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martedì 22 novembre 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche- parte 5



Eccoci arrivati al nostro paese, in questa quarta sezione del lavoro infatti ho raccolto la parte che riguarda l'iter nel nostro paese con alcuni riferimenti legislativi e dati statistici che vi ricordo sono aggiornati al 2007, anno di questa ricerca. Buona lettura.




Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri




Italia
Con i movimenti di protesta femminile-femminista degli anni’60 si assiste, per la prima volta in modo collettivo, ad una rivendicazione della condizione delle donne. La sensibilità rispetto a questa visione, che si esprime anche in una richiesta di riconoscimento di un’ identità corporale della donna, è uno dei capi saldi del movimento femminista che portò a creare direttivi, associazioni e centri di donne per le donne che ebbero il merito di alimentare e sviluppare questa realtà anche e soprattutto nelle donne stesse. A questa eredità, che non interessa esclusivamente solo l’Italia, fanno capo le numerose associazioni che si occupano di far fronte ai bisogni e alle condizioni più disagiate in cui le donne possono trovarsi; l’azione di numerosi centri anti-violenza diramati sull’intero territorio nazionale, che da decenni si occupano di fornire aiuto e sostegno alle donne vittime di violenza, ne sono un esempio. E proprio questi centri sono diventati punti di riferimento non solo per le donne che necessitano di aiuto ma anche per le istituzioni che ne seguono l’operato e se ne avvalgono quali soggetti qualificati per esperienza e conoscenza, come l’associazione Le Onde Onlus che fa da catalizzatore nel progetto nazionale della rete dei centri anti violenza proprio per la sua pluriennale attività .

Brevi accenni alla situazione legislativa
A livello giuridico l’Italia conosce in questo ambito un percorso recente e frammentato, che parte dagli anni ’70, con la Riforma del Diritto di Famiglia e l’abolizione, tra le altre cose, dell’autorità maritale e cioè la facoltà da parte del marito di poter usare mezzi di correzione nei confronti della propria moglie, l’istituzione della reciprocità dei diritti e dei doveri tra coniugi e il divieto di costituzione di dote che sembra essere, almeno nelle intenzioni, un rigetto di quel valore economico da sempre attribuito alle donne.
Il cammino di riforme legislative riprende poi negli anni ’90, con la legge n. 66 del 1996 che, per la prima volta, legifera sul tema della violenza sessuale tramutando il reato, prima ritenuto esclusivamente un atto contro la morale pubblica, in reato contro la persona riconoscendo piena soggettività al corpo e alla dignità femminile e con un Disegno di Legge contro le molestie sessuali presentato nel luglio dello stesso anno con cui si modifica la procedura penale riguardo le molestie sessuali, fino ad arrivare alla Legge n. 154 del 2001, che stabilisce le misure contro la violenza nelle relazioni familiari e che prevede l’ordine di allontanamento del coniuge violento dal nucleo familiare. Con tutta una serie di iniziative legislative di riforme sociali come la legge n. 328 del 2000 per attuare reti di servizi sociali e la legge n. 228 del 2003 che delinea le misure contro la tratta delle persone, l’Italia continua il suo lento cammino nel cercare di rimediare alle sue lacune giuridiche su temi di importanza e di rilievo sociale che troppo spesso, da molto tempo, vengono messe in risalto nelle cronache dei giornali italiani e che, come nel caso della violenza domestica, sembrano scenari ineluttabili.
Alcuni esempi pratici

L’Italia, pur non avendo adottato un Piano d’Azione Nazionale per il contrasto alla violenza contro le donne, ha comunque realizzato una serie di interventi molto importanti.
Con l’attuazione, nel 1998, della “Rete Urbana Anti-Violenza”, che comprende associazioni, servizi sociali e centri anti-violenza, finanziata dai fondi europei nell’ambito del progetto “Daphne”, l’Italia è riuscita a creare una banca dati che testimonia quanto la violenza sia un fenomeno sociale molto diffuso, che interessa il privato delle relazioni personali.
La Rete ha il molteplice scopo di essere un punto di riferimento per coloro che si occupano di queste tematiche, con funzioni di supporto ai centri anti-violenza già attivi; di ampliare e sviluppare ulteriormente questa Rete attraverso un’azione di sensibilizzazione sociale e professionale rivolta al personale che si trova a contatto con queste realtà; di costituire un quadro di riferimento da cui attingere informazioni e riflessioni che permettano di sviluppare delle politiche specifiche in favore delle donne vittime di violenza e promuovere una strategia nazionale di intervento e un Piano di Azione interministeriale per prevenire e contrastare il fenomeno della violenza contro le donnei.
Come naturale svolgimento delle politiche in questa direzione è stato attivato nel marzo 2006 un numero unico anti-violenza, il 1522, con il triplice obiettivo di essere un punto di riferimento a livello nazionale per quelle donne bisognose di aiuto e per le istituzioni, ed uno strumento di risonanza sociale per dare visibilità a questo problema. Il call center è attivo 24 ore su 24 e per 365 giorni all’anno, si avvale di personale qualificato, esclusivamente femminile e supportato da psicologhe e avvocati, che indirizza le donne in base ai vari servizi diramati sul territorio locale al più vicino centro, sia di accoglienza che sanitario o delle forze dell’ordine, in grado di dare assistenza anche immediata nelle situazioni di emergenza, seppure, in questo ultimo caso, solo in alcune località specifiche che riguardano 20 città o distretti socio-sanitari che presentano strutture già avviate nell’attività di ricezione e aiuto alle donne vittime di violenza.
E’ stato creato un portale con una doppia funzione di diffusione delle conoscenze, buone prassi ed esperienze nella lotta alla violenza contro le donne e una parte riservata ai fornitori dei servizi alle donne vittime di violenza, con lo scopo di mettere a loro disposizione strumenti di supporto alla loro attività.
Tra i progetti futuri che si vogliono attuare, come ulteriore azione nella prevenzione e contrasto alla violenza, c’è l’idea di un Osservatorio Nazionale (la cui creazione è stata approvata nell’ambito della Finanziaria 2006), concepito come un luogo da cui monitorare, ma anche coordinare, gli interventi realizzati in questo ambito da parte di soggetti pubblici, privati, volontari, da cui ricavare quelle informazioni utili a tutti coloro che operano in questo settore, in un’ottica di rafforzamento della cooperazione, e quindi maggiore integrazione, tra istituzioni ed associazioniii anche allo scopo di colmare la mancanza di un Piano di Azione Nazionale.
In occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre, si è tornati a parlare di questo Osservatorio e di una altrettanto necessaria adozione di una legge contro la violenza sulle donne che preveda pene più severe per quelle violenze che abbiano l’aggravante di genere. E proprio per la fine del 2006 è stata presentata una proposta di legge sulla violenza domestica, che ora dovrà essere approvata, che prevede pene più severe e le aggravanti richieste per reati di violenza di genere e nella fattispecie per le violenze domestiche ma anche misure di prevenzione, venendo così incontro alle richieste dei movimenti associativi femminili da anni impegnati su questo fronte. Tra le misure previste dal disegno di legge rientrano i piani di protezione delle vittime, la specifica di livelli minimi di prestazioni a cui le donne vittime di violenze hanno diritto, le azioni di supporto psicologico, sanitario e previdenziale e di reinserimento lavorativo per le vittime e la possibilità, per la Presidenza del Consiglio dei Ministri di costituirsi parte civile nei processi per atti discriminatori e per gli enti erogatori di servizi alle vittime, di intervenire in giudizio nei processi per violenza, nonché una adeguata formazione per il personale docente e sanitario e un registro dei centri anti-violenza presso il Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità che permetterà un monitoraggio più efficiente di questo fenomeno e allo stesso tempo garantirà uno standard qualitativo dei servizi offerti alle donne vittime di violenzaiii. Questa proposta di legge indubbiamente fa fare grandi passi in avanti all’Italia nel cammino verso una più adeguata risposta sociale, civile e legale ad una realtà sempre più preoccupante.
Un altro caso di buona prassi in Italia è quella che riguarda le attività promosse da diversi uomini, che si sono costituiti nell’ Associazione “Plurale Maschile”, che si occupa di auto-riflessione sui rapporti tra uomini e donne.
Tra le diverse iniziative da loro intraprese negli ultimi mesi, c’è stata l’adozione e la diffusione di una petizione per contrastare la violenza sulle donne che è stata anche tradotta in lingua spagnola. Questa iniziativa è nata a fronte dei sempre più numerosi casi di violenza registrati dalle cronache italiane nell’anno appena passato e ai quali questo gruppo di uomini non è rimasto indifferente. Hanno cercato di rintracciarne le cause e denunciato in primis il ruolo dell’uomo nell’ambito delle relazioni di genere che sono alla base della violenza contro le donne.
Questa petizione ha riscosso molto interesse anche all’estero mentre in Italia, ancora oggi, si parla poco di iniziative come questa che potrebbero invece avere un alto valore simbolico e di significazione. Uno degli obiettivi dell’associazione, per la quale gli uomini devono soprattutto guardare a se stessi per capire e cambiare, è quello di promuovere una partecipazione più attiva da parte di questi ad iniziative come quelle sopra descritte per poter così ampliare e amplificare le azioni delle istituzioni e delle associazioni e sensibilizzare di più la popolazione maschile e femminile sulla realtà delle violenze contro le donne.
Alcuni dati statistici
L’analisi del fenomeno della violenza sulle donne è stato affidato da anni all’Istat il cui primo studio risale al 1997. Una seconda e più recente rilevazione è avvenuta nel 2002 ma lo studio si è centrato sull’analisi delle violenze più evidenti quali aggrssioni fisiche da parte di sconosciuti, molestie sessuali sul luogo di lavoro, telefonate oscene. L’Istat si è soffermata sull’aspetto del fenomeno violenza rispetto al sentimento di sicurezza vissuto dai cittadini,; questa impostazione impoverisce quindi l’apporto che questo studio avrebbe potuto adre alla conoscenza del fenomeno delle violenze in ambito domestico. E’ tuttavia importante sottolineare come sia rilevare la violenza familiare sia molto difficile per la scrsa propensione delle vittime di parlare dell’accaduto o di denunciare i propri aggressori quando questi sono i loro mariti o partner, infatti i dati che emergono dalla ricerca dimostrano che la maggior parte delle denunce per violenza, nella fattispecie di tipo sessuale, interessano aggressori sconosciuti dalle vittime, infatti solo il 22.6% dei tentativi di violenza sessuale e il 18% delle violenze è commesso da estraneiiv, si ricava quindi che la maggior parte degli aggressori è conosciuta dalle vittime e si tratta di mariti, fidanzati, ex partner, amici e parenti.
Dai dati che si ricavano si sono individuati cinque gruppi in cui si raggruppano altrettante tipologie di violenza, quello della violenza domestica rappresenta un 4,9% sul totale degli altri gruppi. Quello che tuttavia, nonostante le lacune di questo studio, emerge è che, spesso, come più volte sottolineato, l’autore delle violenze è il marito (52,1%) e il luogo dove di frequente avviene la violenza è la casa della vittima (70,8%).
Questa inchiesta però presenta il limite di essersi focalizzata sulla violenza e sulle molestie di tipo sessuale che non possono di certo riguardare l’intera e complessa realtà del fenomeno della violenza domestica che quindi non risulta sufficientemente analizzato. Per questo motivo l’Istat ha effettuato nel 2006 un più recente studio volto proprio a mettere in luce la violenza nelle sue diverse manifestazioni, ci si è focalizzati sui diversi aspetti dei maltrattamenti verbali quali le umiliazioni o gli insulti, psicologici come i ricatti o le minacce, economici quali le limitazioni dell’uso del denaro personale e familiare, fisici come schiaffi, pugni, tentativi di soffocamento, e sessuali quali stupro, rapporti umilianti e degradanti e molestie sessuali. La base di riferimento per questo nuovo studio sono state 25.000 donne in una età compresa tra i 16 e i 70 anni. Queste nuove statistiche tuttavia non sono ancora state rese disponibili.
Il Ministero dell’Interno, invece ha reso noto uno studio dell’EURES-ANSA del 2005 sul tema dell’omicidio volontario da cui si apprende che 1 omicidio su 4 in Italia avviene tra le mura domestiche e che il 70% delle vittime sono donne e in 8 casi su 10 l’autore è un uomo. La cifra che interessa il nostro paese per l’anno 2005 rispetto agli omicidi in famiglia è di 138 donne uccise. Mentre per un’analisi dell’IPSOS in Italia nell’85% dei casi l’autore della violenza è il marito o il conviventev.
Per poter avere una visione più reale del fenomeno conviene rifarsi ai Centri Anti-violenza e ai numeri di aiuto telefonico che con la lor attività sono in grado di fornire un’analisi che si focalizza sulla violenza in ambito familiare, infatti lo stao civile della persona che più si riferisce a questi centri è quello di coniugata, tanto che l’età media di chi usufruisce di questi servizi si attesta tra i 30 e i 40 anni. Mentre il livello di istruzione delle vittime non rappresenta una caratteristica il chè ci fa capire che è un fenomeno che non risparmia nessuna classe sociale, si ha infatti una percentuale del 34% a Palermo di donne con un’istruzione di tipo elementare mentre un 25% a Venezia di donne con un livello medio-alto. Spesso all’istruzione poi è legata anche l’esistenza di una situazione professionale ed è indubbio che le donne che non hanno una propria indipendenza economica o una situazione lavorativa precaria sono svantaggiate ed hanno più difficoltà a percepire e riconoscere la violenza come tale, soffrendo evidentemente di dipendenza psicologica oltre che economica, dal proprio partner e di una scarsa stima di se stesse.
I centri anti-violenza quindi rappresentano un importante punto di riferimento per l’analisi di questo fenomeno che spesso rimane celato all’interno delle mura domestiche anche se hanno il limite di riguardare solo coloro che hanno avuto la forza di rivolgersi a questi centri, importante allora sarà l’azione di raccordo e collaborazione che l’Osservatorio Nazionale dovrà mettere in pratica.


i Sito della rete anti-violenza “Arianna”: www.antiviolenzadonna.it.
ii Sito di riferimento per il numero anti-violenza nazionale: www.cipedipartimentopariopportunita.com.
iii DDL “Misure di sensibilizzazione e di prevenzione, nonché repressione dei delitti contro la persona e nell’ambito della famiglia, per l’orientamento sessuale, l’identità di genere ed ogni altra causa di discriminazione”.
iv Per ogni riferimento si veda il Manuale Liberté Féminine et Violence contre le femmes, outils de travail pour des interventions avec orientations de genre, 2001, consultabile sul sito www.retepariopportunita.it/Rete_Pari_opportunita/UserFiles/pubblicazioni/urban-cosenza-francese.pdf.

v Si vedano i dati del Ministero dell’Interno, Dipartimento Pubblica Sicurezza, “Numero dei delitti che ha come vittime persone di sesso femminile”, reperibile sul sito www.pariopportunita.gov.it/DefaultDesktop.aspx?doc=1009.

mercoledì 7 settembre 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche- parte 4


Quarta parte di questo lungo viaggio nelle Istituzioni europee e nazionali per affrontare il tema della violenza sulle donne, vediamo come l'Europa ha gestito questo allarmante fenomeno...



Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri





L’Unione Europea:

Nel 1996 L’Unione Europea occupandosi del fenomeno del traffico delle donne mette, per la prima volta, in evidenza il tema della violenza contro le donne, nello stesso anno adotta una campagna di tolleranza zero verso questo fenomeno e propone una serie di conferenze, svoltesi negli anni successivi, volte a identificare la questione della violenza verso le donne e tra gli anni ’98-’99 arriva a stilare ben 62 raccomandazioni sul modo di combattere la violenza maschile nei confronti delle donne.
Nel dicembre del 1997 viene lanciato il programma Daphne, il maggior strumento della Commissione europea per combattere il fenomeno della violenza sulle donne, volto a finanziare azioni, negli stati membri, che promuovano la parità tra donne e uomini e che è stato negli anni più volte rinnovato come con la Decisone n. 803 del 2004 con cui questo programma è stato riapprovato con il nome di Daphne II.
Nel documento SEC(2006)275 ovvero la tabella per il periodo dal 2006 al 2010, si sono tracciati i suoi obiettivi principali, tra cui: una maggiore indipendenza economica per le donne e gli uomini, pari rappresentanze nel processo decisionale, l’eradicazione di tutte le forme di violenza basate sul genere, la promozione della parità tra i generi nelle politiche esterne e di sviluppo. Il programma “Lotta alla violenza” (Daphne), per il periodo 2007-2013, viene separato dall’azione di “Prevenzione e informazione in materia di droga” a cui era stato inizialmente associato, per rendere la sua azione più efficiente, sempre però nel più ampio programma dei “Diritti fondamentali e giustizia” della Comunità europea.
Il programma Daphne ha fino ad ora finanziato più di 400 progetti transnazionali e il prossimo programma, denominato Daphne III, per sottolinearne la continuità con i precedenti, sarà in vigore dal 2007 al 2013.
L’Unione Europea sostenendo il progetto Daphne e finanziando le azioni dei singoli stati membri, anche con i progetti di Equal e del FSE, intende combattere le cause su cui si fonda la violenza maschile sulle donne, ovvero la disparità del potere degli uomini rispetto alle donne e con le sue campagne, tra cui “Rompere il silenzio” del 2000, sensibilizzare l’opinione pubblica e in primo luogo gli uomini riguardo questo deplorevole fenomeno.


venerdì 3 giugno 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche- parte 3



Continua la pubblicazione della ricerca con cui nel 2007 ho ricostruito sinteticamente la nascita e lo sviluppo del fenomeno della violenza maschile sulle donne per la comunità internazionale fino alla recezione nel nostro paese e in Spagna. In questa terza parte il Consiglio d'Europa affronta la questione della violenza sulle donne.


...Buona lettura 




Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri






Il Consiglio d’Europa

La Raccomandazione Rec (2002)5 del Consiglio d’Europa (C.d.E.) rappresenta l’impegno più importante che questo organismo ha preso nei confronti del fenomeno della “violenza contro le donne”; in questo documento, che riguarda la protezione delle donne contro la violenza, si delinea un approccio globale al problema.
Le attività di monitoraggio dell’attuazione di questa Raccomandazione nei diversi Stati membri hanno messo in evidenza quanto la violenza contro le donne, nelle sue diverse forme, è ancora largamente diffusa in tutti i paesi europeii. Il C.d.E. quindi ne auspica l’eliminazione anche per l’enorme ‘costo’ che questa rappresenta per le società, poiché la violenza di genere non riguarda solo le vittime, ma anche la società nel suo insiemeii. Il C.d.E. arriva a stimare una spesa media compresa tra i 20 ed i 60 euro per abitante (Se prendessimo, ad esempio, un paese di soli dieci milioni di abitanti avremmo un costo sociale elevatissimo), da cui si deduce l’urgenza, per gli Stati, di rimuovere questo problema e quanto la violenza, nella fattispecie quella domestica, non è da considerare come un problema privato ma come una questione pubblicaiii.
Per arrivare a questo obiettivo il C.d.E. sottolinea la necessità di approntare dei piani nazionali multisettoriali, che possano effettivamente dare quell’aiuto concreto alle donne che subiscono questa violenza e che si trovano spesso in situazioni estremamente complesse che richiedono una serie di supporti sanitari, finanziari e giuridici. Il C.d.E. evidenzia anche l’esigenza di pensare e attuare dei piani di recupero degli autori delle violenze, all’interno di un percorso che mira a scardinare le basi culturali e le motivazioni valoriali che supportano ed alimentano la violenza contro le donne. Dovrebbero quindi essere previsti dei piani di recupero sia a livello di terapia psicologica che di risocializzazione.
Il C.d.E. mette poi in risalto un aspetto, ossia che la violenza contro le donne ha degli effetti anche sui/sulle bambini/e; in quanto testimoni diretti delle violenze familiari sono marcati psicologicamente, traumatizzati e corrono il rischio a loro volta di essere oggetti di violenza, senza contare inoltre che, i bambini maschi testimoni di violenza sulle loro madri, corrono più rischi di diventare essi stessi autori di violenza in età adulta, mentre le bambine hanno più possibilità di diventare a loro volta vittime di violenza nelle loro relazioni affettive in età adulta. Questo aspetto non viene però sufficientemente preso in considerazione nei percorsi di sostegno e aiuto che vengono prestati in favore delle donne che hanno subito violenza, i cui figli vengono assistiti solo quando la madre ne fa richiesta e per il periodo in cui essa stessa viene soccorsa.
Il problema sottolineato dal C.d.E. è proprio quello della mancanza di strutture per l’infanzia “testimone di violenze” con personale qualificato per far fronte a queste esigenze. Il C.d.E. evidenzia, quindi, la necessità di approntare servizi all’infanzia in questo senso, poiché è vero che gli Stati membri elaborano ed attuano delle politiche per l’infanzia ma spesso però, queste deficiano nell’aspetto dell’ assistenza all’infanzia testimone di violenze. Da qui viene anche l’esigenza, secondo il C.d.E., di formare personale specializzato in centri qualificati, siano essi centri di accoglienza o strutture del settore sanitario nei quali c’è il bisogno di individuare la violenza al di là dei problemi sanitari più evidenti, di tutelare l’aspetto della sicurezza della vittima da cui dipende anche la certezza della denuncia dell’aggressore, che molto spesso, soprattutto per quello che riguarda la violenza domestica, risulta essere il marito o il convivente che diventa difficile da denunciare per la paura di minacce e ritorsioni ma anche per i vincoli affettivi sussistenti nella relazione tra i due soggetti.
E’ fondamentale dunque, secondo il C.d.E., essere in grado di fornire quella sicurezza che porta le vittime ad essere disposte a denunciare il proprio aggressore. Il C.d.E. quindi invita gli Stati a sviluppare reti di assistenza e centri di accoglienza che sono presenti nei paesi membri ma ancora in modo non sufficientemente capillare sul proprio territorio nazionale.
Il C.d.E. sprona poi gli Stati membri a dotarsi di studi e ricerche per analizzare questo fenomeno in modo da poter avere dei riferimenti da cui partire e poi attivare quelle politiche specifiche necessarie a contrastare questo fenomeno tramite piani d’azione nazionali, specchio della volontà degli stati di debellare la “violenza di genere”.


i Combattre la violence à l’égard des femmes, Etude du bilan des mesures et actions prises dans les Etats membres du Conseil de l’Europe, pag. 7, Direction générale des droits de l’homme Strasbourg, 2006.
ii Ivi, pag. 8.
iii Ivi, pag. 11.



mercoledì 6 aprile 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche- parte 2

Continua la pubblicazione della mia ricerca del 2007 che potete  trovare nella parte 1 sulla Conferenza di Pechino. In questa seconda parte L'OMS recepisce le direttive della Conferenza
...buona lettura.



Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri





L’Organizzazione Mondiale della Sanità

A raccogliere le raccomandazioni internazionali sulla necessità di indagare il fenomeno della violenza contro le donne, è stata l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), convinta del fatto che tale violenza sia un’onta per quelle società che la tutelano e per quegli Stati che non la combattonoi. Negli anni, quindi, è stata creata una banca dati e sono stati pubblicati degli studi su questo tema dai quali si apprende che questa realtà appare sempre più preoccupante se si pensa che la principale causa di morte per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni è la violenza. L’OMS quindi, ponendo in evidenza la tragicità del fenomeno che è trattato in modo ancora inadeguato da parte degli Stati, sottolinea come la violenza contro le donne non sia affatto un’eccezione ma attenga piuttosto alla normalità. Viene infatti posta l’attenzione sul fatto che questa violenza si consuma nel luogo più tradizionalmente ritenuto sicuro: il focolare domestico, la famiglia, ed è perpetrata dalle persone meglio conosciute dalle vittime: mariti, conviventi, parenti. In queste relazioni violente spesso le percosse si accompagnano anche a violenze psicologiche e verbali di altrettanta gravità. In effetti, l’OMS mette in evidenza come la violenza di genere, oltre ad essere un costo in sé che interessa il settore sanitario, quello dei servizi sociali e quello giudiziario, produce nella realtà ulteriori effetti, danni, denominati “indiretti”, che sono poco quantificabili ma incidono pesantemente sull’intera società. Questi costi “indiretti” sono la sofferenza, la paura, i problemi psicologi e le malattie psicosomatiche che le vittime sviluppano in reazione ai traumi subiti.
Per l’OMS il settore sanitario, per quanto riguarda i paesi industrializzati, ha una funzione fondamentale nell’affrontare questa problematica, poiché è il primo ‘servizio’ con il quale le donne che hanno subito violenza si confrontano. Purtroppo, viene anche messo in evidenza come, molto spesso, questo ‘servizio’ non è in grado di sfruttare al meglio tutte le sue potenzialità; infatti, i medici stessi, gli infermieri e il personale paramedico non sono sufficientemente informati e formati sul fenomeno, così che spesso si fermano ai bisogni sanitari immediati senza saper riconoscere l’esistenza di una violenza quale causa di tali bisogni.
L’ OMS quindi sancisce come importantissimo l’intervento sanitario, ma sottolinea anche l’assoluta necessità di azioni multisettoriali per contrastare le violenze verso le donne, ritenendo che alla base di queste ci siano condizioni di disuguaglianza tra i sessi; riconosce inoltre come essenziale l’analisi delle cause, delle attitudini e delle credenze maschili su cui si basano e si alimentano le violenze nei confronti delle donne e la relativa necessità di coinvolgere e sensibilizzare gli uomini su questo tema. L’OMS sottolinea l’esigenza, da parte degli Stati, di fornire alle donne pari condizioni socio-economiche per colmare quella disparità ritenuta causa delle violenze e per questo fine invita gli Stati a collaborare con le Organizzazioni Internazionali e le ONG e ad applicare i trattati e gli accordi internazionali ratificati in tema di diritti umani poiché, ribadisce ancora una volta anche l’OMS, la violenza contro le donne fa parte delle violazioni dei diritti umani, e quindi invita gi Stati a modificare in tal senso le leggi, le politiche e i programmi nazionali.


i Etude Multipays de l’OMS sur la santé des femmes et la violence domestique à l’égard des femmes, Premier résultat concernant la prévalence, les effects sur la santé et le réaction des femmes, pag. 8, Switzerland, 2005.



venerdì 11 febbraio 2011

Dalla Conferenza di Pechino alle azioni Pratiche- parte 1


Questo testo ebbi modo di scriverlo per un Istituto di ricerca privato con cui collaboravo e i cui risultati di ricerca ebbi modo di presentarli al CNR dove frequentavo il Corso di Alta formazione in "Cooperazione internazionale, diritti umani e condizione femminile" nel 2007.
Nonostante siano passati un pò di anni ho voluto condividere questa mia ricerca perché penso sia ancora purtroppo attuale e sempre utile in quanto ripercorre il cammino istituzionale che ha portato ad una sensibilizzazione governativa e popolare sul tema della violenza maschile sulle donne.

Per ragioni di scorrevolezza del testo, il contribuito è stato suddiviso in vari post a seconda dell'argomento.

Buona lettura



Dalla Conferenza di Pechino alle azioni pratiche
di Silvia Palandri





La Conferenza di Pechino

In seguito alle efferate violazioni della dignità umana verificatesi nel secondo conflitto mondiale, si sentì la necessità di riaffermare a livello internazionale la centralità dei diritti umani.
Furono così create la Commissione per i Diritti Umani e una Sotto-Commissione sullo Status delle Donne (CSW) il cui mandato prevedeva, tra l’altro, la facoltà di elaborare Raccomandazioni riguardo i vari aspetti della vita femminile che richiedevano di essere tutelati con lo scopo di sviluppare il principio secondo cui gli uomini e le donne godono di pari diritti. La Commissione promosse varie Convenzioni per la salvaguardia dei diritti delle donne e approdò, nel 1967, alla Dichiarazione per l’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne, anche se purtroppo non erano vincolanti per gli Stati che le sottoscrivevano.
Pochi anni più tardi quindi, la Commissione decise di adottare un testo che fosse normativo, la Convenzione per l’Eliminazione di tutte le Forme di Discriminazione contro le Donne (CEDAW) che fu emanata nel 1979 e che entrò in vigore solo nel 1981 dopo la ratifica dei primi 20 Stati.
Negli stessi anni si assiste ad una progressiva attuazione di diverse iniziative internazionali in favore delle donne tra cui la convocazione della Prima Conferenza Mondiale delle Donne di Mexico City nel 1975 e la contemporanea proclamazione del successivo Decennio della Donna con un Piano d’Azione che prevedeva una seconda Conferenza mondiale a Copenaghen per il 1980. In quest’ultima occasione si decise poi di tenere una terza conferenza mondiale delle donne a Nairobi nel 1985 a conclusione del Decennio dedicato alla Donna da parte delle Nazioni Unite. Nel 1995 si tiene a Pechino la IV Conferenza delle Donne. Sulla base dei principi dettati dalla precedente Conferenza Mondiale sui Diritti Umani di Vienna (1993), in cui per la prima volta si parla espressamente di violenza contro le donne e se ne sottolinea lo stretto legame con la violazione dei diritti umani in quanto la violenza annulla o pregiudica il godimento di tali diritti e libertà da parte delle donne che la subiscono.
Nel corso del dibattito si dichiara inoltre che le pratiche tradizionali che violano i diritti delle donne devono, non solo essere proibite ma definitivamente eliminate, così come tutte le forme di violenza legate all’estremismo religioso ma non solo, anche queste espressamente indicate come tali per la prima volta.
Nel seguente follow-up di Pechino questi temi saranno ripresi e sviluppati nel documento finale in cui si riafferma che la violenza contro le donne, sia che si verifichi nella vita privata sia che si verifichi in quella pubblica, rientra nelle violazioni dei diritti umani e gli Stati hanno quindi l’obbligo di prevenire, indagare e punire tali atti nonché fornire tutta la protezione necessaria alle vittime. Gli stessi Stati s’impegnano a considerare tutte le forme di violenza perpetrate a danno delle donne e delle bambine quali atti penali e come tali punibili, compresa qualsiasi forma di discriminazione, concepita anch’essa quindi quale forma di violenza.
Vengono anche riconosciuti come tali, per la prima volta, delitti orribili, e come tali da perseguire, i così detti delitti “d’onore”, quelli passionali e le deturpazioni fisiche causate con l’acido.
Ma la Piattaforma di Pechino rileva, e mette in evidenza, anche un altro fattore estremamente importante: l’ inesistenza di dati e ricerche che indaghino sul fenomeno della violenza contro le donne ed invita, quindi, allo studio ed alla diffusione di ricerche indirizzate ad analizzare le diverse forme di violenza, in modo particolare quella domestica, così da poter conoscere e soprattutto contrastare questo fenomeno con programmi di intervento specifici.