Almanacco del 19 Febbraio:
Proprio in un Castello come questo vive Stellina, la protagonista della favola scritta da Carolina Coronedi Berti che Italo Calvino mise nella raccolta "Fiabe Italiane". "A New Day at Cinderella's Castle" ,dipinto di Thomas Kinkade |
Carolina Coronedi Berti nasceva
oggi, 19 Febbraio 1820 a Bologna, e
questa è una delle poche notizie che purtroppo si sanno sulla sua vita.
Si sposa con Leonida Berti, e da quel momento aggiunge al
suo cognome quello del marito, da cui avrà quattro figli.
Con la famiglia si trasferisce prima a Camerino e poi a Ferrara ma si sa per certo che tornò poi a Bologna, dove morì nel 1911, anche
se non si sa di preciso quando.
Fu una fine cultrice del valore
dialettale, apprezzata etnolinguista che nella Bologna risorgimentale dette il
suo esemplare contributo a favore della sua Bologna e della sua lingua che in
quel periodo aveva rappresentati del calibro di Carducci, ormai agli onori più alti e diventato il vate della terza Italia, quella unificata.
In questo clima di scoperta e
rivalutazione della componente dialettale e folcloristica dell’Italia da poco
unita, dove forte era la necessità di conoscere per incrementare e stimolare l’unione delle italiche genti,
Carolina diede il suo inestimabile contributo redigendo, tra gli anni 1869 e 1874, il “Vocabolario Bolognese-
Italiano” in due volumi che fece precedere anche da una grammatica e dall’esplicazione
della fonetica, con una metodologia tutta nuova da lei pensata.
Il suo intento lo dichiara ella stessa: “Che ciascun paese abbia il suo vocabolario è cosa importantissima, e gli odierni studi filologici ne fanno richiamo, siccome dalla comparazione de’ diversi dialetti trovano la fonte per riconoscere e rannodare le grandi famiglie delle nazioni.”[1]. E siccome ormai altre grandi città, per storia e tradizione avevano i loro vocabolari non di meno avrebbe dovuto la sua città, poiché: “ ma Bologna che fu chiamata da secoli La madre degli studi, La dotta, la grassa, sia per la fertilità del suolo che occupa, sia per la sua agricoltura e il suo commercio e per quella sede di studi alla quale i più grandi ingegni italiani e stranieri concorsero a perfezionarsi nelle scienze, fra tanti suoi figlioli che si acquistarono gloriosa fama sia nelle scienze come nelle arti, niuno vi fu, che si dedicasse a conservare la lingua di sì cara madre”[2], così “Il bisogno di avere un vocabolario per le addotte ragioni e un amorevole desiderio di non volere il mio paese indietro dagli altri, mi mosse a questo lavoro”[3].
Il suo intento lo dichiara ella stessa: “Che ciascun paese abbia il suo vocabolario è cosa importantissima, e gli odierni studi filologici ne fanno richiamo, siccome dalla comparazione de’ diversi dialetti trovano la fonte per riconoscere e rannodare le grandi famiglie delle nazioni.”[1]. E siccome ormai altre grandi città, per storia e tradizione avevano i loro vocabolari non di meno avrebbe dovuto la sua città, poiché: “ ma Bologna che fu chiamata da secoli La madre degli studi, La dotta, la grassa, sia per la fertilità del suolo che occupa, sia per la sua agricoltura e il suo commercio e per quella sede di studi alla quale i più grandi ingegni italiani e stranieri concorsero a perfezionarsi nelle scienze, fra tanti suoi figlioli che si acquistarono gloriosa fama sia nelle scienze come nelle arti, niuno vi fu, che si dedicasse a conservare la lingua di sì cara madre”[2], così “Il bisogno di avere un vocabolario per le addotte ragioni e un amorevole desiderio di non volere il mio paese indietro dagli altri, mi mosse a questo lavoro”[3].
Fece parte della Commissione
per i testi di lingua, e le sue ricerche
linguistico- dialettali furono pubblicate su importanti giornali tra cui “La
rivista europea” di Firenze, la “Rivista
di letteratura popolare” di Roma, e l’ “Archivio per lo studio delle tradizioni
popolari” di Palermo; un suo studio monografico fu inserito nell’ autorevole opera
scientifica “Storia degli usi natalizi in Italia e presso gli altri popoli
indo-europei” di Angelo De Gubernatis edita nel 1878.
La particolarità di questa filologa
fu quella di delineare con le sue opere, nel suo più generale intento di
tributare la sua lingua e la sua città, elevandola allo stesso livello delle
altre dotandola di testi ed opere linguistiche atte ad esplicarne la complessità,
la bellezza ma soprattutto a dare strumenti concreti agli alunni ed agli
insegnanti, nonché agli studiosi, fu quella di delineare, probabilmente senza
neanche volerlo, una realtà femminile ritratta nei suoi affreschi dialettali
composti da detti, proverbi, usanze e tradizioni, dagli usi nuziali a quelli
funebri, come l’opuscolo “Alcuni usi
popolari bolognesi”, nonché alle
favole.
Scrisse infatti anche il testo “Favole Bolognesi” (Al sgugiol di ragazù) nel 1883, forse la sua opera più conosciuta, una delle quali, La fola dèl Rè di animal, fu ripresa e tradotta da Calvino per la sua raccolta “Fiabe Italiane” in cui la definì una sorta di Alice nel paese delle meraviglie dialettale.
Scrisse infatti anche il testo “Favole Bolognesi” (Al sgugiol di ragazù) nel 1883, forse la sua opera più conosciuta, una delle quali, La fola dèl Rè di animal, fu ripresa e tradotta da Calvino per la sua raccolta “Fiabe Italiane” in cui la definì una sorta di Alice nel paese delle meraviglie dialettale.
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Bimbe che leggono un libro di favole, autore sconosciuto. |
Fu un lavoro sfibrante e
impegnativo, una mole enorme di fatica ma ne esce un quadro linguistico ancora
integralmente valido e non solo, la grandezza di questa studiosa è quella di
essere stata una delle figure femminili più importanti dell’epoca nella realtà
culturale bolognese ed ancora oggi per averci regalato nell’interezza
della sua opera volta a racchiudere il folclore, e quindi gli usi e i costumi bolognesi, l’immagine effettiva della condizione reale e immaginifica, che però
sappiamo racchiude sempre un impatto concreto sulla società di cui è prodotto,
della donna bolognese di fine ottocento e di cui lei stessa ne è figura
emblematica: “[...] Il mio lavoro, nato in mezzo alle cure della famiglia e
accresciuto dal poco mio ingegno, solo dirò ch’egli, qualunque ei sia, venne
fatto tutto da me con quel fermo volere, di cui se ne dubita la donna essere
capace”[5].
Su questo tema, si veda la
raccolta di testi del Congresso organizzato nel 2011 a Bologna nel 100° della morte
della studiosa: "Una pioniera degli studi etnolinguistici e
demoantropologici: Carolina Coronedi Berti (1820-1911)", intitolata “At
vói cuntèr na fóla. : Carolina Coronedi Berti e la cultura del suo tempo”,
nello specifico i saggi di Claudia Giacometti: “Le opere e i giorni delle donne
nel Vocabolario dialettale di Carolina Coronedi Berti” e il saggio di Elide
Casali “I ‘mille volti’ dell’eroina ne Al segugio di ragazù di Carolina
Coronedi Berti”.
Opere (alcune) :
“Vocabolario Bolognese- Italiano”, 1869- 1874;
"Di alcuni usi
popolari bolognesi", 1872;
"Usi nuziali del
contado bolognese", 1874;
"Raccolta di novelline popolari bolognesi",
1875;
"Appunti di
botanica popolare bolognese", 1875;
"Appunti di medicina popolare bolognese",
1876;
“Alcuni usi popolari
bolognesi" (Contenente una
lettera diretta a Giuseppe Pitrè, in risposta al suo articolo "Sulle
costumanze della Sicilia"), 1876;
“ Favole Bolognesi”
(Al sgugiol di ragazù), 1883.
"Favole Bolognesi", Ed. Forni, 2000; ristampa
"Vocabolario Bolognese- Italiano"; 2 voll., Ed. Forni, ristampa anastatica
Biografia (recente):
¨ BATTISTINI Andrea, a cura di, “At vói cuntèr na fóla. :
Carolina Coronedi Berti e la cultura del suo tempo”, Bologna, Ed. CLUEB, 2012.
[1]
CORONEDI BERTI Carolina, “Vocabolario Bolognese- italiano, Bologna, Ed. Stab. Tipografico
di G. Monti, 1869-1874, pag. I, Prefazione.
[2]
Idem.
[3]
Ivi, pag. II
[4]
CORONEDI BERTI Carolina, “Favole
bolognesi”, Bologna, Ed. Premiato Stab. Tipografico a vapore Successori Monti, 1883.
[5]
CORONEDI BERTI Carolina, “Vocabolario
bolognese-Italiano”, Op. Cit.,
pag. II, Prefazione.
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