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martedì 1 giugno 2021

Paolina Leopardi III Parte


Dal post precedente   
III Parte La vita sentimentale


Paolina Leopardi nel 1863.
foto Alinari


Paolina Leopardi
di Elisabetta Benucci


Un avvenimento imprevisto, a dir poco memorabile per le conseguenze differenti che ebbe su Paolina e su Giacomo, rischiarò come un lampo la vita dei due fratelli nel dicembre del 1817, quando giunse da Pesaro la cugina ventiseienne Gertrude Cassi, ospite in casa Leopardi insieme al marito, il conte Giovanni Lazzari, e alla figlia Vittoria di otto anni.


L’occasione della visita e del breve soggiorno era l’entrata della piccola Vittoria nell’educandato delle Suore Oblate dell’ Assunta di Recanati. Durante la permanenza degli ospiti, dalla sera dell’11 dicembre alla mattina del 14, Giacomo provò un forte sentimento amoroso per la cugina Geltrude, avvenente signora dagli occhi scuri e dai lunghi capelli castani. Per parte sua, l’ormai diciassettenne Paolina si affezionò a tal punto a quella cuginetta di dieci anni più piccola, da andarla spesso a trovare nel collegio recanatese, dove Vittorina rimase per quattro anni. Iniziò così un’ amicizia che si protrarrà per tutta la vita e che si tradurrà in un carteggio a tratti intenso, durato per ben quarantacinque anni, dal 1822 al 1868. Uscire da palazzo Leopardi, lasciarsi alle spalle l’odiata Recanati e la sua gente rozza e pettegola: era questo il desiderio più intenso di Paolina, ma anche il più difficile da realizzare nelle sue condizioni. Molta della sua infelicità fu legata, negli anni giovanili, alle mancate nozze. Il matrimonio infatti era l’unico modo per lasciare le mura domestiche, per liberarsi da quelle catene che l’opprimevano. Sposarsi significava però accettare altre catene, sperando che fossero più lievi. Per lungo tempo, la contessina sperò che il matrimonio, oltre a realizzare il sogno di una ragazza appassionata, le permettesse di cambiare quell’insopportabile sistema di vita. È anche vero che maritarsi per una ragazza del secolo XIX era un passo obbligato, pena l’alternativa di monacarsi o di restare umiliate zitelle. Per questo tutta la famiglia era alla ricerca di un “buon” partito per la contessina.

A quei tempi, soprattutto per una fanciulla di nobile casato, il matrimonio era quasi sempre una questione di interesse, con interminabili trattative sull’ ammontare della dote, sulle garanzie e sulle modalità di pagamento. Il patrimonio dei Leopardi non consentiva di assicurare a Paolina una dote cospicua, che potesse competere con quella di cui erano fornite le sue concorrenti, cioè le altre ragazze nobili in età da marito. Se a questo si aggiungeva la poca avvenenza e la timidezza della ragazza, oltre al requisito che il pretendente dovesse avere origini nobiliari, si capisce quanto la ricerca di un marito per Paolina fosse un’impresa ardua e, alla fine, disperata.

Il primo pretendente fu un certo Pietro Peroli, vedovo trentaquattrenne di Sant’ Angelo di Vado, cittadina nei pressi di Urbino, con il quale i Leopardi furono in trattative nel 1821. Per il matrimonio, dato per certo nel 1821, Giacomo compose la canzone Nelle nozze della sorella Paolina. Il matrimonio sfumerà miseramente per questioni economiche. Anche le successive trattative matrimoniali con il nobile e giovane marchigiano Raniero (Ranieri) Roccetti di Filottrano (l’unico per il quale Paolina provò una certa infatuazione amorosa), con il cav. Marini di Roma, Direttore generale del Censo (uomo di circa quarantacinque anni, vedovo con una figlia, ma pronto a seconde nozze perché desideroso di un erede maschio), con lo squattrinato Leopoldo Staccoli di Urbino, con il giovane marchese Stefano Castellani di Treia (che la rifiuterà soprattutto per il suo aspetto fisico), non andranno a buon fine.

Paolina capì che più nessuno sarebbe venuto a prenderla. Se non la pace, per lei fu almeno la quiete. Per sfuggire alla solitudine e alla disperazione di vivere reclusa nel palazzo di Recanati, Paolina intensificò l’attività intellettuale. La scrittura e la lettura diventarono ben presto il suo mondo: era l’unico modo per sopravvivere all’infelicità, ai mancati matrimoni, al carcere familiare. Ed era l’unico modo per difendersi dalle intrigate e dolorose questioni di famiglia: costrizioni, fughe, liti patrimoniali e parentali, lutti, morti sospette, funerali controversi, questioni legate alla dispersione dei manoscritti del fratello e alla loro pubblicazione, oltre alla presunta conversione di Giacomo in punto di morte. 

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