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martedì 24 ottobre 2017

Dagli Stati Uniti all'Italia. L'attualità delle 'Raccomandazioni' di Alma Sabatini




Un recente studio di una laureata statunitense Alice H. Wu ha messo in luce quanto il linguaggio sia connesso agli stereotipi o meglio quanto gli stereotipi di genere si trovino nel linguaggio e di come questo influenzi la condizione femminile soprattutto nel settore lavorativo.

La tesi di Wu1 si è concentrata sull'analisi delle espressioni usate con riferimento al genere femminile all'interno di un sito riservato a professionisti del campo economico usato per scambiarsi opinioni ed informazioni sul loro ambiente professionale e nel tempo è diventato un vero e proprio punto di riferimento non solo per “addetti ai lavori” ma anche semplicemente per coloro che vogliono conoscere gli argomenti sui quali i professionisti economici si confrontano.
La laureanda, oggi dottoranda alla Harvad University, identificando il testo quando riferito ad una donna grazie a pronomi come “lei, di lei...”, ha potuto evidenziare che le espressioni relative alle colleghe erano tutt'altro che afferenti l'economia ma piuttosto al turpiloquio con termini come: sesso, “baby”, appetitosa, focosa, bella, sexy, prostituta...
In parallelo ha poi usato la stessa tecnica per svolgere la ricerca prendendo questa volta in esame le espressioni riferite agli uomini ed i risultati sono stati esattamente l'inverso, infatti ha trovato associate al genere maschile parole estremamente professionali come amministratore, matematico e il contesto in cui venivano usate profondamente positivo, riferito agli obiettivi e perfino al Nobel.
Analizzando poi più in generale le discussioni legate al genere maschile e a quello femminile, Wu ha notato che i discorsi riferiti agli uomini si incentravano sulla carriera e sui colloqui mentre quelli riferiti alle donne si basavano sulla situazione personale, sentimentale o sull'apparenza fisica.


L'aspetto più interessante di questo studio, che ha suscitato parecchio scandalo negli Stati Uniti con l'interessamento di tv e giornali2, è il nesso che Wu ha notato tra i termini legati alla valutazione delle donne in ambito economico e la loro sotto-rappresentanza in questo ambiente, risultato estremamente sessista e in cui appunto le donne non solo sono numericamente inferiori ma non occupano posizioni apicali neanche nelle Facoltà di materie economiche. 


Il problema della scarsa presenza delle donne nell'ambito economico è in realtà ben nota e monitorata fin dal 1973 grazie all'iniziativa dell'American Economic Association, secondo cui non solo in un ventennio la percentuale di dottorande in materie economiche non è aumentata ma addirittura la frazione di laureate in economia sta diminuendo.
Eppure questa constatazione linguistica che Wu é riuscita ad evidenziare rispetto alla valutazione e quindi alla posizione delle donne americane nel settore economico ha suscitato tante critiche e sollevato malcontento, per una condizione invece suffragata da tempo anche da dati e ricerche e sorprende soprattutto perché si riferisce ad una società da sempre un esempio sull'evoluzione delle tematiche legate alle donne ma è pur vero che questo ci dimostra quanto gli stereotipi nel linguaggio siano permeati nella realtà anche di quelle società culturalmente avanzate.
D'altronde Alma Sabatini nelle “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” già ci diceva che “L'uso di un termine anziché di un altro comporta una modificazione nel pensiero e nell'atteggiamento di chi lo pronuncia e di chi lo ascolta3 e infatti la realtà femminile anche in Italia non è migliore degli stessi Stati Uniti. 
In effetti le donne italiane lo sanno bene visto che a guardare il punto di vista economico, le donne a parità di mansione guadagnano meno come un recente studio del CENSIS ha ben messo in evidenza e secondo cui in media una lavoratrice guadagna il 16% in meno rispetto ad un suo collega e la percentuale sale al 33% in meno di guadagno se si guarda alle manager ai vertici.
L'aspetto che lo studio americano ha messo in luce, ed è l'aspetto che più ha creato sconcerto, è proprio la relazione tra il linguaggio usato nei confronti delle donne e la loro valutazione professionale che viene penalizzata dal pensiero sessista dietro le parole usate e che impedisce loro di poter far carriera negli ambienti economici, di poter arrivare ai vertici, a oltrepassare il così detto “soffitto di cristallo”.

In Italia ugualmente abbiamo avuto fino ad ora una mancanza di rappresentatività anche in alcune cariche istituzionali come le amministrazioni comunali o parlamentari che hanno generato, e generano, difficoltà ad usare termini professionali declinati al femminile, basta ricordarsi all'indomani delle più recenti elezioni amministrative, ad esempio nelle città di Roma e Torino, il vocabolo di 'Sindaca' che ancora dopo un anno risulta di difficile assimilazione anche per gli addetti alla comunicazione come giornalisti e giornaliste di tv o giornali4. D'altronde la presenza delle donne nei mass media  sottolinea un gap di rappresentanza femminile, soprattutto in tv dove la presenza femminile in qualità di esperte di tematiche specifiche e soprattutto di argomenti ritenuti prettamente appannaggio di discernimento maschile come materie economiche, scientifiche e politiche è irrisoria rispetto a quella degli uomini chiamati a dare opinioni e consigli5.
La presenza di una donna in interviste, trasmissioni tv infatti supera di poco la percentuale del 30% rispetto a quella di un uomo spesso invitato in qualità di esperto: nei telegiornali la presenza femminile è pari al 22% quando si tratta di opinion maker o intervistate e al 25% se la si considera come protagonista della notizia o solo al 14% come esperta nei Telegiornali, mentre è del 28% se si considerano i soli programmi di approfondimento informativo dove le donne vengono proposte come intervistate o newsmaker, secondo lo studio, commissionato dalla Rai, che l'Osservatorio di Pavia ha evidenziato in una ricerca di due anni fa 6.

Come si vede quindi anche in Italia la scarsa presenza delle donne in settori apicali che siano istituzionali o manageriali o in generale nel mondo del lavoro, è strettamente legata al linguaggio con cui ci si riferisce alle donne, con cui si interagisce con le donne perché come Patrizia Violi7 ci insegna il genere manifesta un profondo simbolismo, le parole quindi veicolano significato e simbolismo che a loro volta creano e alimentano significati e simbolismi contribuendo pienamente a sviluppare l'immaginario collettivo.La parola è una materializzazione, un'azione vera e propria8 ci ammoniva Sabatini nel 1987 ma a leggere queste ricerche possiamo dire che di azioni ne abbiamo fatte poche e che ci manca tanto da fare per attuare quei cambiamenti anche linguistici specchio di una realtà sociale che ad oggi dopo trent'anni dal lavoro di Alma Sabatini fatica a rivolgersi alle Istituzioni più importanti del Paese come alla Presidente, alla deputata o più semplicemente alla Avvocata o Notaia perchè non é stata recepita una dimestichezza con questi termini, perchè le donne non hanno mai ricoperto se non da poco e in alcuni casi da pochissimo tempo quei ruoli occupati esclusivamente dagli uomini fino a un non breve tempo fa e che fanno “suonare male” la concordanza quando ad una professione, che tanto più è in alto più tanto suona strana, si associa il genere femminile.
Non solo, in questi anni  si è verificata  per di più quella che Giuliana Giusti9 chiama "la china peggiorativa", infatti spesso con il tempo parole che si riferiscono a categorie svantaggiate, di cui indubbiamente fanno parte le donne soprattutto in campo lavorativo, hanno assunto una connotazione peggiorativa, negativa che ne evita l'uso in favore, spesso, di un maschile inclusivo ritenuto più prestigioso.

Trent'anni fa in Italia si é cercato di analizzare l'importanza del linguaggio nel suo impatto nella società rispetto alla condizione femminile e accanto al lavoro di Alma SabatiniIl sessismo nella lingua italiana”, infatti incontriamo altre opere attente alla questione linguaggio-donne pensiamo a Elena Gianini Bellotti con “Dalla parte delle bambine” in cui analizza attraverso il linguaggio come ci si rivolge alle bambine e ai bambini, evidenziando preconcetti e stereotipi che poi condizionano le aspettative riservate all'uno o all'altro genere fin dall'infanzia. Una disamina che poi riguarderà anche i libri di testo scolastici con il progetto Polite in cui gli editori erano chiamati a prestare attenzione agli stereotipi che i testi per le scuole proponevano, purtroppo un progetto a lungo disatteso.
Alma Sabatini con la sua opera propulsiva e ancora capo saldo di riferimento attuale, ci invitava quindi all'azione tramite il linguaggio, ci invitava al cambiamento, un invito però a tutt'oggi ancora poco accolto e quindi sempre attuale e che riguarda tutte e tutti ed a lungo auspicato10.






Note:

1 La Tesi “Gender Stereotyping in Academia: Evidence from Economics Job Market Rumors Forum” è reperibile all'indirizzo 
https://www.dropbox.com/s/v6q7gfcbv9feef5/Wu_EJMR_paper.pdf?dl=0


3 Sabatini A., “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, estratto da “Il sessismo nella lingua italiana” a cura di A. Sabatini, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987.

4 L'associazione di giornaliste Gi.ULiA da anni rivendica la necessità di un linguaggio di genere per la categoria giornalistica; a luglio del 2014 ha presentato una guida, curata da Cecilia Robustelli, in collaborazione con l'Accademia della Crusca su “Donne, grammatica e media”: 
http://www.accademiadellacrusca.it/sites/www.accademiadellacrusca.it/files/page/2014/12/19/donne_grammatica_media.pdf

5 Per una più ampia considerazione dell'immagine della donna in tv e nei mass media in Italia e all'estero, si veda l'articolo: http://www.ingenere.it/articoli/il-gender-gap-dellinformazione

6 Si veda a tal proposito il documento “Monitoraggio sulla rappresentazione femminile 2015” dell' Osservatorio di Pavia http://www.osservatorio.it/rai-monitoraggio-sulla-rappresentazione-femminile-2015/

7 Patrizia Violi è Professora ordinaria di Semiotica all'Università di Bologna.

8 Sabatini A., “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, estratto da “Il sessismo nella lingua italiana” a cura di A. Sabatini, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra uomo e donna, 1987.


Giuliana Giusti è Professora ordinaria di Linguistica all'Università di Venezia Ca' Foscari.

10 Si vedano i tanti richiami anche da parte dell'Accademia della Crusca, come ad esempio:
e il volume di Cecilia RobustelliSindaco e sindaca: il linguaggio di genere” , volume n.4 della collana “l'Italiano, conoscere e usare una lingua formidabile” dell'accademia della Crusca in collaborazione con  il Gruppo GEDI (La Repubblica, La Stampa...); in edicola dal 14/10/2017.
o L'Enciclopedia Italiana Treccani:




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