"Saint Barbie", Mark Ryden, 1994. http://www.markryden.com/paintings/two/index.html |
La Mattel ha annunciato la
commercializzazione di una nuova Barbie con nuove corporature e colori di
pelle, ci sarà quella bassa, la curvy, la rossa, la alta, la robusta, la mora,
la magra, la bionda, la nera, quella con i fianchi larghi, la diafana e tutte, tutte
con piedi “reali”, cioè proporzionati alle diverse corporature. A parte la
contestazione che si potrebbe muovere per cui nella realtà non sempre tutto,
ahinoi, è proporzionato nella corporatura degli individui, c’è chi a
prescindere non è contenta e si lamenta del cambiamento, dopo anni di lotte, di
litri di inchiostro, di letteratura sul “valore simbolico della Barbie” ora si riaffaccia, nel mondo anglossassone e in particolare negli USA, patria di ogni
inizio ma anche subito di opposizione così come la polemica sulla necessità del
Femminismo di qualche tempo fa, la necessità di mistificare il cambiamento perché
è senza dubbio meglio la tradizione, quella difficile da abbandonare, quella
dei più profondi stereotipi che ci appartengono, ci formano e ci tranquillizzano,
c’è chi infatti non è contenta perché la Barbie deve essere la Barbie, deve
essere quella bionda, dagli occhi indaco, dal corpo “perfetto” (sproporzionato
in avanti), dalla pettinatura platinata e dalla messa in piega inamovibile, dai
piedi minuscoli che non la fanno restare neanche in piedi, squilibrata verso i
suoi enormi seni, ma che importa Cenerentola non aveva anche lei un piedino
piccolo e grazioso e la sua scarpina non era d’oro o al più di cristallo?, e a lamentarsi
non è colei che con impegno, forza e risorse, per fortuna lei economicamente ne
ha molte seppur ereditate, ha fatto di tutto per incarnarne l’immagine, la stra-nota
Paris Hilton che non a caso è l’idolo dei più giovani, non lei che invece
avrebbe effettivamente da lamentarsi con la Mattel e da ridire, paventando
magari anche un’azione per risarcimento danni ma delle giornaliste, donne
quindi che fanno delle loro capacità intellettuali la loro espressione e il
loro mezzo di sostentamento economico ma che non hanno saputo e non sanno fare
a meno dei loro stereotipi.
Noi invece che preferiamo Alice a Barbie siamo
contente di questo cambiamento che riflette una nuova sensibilità, un mondo che
sta cambiando, lentamente se volete ma questo è un cambiamento epocale, c’è un
nuovo messaggio non facile certamente perché scardina sessant’anni di mentalità
culturale della donna bella e scema che ora viene trasformato in bambole più
affini invece alla realtà corporale di ciascuna e ciascuno di noi e in cui ogni
bambina e bambino può in qualche modo rivedere se stessa e l’altro perché la
Barbie non è solo una Barbie se “ il modo in cui il gioco si esprime, le sue
regole, i suoi oggetti sono indubbiamente il prodotto di una cultura” [1].
Alcune giornaliste statunitensi invece gridano all’orrore,c’è chi invoca il ritorno alle origini, chi deride l’iniziativa dicendo che se si volesse la Barbie veramente specchio del reale dovrebbe avere i capelli arruffati la mattina, il rimmel che si sbafa, e il bucato rosa perché ha dimenticato un calzino rosso all’interno, insomma “accuse” infondate, giustificazioni che come la vecchia Barbie non stanno in piedi. Anche in un paese quindi dove un nero è diventato Presidente e l’uomo più potente del mondo e dove ora una donna si candida al suo posto, lì dove tutto è nato nella lotta femminile, lì allo stesso tempo nello stesso luogo, ora, c’è bisogno di tornare ad un confronto serio, vero in spazi importanti, perché tutto viene oggi rimesso in discussione e dalle stesse donne, perché assistiamo ancora alla vecchia storia di donne che lottano per le donne e altre donne che deridono e mistificano “Non conta. Non conta, si diceva trent’anni fa, quando si sottolineava che, senza l’azione sul mito e sui simboli, una stagione di riflessioni, di battaglie, di entusiasmi, sarebbe rifluita come l’acqua”[2], e purtroppo sembra davvero passata tanta acqua sulle pagine di una Betty Friedan o di una Germaine Greer, acqua che ha lavato via quel periodo di riflessioni, di denuncia, quella necessità di confronto con se stesse e gli altri e le altre per superare quegli stereotipi che subdoli ci condizionano ma la realtà è ancora, per concludere, che “per confutarli e distruggerli occorre non solo una notevolissima presa di coscienza ma anche il coraggio della ribellione che non tutti hanno”[3].
Alcune giornaliste statunitensi invece gridano all’orrore,c’è chi invoca il ritorno alle origini, chi deride l’iniziativa dicendo che se si volesse la Barbie veramente specchio del reale dovrebbe avere i capelli arruffati la mattina, il rimmel che si sbafa, e il bucato rosa perché ha dimenticato un calzino rosso all’interno, insomma “accuse” infondate, giustificazioni che come la vecchia Barbie non stanno in piedi. Anche in un paese quindi dove un nero è diventato Presidente e l’uomo più potente del mondo e dove ora una donna si candida al suo posto, lì dove tutto è nato nella lotta femminile, lì allo stesso tempo nello stesso luogo, ora, c’è bisogno di tornare ad un confronto serio, vero in spazi importanti, perché tutto viene oggi rimesso in discussione e dalle stesse donne, perché assistiamo ancora alla vecchia storia di donne che lottano per le donne e altre donne che deridono e mistificano “Non conta. Non conta, si diceva trent’anni fa, quando si sottolineava che, senza l’azione sul mito e sui simboli, una stagione di riflessioni, di battaglie, di entusiasmi, sarebbe rifluita come l’acqua”[2], e purtroppo sembra davvero passata tanta acqua sulle pagine di una Betty Friedan o di una Germaine Greer, acqua che ha lavato via quel periodo di riflessioni, di denuncia, quella necessità di confronto con se stesse e gli altri e le altre per superare quegli stereotipi che subdoli ci condizionano ma la realtà è ancora, per concludere, che “per confutarli e distruggerli occorre non solo una notevolissima presa di coscienza ma anche il coraggio della ribellione che non tutti hanno”[3].
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