio mondo interiore, rompendo il muro di solitudine e di isolamento nel quale si trovava confinata. Ognuna delle tre opere riproposte più oltre, che Paolina Leopardi, con poca considerazione di se stessa, diceva di aver semplicemente tradotto dal francese, svela innovazioni, motivi e finalità molto diversi da quello che può apparire a una rapida e superficiale lettura.

«Vedi meglio di me ch’io non merito verun elogio per la traduzione dell’operetta di Maistre, essa indica soltanto che ho molto ozio, e che Nobili ha voluto stamparla: il libro nel suo originale è graziosissimo, vorrei che si potesse dir lo stesso nella lingua nostra», scriveva il 7 dicembre 1834 a Marianna Brighenti, alla quale un esemplare era stato inviato dall’editore. Era un modo per schernirsi, impossibilitata ad ammettere che quella versione dal francese era molto di più di una traduzione; era invece una scrittura creativa che prendeva le mosse da un testo che tanto le si attagliava.

Quando nel 1835 cessò il lavoro per la rivista paterna, Paolina non volle rinunciare a questa occupazione che le riempiva la vita. Non voleva ritornare alla routine di un’esistenza senza luce, inghiottita dagli obblighi di sempre. Determinata a continuare i suoi studi e i suoi impegni letterari, riuscì a crearsi una fitta rete di collaborazioni, entrando in contatto con le redazioni di vari giornali. Intensificò così la sua attività di traduttrice freelance, spedendo articoli, oltre che alla «Voce della Verità» e all’«Amico della gioventù» che si stampavano a Modena, a tanti altri periodici, in primo luogo alle gazzette di Bologna, Genova, Milano e Venezia, oltre che al giornale «Il Cattolico di Lugano. Alla fine i suoi scritti ammontarono a più di 450 titoli, dei quali almeno 304 videro la luce nella «La Voce della Verità». Se poi si considera che per «La Voce della Ragione» aveva tradotto e pubblicato ben 227 articoli, più quelli, dei quali conosciamo l’esistenza ma che non videro la luce, possiamo dire che la contessa si sia cimentata in circa un migliaio di testi brevi. Le traduzioni edite e inedite di Paolina erano talmente tante che Monaldo pensò di proporle al tipografo-editore Geminiano Vincenzi di Modena per dar vita a una pubblicazione periodica, «un tometto al mese», che raccogliesse le traduzioni inedite della figlia. Ma Vincenzi dopo qualche esitazione rifiuterà.

Nonostante che la trattativa con Vincenzi non fosse andata in porto, Paolina continuò a dedicarsi alla sua occupazione preferita che, dal 1832 al 1842, quando uscì a Loreto la traduzione La Conversione di Alfonso Maria Ratisbonne esposta da lui medesimo, le aveva permesso di manifestare il suo attivismo, le sue idee, i suoi gusti. Soprattutto leggere, tradurre e scrivere avevano contribuito a sedare quella sete di conoscenza che, oltre a farle conquistare un patrimonio intellettuale sempre più considerevole, l’avevano spinta a tenersi aggiornata sulle voci del mondo letterario europeo, in massima parte francese, quasi identificando in esse la parola magica che le permettesse di uscire dall’isolamento di Recanati.

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lunedì 20 settembre 2021

Paolina Leopardi XI parte- La letteratura di viaggio e le traduzioni

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Paolina Leopardi XI Parte- La letteratura di viaggio e  le traduzioni



PAOLINA LEOPARDI
di
ELISABETTA BENUCCI

Nella formazione culturale di Paolina, grande rilevanza ebbero anche i libri e le relazioni di viaggio. La passione di Paolina per i testi di viaggio era nata tra le mura del suo palazzo, dove sia Monaldo che Giacomo erano particolarmente interessati a quel genere letterario. La libreria di casa Leopardi, non dissimile in questo da altre biblioteche marchigiane, era ricca di libri di viaggio classici e moderni, indigeni ed esotici, ingenui e sentimentali; c’erano guide per il viaggiatore e descrizioni anche fantastiche di paesi lontani. D’altronde c’era in Giacomo, ma anche in Monaldo e nella stessa Paolina, un forte desiderio di viaggio, o di immaginazione del viaggio. Paolina aveva così a disposizione descrizioni di tutto il mondo: non solo delle aree europee, in particolare della Francia, della Svizzera, dell’Inghilterra, della Germania, della Spagna, del Portogallo e della Russia, ma anche di quelle extra europee, quali il Nord America, la Cina, il Giappone, la Nuova Zelanda, l’Egitto, la Persia, l’Alasca. Non mancavano poi i testi di geografia, né le carte geografiche, sulle quali spesso Paolina passava il tempo a tracciare gli itinerari dei suoi ipotetici viaggi. All’amica Marianna Brighenti, che si trovava in tournée in Portogallo, Paolina confidava il 2 febbraio 1837 il suo desiderio di vedere il mondo, «come le ghiacciaie della Svizzera, il cielo di Napoli, un’aurora boreale e Pietroburgo», ma soprattutto rivelava la disperazione che l’assaliva nel leggere le descrizioni di luoghi che lei non avrebbe mai potuto raggiungere.

La decisione di Paolina di servirsi delle traduzioni per esprimere le sue idee, i suoi gusti e i suoi sentimenti potrebbe essere interpretata come una conseguenza della rinuncia alla scrittura creativa, per la quale sentiva di non possedere competenze e autorità necessarie. A dimostrazione di ciò sta il carattere delle sue traduzioni: quando le fu possibile, libri e articoli non furono scelti mai a caso o per ragioni diverse da quella di una loro corrispondenza con particolari contenuti del suo animo e del suo pensiero. La contessa Leopardi, insomma, affidò agli scrittori che scelse di tradurre la responsabilità di giudizi e sentimenti che sentiva appartenerle. Del resto, la rassegnazione di Paolina al modello di comportamento familiare e al «sistema di vita incominciato da sua madre», comportava anche una svalutazione delle proprie capacità di letterata, incapace lei per prima di prenderle sul serio, come confidava in una lettera all’amica Marianna Brighenti, nel febbraio 1842: «In quanto poi a quello che dici ch’io debbo scrivere e non rimanere oziosa, io ti darei ragione se potessi. Ma so ben io quanto valgo, e so bene che non è in mio potere di lasciare dopo di me un nome non indegno di associarsi a quello del nostro Giacomo».

Paolina dunque non fu solo una avidissima lettrice di romanzi che la facevano sognare. Fu lei stessa raffinata traduttrice/interprete, se non di romanzi veri e propri, di due forme particolari del romanzesco: il Viaggio notturno intorno alla mia camera di Xavier de Maistre e una vita di Mozart.

L’eccezionalità di questi scritti sta anche nel fatto che il Viaggio notturno è la prima traduzione italiana del testo di de Maistre, mentre Mozart risulta essere una delle primissime opere biografiche sul famoso musicista scritte nella nostra lingua. Senz’altro Paolina Leopardi è stata la prima donna a cimentarsi con la vita dello straordinario musicista austriaco ed è questa operetta il suo capolavoro.

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lunedì 6 settembre 2021

Paolina Leopardi X Parte- La passione per la lettura e i classici francesi

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Paolina Leopardi X Parte- La passione per la letteratura e i classici francesi





PAOLINA LEOPARDI 
di
ELISABETTA BENUCCI


Paolina o la passione della lettura e della scrittura


Scrisse molto, moltissimo Paolina. Si può dire che trascorse la sua lunga vita con la penna in mano, vergando giorno e notte lettere, biglietti, appunti, traduzioni, testi originali. Conservava tutti gli scritti, tranne le lettere ricevute che distruggeva subito, per timore che i genitori le potessero leggere.

Con i suoi voluminosi appunti, mise insieme un vero e proprio zibaldone, simile a quello del fratello Giacomo. In pagine di piccolo formato, con una grafia chiara e priva di sbavature, Paolina era solita trascrivere brani, tratti principalmente da libri o da recensioni su periodici. Il suo zibaldone, però, a differenza di quello ben più famoso del fratello, non contiene riflessioni o considerazioni personali, ma solo trascrizioni, come era d’altronde uso comune all’epoca. Alla fine di ogni anno con precisione quasi maniacale Paolina faceva rilegare personalmente quelle pagine piene di appunti in graziosi volumetti, dalla copertina in carta marmorizzata: i tanti volumetti vanno dal 1823 al 1869, anno della sua morte.

La pratica della scrittura nasceva essenzialmente da quella che era la sua occupazione preferita e irrinunciabile: la lettura. Confesserà un giorno di aver letto più di duemila volumi, con quello spirito meravigliosamente letterario che la spingeva a dichiararsi «affamata di libri». Paolina era infatti un’appassionata lettrice: di giornali, di periodici, ma soprattutto di romanzi.

Un’occupazione che la emozionava e che le permetteva di interrompere la disperante ripetizione dei soliti gesti quotidiani. Nei suoi pensieri arrivavano i riflessi di altre vite, delle vite che animavano quelle storie; e quel romanzesco entrava, attraverso le ore di lettura, nella sua immaginazione. Un’altra piccola biblioteca, contigua e contrapposta a quella paterna, prendeva forma con libri di piccolo formato, con «libri moderni», cioè con i romanzi, che Paolina riusciva a procurarsi tra mille difficoltà.

Tra i titoli delle opere lette che Paolina registrò nel suo zibaldone ci sono i nomi di tanti autori contemporanei: Victor Hugo, Honoré de Balzac, George Sand, Alexandre Dumas, Gustave Flaubert. Un posto speciale era riservato anche ai testi di altri importanti autori stranieri, da Shakespeare a Goethe, da Scott a Cooper e a Swift.

Paolina amava oltremodo le opere francesi, che leggeva in lingua originale. Oltre Corinne, il famosissimo romanzo di Madame de Staël, Paolina predilesse gli scritti di Stendhal, in particolare le Promenades dans Rome. Continuò nel tempo ad amare le opere dello scrittore d’oltralpe, delle quali nel suo zibaldone ne ricorderà la lettura: in data 1843 annoterà il titolo delle Promenades dans Rome (probabilmente una seconda lettura), nel 1851 de Le Rouge et le Noir, negli anni 1858-1859 de La Chartreuse de Parme e nel 1867 della Correspondance inédite; quest’ultimo testo riporta l’annotazione in francese, autografa di Paolina, «Naples, 5 avril 1867»: l’acquisto dunque risaliva al viaggio che ella fece nella città partenopea per visitare la tomba del fratello. 

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